Tre killer ed un solo proiettile per la strage dei cinesi a Roma

Da quando ha assistito alla rapina in cui sono rimasti uccisi suo marito, Zhou Zheng, e sua figlia di soli sei mesi, non fa altro che chiedere di lei. “Joy s’è fatta male, voglio vederla”. Ancora non sa che la piccola non ce l’ha fatta. Il proiettile sparato da uno dei malviventi le ha trapassato il cranio uccidendola, per poi colpire mortalmente Zhou.

Nonostante Lia debba aver visto la scena, lì a pochi passi dal loro negozio di money transfer a Tor Pignattara, nega l’accaduto. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, infatti, dopo essere stata ferita lievemente con un taglierino, la donna si sarebbe voltata indietro, assistendo inerme al barbaro omicidio. Poi avrebbe preso tra le sue braccia la piccola Joy, ancora viva ma sanguinante da una guancia. E poi più nulla. A raccontare il trauma della ventisettenne di origine cinese è stato il vice sindaco, Sveva Belviso, che ieri mattina le ha fatto visita all’ospedale San Giovanni. “Quando c’è un orrore così grande i meccanismi di difesa portano ad annullare tutto. In questo momento la donna ha come un vuoto”, ha spiegato Belviso. Il vice sindaco ha anche annunciato la decisione del Campidoglio di proclamare il lutto cittadino.

Il reparto di terapia subintensiva in cui Lia è ricoverata è blindato. Anche la sorella minore della donna rapinata, zia della piccola uccisa, è stata ricoverata. É nel reparto di ginecologia perché, incinta, ha accusato un malore dopo aver appreso della tragedia. Ma la vera disperazione si legge negli occhi della nonna della piccola Joy. Chiusa nel suo dolore, non riesce a trattenere le lacrime.

La mamma della piccola è stata ascoltata dagli investigatori. E in base al suo racconto potrebbero essere tre le persone che hanno preso parte alla rapina a Torpignattara. E’ ancora scioccata e non sa ancora che la figlia di sei mesi è morta. Ricorda a fatica quei momenti drammatici, in cui hanno perso la vita il marito e la bambina ma con l’aiuto di una psicologa. Forse riuscirà a focalizzare ed a riferire agli investigatori, dei particolari precedenti all’agguato che potrebbero esserle sfuggiti.

“Avevamo appena chiuso il bar – racconta la donna ancora ricoverata al San Giovanni – Mio marito Zhou mi era venuta a prendere e c’eravamo incamminati verso casa. Mia figlia era in braccio a lui e stava dormendo avvolta in una coperta. Ho avuto come la sensazione che un uomo con il cappello a visiera ci stesse seguendo, da quando avevamo abbassato la saracinesca. Accelerava o diminuiva il passo a secondo della nostra andatura e parlava al cellulare. Forse non c’entra nulla con la rapina – continua la donna – però una cosa è certa, quando si è allontanato abbiamo trovato ad attenderci quei due. Uno aveva la pistola in mano e l’altro un coltello o un taglierino. Era molto buio la luna non c’era, aveva appena piovuto si vedeva molto poco, quei due stazionavano all’ombra dei lampioni stradali. Da quel momento in poi – conclude Lyan – i miei ricordi continuano ad essere confusi”.