Il minimo comun denominatore è Diego Cammarata, il sindaco di Palermo, che nei due mandati al governo del capoluogo siciliano ha scontato la complessità di una città metropolitana molto difficile da gestire in tempi di crisi. Non che questa sia una giustificazione, ma in tempo di “vacche grasse” tutto sarebbe stato indubbiamente più facile. Palermo riparte da questo dato: superare Cammarata.
Il Sud e la Sicilia da sempre sono laboratorio politico e forte bacino elettorale. Palermo poi rappresenta una delle realtà più in vista al pari di Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Roma naturalmente. Con in più il fattore malavitoso che è insito nel dna meridionale.
Palermo prova a cambiare tutto per non cambiare niente. E nella prossima primavera in campo ci saranno sicuramente facce nuove, facce giovani, ma pur sempre da pupari faranno i vecchi della politica. E sopratutto gli interessi della politica “affarista”. Il tutto in un clima di divisioni e frazionamenti. L’Mpa di Lombardo ed il Grande Sud di Miccichè che vuole far pesare il 6,5% conquistato alle elezioni molisane. E ancora l’Udc che una volta qui con Cuffaro la faceva da padrone. E poi quel che rimane di FLI. Ed il PdL che in Parlamento ha uomini che contano e vogliono ancora contare. Per passare al versante opposto con il Pd, l’Idv, Sel e quanti altri. Con i comunisti e gli eredi dei comunisti che nell’Isola come nel continente non riescono a trovare la quadra e l’identità.
In mezzo al guado Palermo che non certo si appassiona su Rita Borsellino si o no, su Leoluca Orlando candidato sindaco o no. Palermo non gradisce la “confusione” tra Pd e Terzo Polo. Le indecisioni, le ambiguità, chi tira di qua, chi tira più in là. Palermo è lo specchio dell’Italia allo sbando, senza più riferimenti.
Ed in tempo di instabilità continua a vincere il vecchio “divide et impera”.