Guardare aldilà dei sogni

L’esperienza delle cooperative sociali sorte dal martirio di don Diana

Casa, lavoro, socialità. Questi i tre pilastri su cui si fonda l’esperienza di alcune cooperative sociali nate nelle terre in cui è vissuto un prete ucciso dalla camorra, don Peppe Diana, conosciute in occasione della visita della Casa don Puglisi di Modica in Campania. E proprio dalla spinta di questo prete, dal suo coraggio, dal suo amore per la terra che lo ha visto crescere, hanno preso slancio queste cooperative e coloro che le gestiscono, rimandandoci inevitabilmente al vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto”. E il chicco del suo coraggio, della sua morte ha dato senz’altro (e continua a dare) molto frutto. Un frutto che non consiste solo nel ribellarsi alla camorra (don Peppe Diana viveva a Casal di Principe, proprio il paese del boss detto Sandokan) ma nell’essere pure lievito per una società più giusta e fraterna. Così l’attenzione va a coloro che più hanno bisogno ed avviene che quei terreni che un tempo erano di proprietà mafiosa e di conseguenza luoghi di attività illecite, oggi siano gestiti da cooperative in cui ognuno può trovare la propria dignità di uomo. In particolare si tratta di progetti denominati Terapeutico Riabilitativi individuali, che nella sostanza si presentano come una vera e propria innovazione di integrazione di soggetti socialmente svantaggiati. In essi è previsto anche il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata avendo quattro finalità principali: formazione e lavoro, casa e habitat sociale, affettività e socialità. Si va oltre l’idea del pagamento semplice di una retta o di un contributo ma bensì di un vero e proprio budget, per un investimento su questi soggetti. Abbiamo conosciuto quindi la NCO (Nuova cucina organizzata), che ricorda ironicamente la Nuova camorra organizzata nata negli anni ’80 in queste terre, in cui lavorano ragazzi socialmente svantaggiati che sono “rinati” grazie al lavoro e alla possibilità di convivere in un contesto “normale”. Poi la Cooperativa “Aldilà dei sogni”, in cui si trovano accolti dei soggetti provenienti da situazioni difficili (spesso e volentieri dagli ospedali psichiatrici). La cooperativa è localizzata in un bene confiscato alla mafia di grandi dimensioni e di grandi potenzialità in cui vengono coltivate biologicamente verdure e frutta dagli ospiti del centro, che vengono poi vendute nei punti vendita sottoforma di conserve. Simmaco, uno dei responsabili ha raccontato la loro esperienza e soprattutto la bellissima storia di Erasmo, uno degli ospiti che ha dimostrato che tutto può cambiare, che si può andare “aldilà dei sogni”. Esso è stato conosciuto quando era ancora dentro l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa in condizioni disumane. Dopo una “terapia” a cui era stato sottoposto durata dieci anni,  senza alcun frutto, passava le giornate a sbattere la testa contro un muro. Oggi Erasmo lavora la terra, si diverte, sa stare con gli altri e ed è una persona socialmente utile. Questo è il frutto che nella terra dei “casalesi” ha saputo dare don Diana, ma non soltanto. È il frutto che hanno e continuano a dare tutti coloro che credono e sperano in un miglioramento della nostra società, di quella terra in particolare dove sembrava non ci potesse essere alternativa alla camorra. E questo implica un assunzione di responsabilità a tutti noi, ognuno nel proprio contesto e nella propria vita a saper guardare oltre, “aldilà dei sogni” come ha saputo fare Erasmo. Fabio Sammito