Sei arresti in Calabria, colpita la cosca Pelle ed i medici conniventi

Il capo mafia Peppe Pelle aveva lavorato per preparasi l’uscita dal carcere. In un modo alquanto ingegnoso, attraverso certificati medici, visite specialistiche e terapie. Tutte false. E non era l’unico. Gli uomini della ‘ndrangheta sapevano bene come procurarsi la chiave per aprire le celle dei penitenzieri e tornarsene a casa.

La parola magica era per tutti “depressione maggiore”. Bisognava recitare un po’, chiamare il 118 e qualche volta fingere di essere matti, simulando persino tentativi di suicidio. Ma funzionava. Funzionava quasi sempre. I giudici difficilmente si assumevano la responsabilità di tenerli dietro le sbarre. Non di fronte alle diagnosi di medici e specialisti. All’alba di oggi gli uomini del comando provinciale e del Ros dei carabinieri di Reggio Calabria hanno arrestato sei persone e svelato la messa in scena del capoclan di San Luca. In manette, oltre al boss già detenuto sono finiti anche la moglie, il figlio, un avvocato e, soprattutto, due medici. Francesco Moro, in servizio al 118 di Bianco, nella Locride, e Guglielmo Quartucci, responsabile della clinica Villa degli Oleandri in provincia di Cosenza.

Il trucco è stato scoperto grazie alle microspie piazzate dal Ros a casa Pelle in occasione dell’inchiesta Reale. Per settimane i carabinieri hanno ascoltato il boss discutere con il suo amico medico. Avevano pianificato ogni cosa. A partire dal ricovero in clinica e fino al momento esatto in cui chiamare il 118. Ossia quando di turno ci sarebbe stato proprio Moro.

Minuzioso anche l’elenco dei sintomi che la moglie e il figlio avrebbero dovuto descrivere al centralino. Malori improvvisi, svenimenti, ansia e, appunto, il tentativo di suicidio. Meglio se manifestato davanti ai sanitari stessi. Si organizzavano su cosa fare e quando farlo, non sapendo che le telecamere stavano registrando tutto, compreso l’arrivo dell’ambulanza a sirene spiegate.

Un riscontro formidabile che si è poi incastrato perfettamente con il racconto di un pentito, Samuele Lovato. Il collaboratore di giustizia ha spiegato che per poter uscire dal carcere per motivi di salute è necessario avere la disponibilità al ricovero da parte di una delle cliniche che fanno parte del “sistema”. “Io so che parecchie persone che appartengono alla ‘ndrangheta fanno richiesta … E pilotano la loro uscita dal carcere facendo avere, tramite i loro avvocati, delle richieste per finire a Villa degli Oleandri. Una volta arrivati in clinica gonfiano le patologie, riportano sopra le cartelle farmaci che non vengono assolutamente somministrati, falsificano dei test …”. Proseguendo nel discorso, Lovato spiegava che in questi casi è necessario che venga diagnosticata una patologia ben precisa, la “depressione” e ne spiegava le ragioni: “La depressione è una patologia non riscontrabile oggettivamente”. Dice infatti: “È una di quelle patologie astratte… tu non sai mai dire se uno sta fingendo o non sta fingendo. E non è una patologia tipo un braccio rotto che tu dici se è guarito, è guarito”. Ed ecco come funziona, secondo il collaboratore: “Allora siamo in carcere, si fa in modo che la persona vada a finire in una di queste cliniche. Una volta che sei in questa clinica, tu devi uscire per poter tornare quantomeno nella zona, anche con i domiciliari a casa e poter riprendere il controllo sul territorio. Che cosa succede, succede che la versione dei medici è quella: dici ha avuto dei miglioramenti rispetto a quando è arrivato… Per curare questo tipo di patologia il paziente necessita di stare vicino agli affetti familiari, causa scaturente della depressione in funzione a quando lui è stato carcerato, rendo l’idea?”. Da qui in poi il passo è breve: “Allora il Tribunale comincia a valutare il fatto. Dice ma alla fin fine è in clinica, ed in clinica è ai domiciliari, mandarla ai domiciliari a casa questa persona non è che ci sia niente di … sempre ai domiciliari è questa persona. E questa, diciamo, era la cosa cioè diciamo quella a cui miravano tutti quanti”. E in tanti in passato ci sono riusciti.