C’è e ci sarà rapporto tra scuola, università e lavoro?

È difficile rispondere e comunque la risposta più scontata e spontanea è che non c’è nessun rapporto. Ma un problema così complesso non può, di sicuro, essere liquidato in maniera così semplicistica. È risaputo, ormai, che la scuola vive da anni un profondo malessere e le continue agitazioni studentesche ne sono la dimostrazione e da queste emerge forte lo stato di disagio in cui versano gli studenti, le famiglie e i docenti più sensibili.

Uno dei tanti motivi di malessere è costituito dall’essere, la scuola, organizzata in tanti spezzoni: la media è stata riformata da più di trenta anni  e solo l’esame finale è stato rivoluzionato ma non ancora digerito; la primaria dagli anni ’80 – ’90 è in continua evoluzione o involuzione; mentre la secondaria va a tentoni riformandosi; l’università vorrebbe cambiare pelle ma ci riesce poco e costituisce un mondo con il quale la scuola non è raccordata nonostante gli annuali incontri di orientamento e che solo da poco tempo comincia a porsi il problema del collegamento col lavoro.

Il mondo del lavoro, poi, sta conoscendo una crisi epocale senza precedenti, motivo per cui le richieste a quello dello studio sono confuse, contraddittorie, spesso prive di riscontri concreti. E la certezza che il famoso “pezzo di carta” non è più utile di per sé pone tutta una serie di interrogativi cui la società intera deve trovare risposta.

Se, infatti, è assodato che a scuola: gli studenti dalla media in poi non imparano niente di utile, sono abulici e molte volte sfiduciati dello stesso contesto scolastico, gli insegnanti sono demotivati, i programmi sempre più inadeguati, le strutture fatiscenti, le attrezzature carenti, non sarà forse opportuno iniziare subito uno studio che porti a soluzioni integrate e coerenti? E, se è vero che l’Italia ha un numero molto esiguo di laureati in confronto ad altri paesi europei, in quanto l’università è diventata una specie di super liceo dove apprendere quanto mai studiato prima, perché questo basso numero di laureati va ad ingrossare le fila dei disoccupati? Evidentemente l’università soffre della mancanza di un ancoraggio alla realtà lavorativa. Ma non solo. La formazione professionale viene considerata di basso livello e snobbata, salvo poi accusare laureati e diplomati di essere scarsamente professionali; per quanto riguarda le lauree brevi, che sembrava potessero essere la panacea di tanti mali, se ne attende ancora fiduciosamente l’effetto taumaturgico sull’occupazione.

Insomma tutto ciò che ruota attorno al pianeta scuola ha urgente bisogno di revisione e di riforme. È urgente, altresì, che il sistema formativo italiano, tutto, divenga esempio e guida, sia politica che amministrativa, sia morale che ideale, per i giovani, facendoli uscire dall’attuale stato di confusione e mancanza di certezze.

Aristotele diceva che “lo studio è la miglior previdenza per la vecchiaia” e ciò è tanto attuale oggi che farebbero bene le nazioni, poco disponibili ad investire nello studio, a tenerne conto per il proprio futuro.