Valter Lavitola, nell’inchiesta entra Silvio Berlusconi

L’ex capo del Governo è indagato dai magistrati di Bari insieme al faccendiere, entrambi sono accusati di aver indotto Gianpaolo Tarantini a mentire sulle feste che si svolgevano nelle residenze presidenziali. La svolta arriva nel giorno del primo interrogatorio da detenuto dello stesso Lavitola, quando gli viene notificato in carcere un provvedimento di proroga delle indagini pugliesi, identico a quello già consegnato all’ex premier. E adesso l’intera vicenda potrebbe avere esiti inattesi. Perché ieri, di fronte al giudice, Lavitola ha affermato di voler rispondere alle domande degli inquirenti, ha tenuto un atteggiamento che potrebbe addirittura preludere a una futura collaborazione.

Il suo comportamento finora non è mai stato limpido, dunque c’è bisogno di riscontri e verifiche alle sue parole e di un esame attento dei documenti che ha già consegnato. Ma la scelta di rientrare in Italia e costituirsi fa ipotizzare che su alcune questioni sia disposto a raccontare la verità, dunque i suoi rapporti con Tarantini potrebbero essere proprio uno dei capitoli da esplorare. E forse non è un caso che questo avvenga subito dopo il suo trasferimento a Napoli. Perché proprio qui, la scorsa estate, tutto era cominciato.

Era il 30 agosto quando l’imprenditore pugliese e sua moglie Nicla furono arrestati dai giudici di Napoli con l’accusa di aver ricattato Berlusconi. Lavitola, che al telefono con un’amica ammise di essere stato avvisato, era all’estero e sfuggì alla cattura. Secondo i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, confortati dal giudice che aveva accolto la richiesta di cattura, i tre avrebbero estorto 500 mila euro al Cavaliere. In cambio del denaro, Tarantini doveva dichiarare che Berlusconi era all’oscuro che le ragazze portate alle sue feste erano escort, così confermando la tesi sempre sostenuta dallo stesso Cavaliere. Le indagini successive dimostrarono che in realtà l’imprenditore veniva stipendiato con 20 mila euro al mese, che gli venivano pagate le vacanze e le scuole dei figli.

“Ho aiutato una famiglia in difficoltà”, affermò Berlusconi. Ma nulla disse quando si scoprì che i 500 mila euro promessi a Tarantini per consentirgli di avviare una nuova attività imprenditoriale li aveva intascati Lavitola. In realtà fu proprio questa circostanza, insieme all’ascolto delle telefonate intercettate tra il presidente e il faccendiere, a convincere i giudici del tribunale del Riesame di Napoli (ai quali si erano rivolti Tarantini e la moglie sollecitando la scarcerazione) che lo scenario fosse diverso. E nel provvedimento che concedeva la libertà ai coniugi scrissero. “Silvio Berlusconi aveva piena e indiscutibile consapevolezza della qualità di “escort” delle ragazze che gli erano state presentate da Gianpaolo Tarantini. E dunque non c’è dubbio che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Tarantini davanti ai magistrati di Bari nel luglio 2009″, quando ha negato che il Presidente sapesse che le donne venivano pagate, “risultano reticenti relativamente al coinvolgimento del Premier e a tratti addirittura mendaci, determinando la consumazione del reato 377 bis posto in essere da Silvio Berlusconi”.