Immergersi nel passato di Cerenzia

Percorrendola Silana- Crotonese, SS107, indirezione Cosenza – Sila, all’altezza dell’entrata per Cerenzia si scorge sulla strada un bel e grande segnale turistico: “Acerenthia”. Si svolta subito a destra e, dopo quasi sette chilometri di strada interpoderale per alcuni tratti asfaltata, si perviene ad una sorta di città fantasma, ruderi quasi ciclopici di quella che fu l’antica Cerenzia.

Qui riporto una mia visita di alcuni anni orsono perché di recente qualcosa si è mosso per vivacizzare il sito, come si vedrà più avanti.

Qui sono vissuti poco più di 7000 abitanti, una sede episcopale, ben nove chiese e soprattutto un bel sito strategico. È un’intera città abbandonata che testimonia lo splendore di una comunità illustre: Acerenthia, con strade, piazze e mille ruderi di tanti e tanti edifici civici e religiosi e ormai abbandonati e coperti dalle erbacce e dalla memoria e se qualcuno vi capita per caso, pensa di trovarsi in un luogo abbandonato del Far West. Il lettore mi perdoni l’accostamento quasi blasfemo, ma è questa la sensazione che tanti, prima e dopo la mia escursione, hanno provato.

Questa antica città è posta, meglio era, su un pianoro alla cima di una duna argillosa, sulla destra del fiume Lese. Certamente come sei dentro a questi enormi resti archeologici, non puoi fare a meno di pensare che Acerenthia doveva essere una popolosa ed importante città.

Leggendo qua e là, e soprattutto la ricca monografia “Cerenzia” di Giuseppe Aragona e pubblicata dalla Tipografica Editrice di Crotone, nel 1989, se ne ricavano ancora incerte la genesi e l’etimologia del suo toponimo.

Alcuni studiosi la vogliono Acherenthia, Acerenthia, altri invece Akeronteia, Geruntia o Pumentum.

Secondo la tradizione pare sia stata fondata dagli Enotri, popolo autoctono di queste contrade, e rifondata da Filottete ed addirittura il suo fiume Lese viene identificato con il mitico Acheronte: da qui forse l’origine del toponimo? Comunque sia stata la sua nascita, di sicuro è che il nostro “scheletrico” centro, dal 960 al 1600 è stato sede vescovile eletta, poi, nel sec. IX, suffraganea della Metropolia di Santa Severina, assieme alle altre piccole Curie di Umbriatico, Belcastro, Isola Capo Rizzuto e Strongoli. Dei suoi vescovi, ben sette ebbero i natali a Cerenzia e precisamente: Policronio che rifondòla Badiadi Santa Maria d’Altilia; Gilberto molto amico di Gioacchino da Fiore al quale lasciò molti beni e legò il suo nome all’amicizia col monastero forense; Guglielmo di Neretto, dottore e canonico della stessa cattedrale cerentinese; Bernardo, abate della Sambucina e vescovo di Cerenzia dal 1209 al 1216, anno in cui vi morì; Matteo Vitari, discepolo di Gioacchino da Fiore al quale successe come abate dell’Ordine per ben 32 anni e vescovo dal 1234 al 1240, anno in cui vi morì in odor di santità; Guglielmo eletto vescovo da Bonifacio IX nel 1394 ed infine Giovanni Volti nominato vescovo da Eugenio IV nel 1437. La chiesa cattedrale della città abbandonata era dapprima dedicata a San Leone e successivamente a San Teodoro di Amasea.

Dalla dominazione francese ha avuto il privilegio di essere riconosciuta Università cioè luogo sotto la giurisdizione  di San Giovanni in Fiore.

Ancora dal lavoro editoriale dell’Aragona si legge che Cerenzia, detta affettuosamente dai suoi moderni abitanti “vecchia”, è stata ricordata negli scritti del Frate di Celico volendola sede della sua abbazia ; che è stata abbandonata dal 1800 per la malaria insistente nei paraggi e per il rischio sismico e trasferita nel sito dell’odierna Cerenzia su progetto di un tal Primicerio.

Sull’abbandono del vecchio sito scrive Aragona che: “certamente la causa lontana più grave fu la peste subita nel 1528, che ridusse le sue varie migliaia di abitanti a poche centinaia, favorendo la prima sostanziosa fuga di sopravvissuti in altri centri abitati, specialmente nel casale di San Giovanni in Fiore[…] Indubbiamente altre calamità naturali concorsero ad aggravare la situazione dei pochi abitanti rimasti ancora attaccati al ‘Timpone’ e fra queste, veramente disastroso, il terremoto del 5 febbraio 1783 che sconvolse la nostra Regione…”

Ma Acerenthia non era stata del tutto abbandonata. Almeno una volta all’anno vi si andava in pellegrinaggio per la festa dell’Ecce Homo o per raccogliere frutti e verdure, altrimenti introvabili, come asparagi, more di gelso e liquirizia. E pian piano, anno dopo anno, le “pietre cerentinesi” cadono giù sempre via via; quello che, all’inizio della fine, dava ancora la sembianza di un paese, ora è solo un accumulo di pietre che talvolta desta anche paura.

Certo l’abbandono ormai dura da quasi un secolo e mezzo: non è poco.

Però, già dal 1986la Giuntaregionale della Calabria aveva approvato il progetto di un Parco archeologico e non se ne fece nulla. Negli ultimi annila Provinciadi Crotone ela Comunità Montanahanno iniziato a prendere in considerazione quanto meno la fruizione del sito attraverso la dotazione di energia elettrica,  guide e sentieri turistici con aree attrezzate alla buona.

E nei giorni scorsi, a Cerenzia, si è ripreso a parlare dell’antico sito in un incontro dal tema “La città fantasma di Akerentia. Storia, archeologia, paesaggio”. Molti gli autorevoli relatori del mondo storico e archeologico che hanno illustrato l’importanza del vecchio luogo e pertanto necessario di essere riportato alla luce per la fruizioni di studiosi, ricercatori e visitatori. Per questo verrà rigenerato il parco archeologico già attivo e verrà presto istituito un Museo civico archeologico che avrà sede in una struttura comunale della moderna Cerenzia.

Se son rose fioriranno, altrimenti la nobile Akerentia tornerà ad essere uno spettrale spineto.