Ventisei anni di vita monastica in Crotone

“Amore” è parola usata e abusata nel linguaggio quotidiano. Popola le storie televisive, è scialuppa di salvataggio per cantanti e, perché no, anche per poeti, coagula le chiacchiere da bar.

Parola a rischio di retorica o, quanto meno, di abitudine. Se, però, viene assunta in una enciclica papale per indicarne il tema unico, la parola compie un viaggio singolare, per così dire, si  trasfigura. Ridiventa dura come pietra, solida e inquietante.

Forse l’abuso ha creato una crisi di astinenza, quasi un bisogno di ritrovarne l’imperiosa valenza, il significato salutare. Il Papa, forse, ha intercettato questo bisogno e ne ha fatto la parola emblema dell’antropologia futura. Aldilà della stessa trattazione, che pure è importante, sta qui il significato più prezioso della prima enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI. Lo sguardo profetico che vi è dentro non appare a prima vista. Anzi, sulle prime, la scelta del tema appare singolare, un po’ generico, scarsamente connotato di quella concretezza che suscita attenzione.

Ma poi, ad una più pensosa considerazione, la sensibilità profetica si manifesta pienamente. Probabilmente gli animi più semplici e ben disposti, quelli in più immediata sintonia con il Vangelo e lo spirito del tempo, l’hanno colta subito.

L’iniziativa del Papa vuole essere ed ha il sapore di un allarme e di un invito, di un appello pressante per una nuova maniera di pensare. Prima che sia troppo tardi, sembra suggerire il Pontefice, alziamo lo sguardo, torniamo a credere. Chi non è religioso, torni a credere nell’uomo, nella sua parte migliore e inedita. Torni a credere alle sue migliori aspirazioni, alla nascosta ma non morta nostalgia di comunione. Chi ha fede, torni a credere con più convinzione e dedizione in Dio e torni a credere all’amore. L’amore mette la persona di fronte a se stessa senza possibilità di barare. L’amore, insomma, diventa una postazione ermeneutica, luogo di verità, da cui poter verificare l’onestà delle nostre intenzioni più vere e segrete.

Per tale ragione il discorso di Benedetto XVI è un atto di fiducia, in primo luogo nella comunità dei credenti ma anche verso ogni uomo di buona volontà.

Lasciarsi inquietare, anche solo un po’, sarà un risultato di non poco conto. Questo è quanto scaturisce ogni qualvolta, ogni domenica mattina, ci si trova davanti alle Sorelle del Monastero del Carmelo di Crotone sulle alture della contrada Campione. Qui la parola “amore” diviene concretezza, comunione, seppur da dietro una grata.

Il loro silenzio, la loro preghiera sono sostanza dell’amore per gli uomini. E tanto avviene, per nostra fortuna, per la fortuna dei Crotonesi, e grazie al buon Dio, da ormai 26 anni.

È qui che il 2 febbraio 1985, giorno dell’Erezione canonica del primo Carmelo teresiano in Calabria, la Divina Misericordia volle dare alla città di Crotone e al territorio circostante il dono dell’amore, del sorriso, della preghiera e del silenzio per il tramite delle nostre Suore Carmelitane.

Nell’Album delle Origini leggiamo da Suor Maria Gemma della SS Trinità, che accolse il primo invito a fondare una Comunità in terra calabra nel novembre 1958, che ci vollero “15 anni per approdare in Calabria, dopo il primo invito, e poi ancora 12 per l’Erezione canonica”.

Insomma “furono anni faticosi e sofferti  – scrivono le Sorelle – segnati dalla peregrinazione in varie località della Calabria e dal passaggio dalla costa tirrenica a quella ionica, che hanno comunque tracciato le fondamenta di questi  anni di storia ricca di vita, viva e feconda”.

A coronamento di tanto la Comunità Teresiana di Crotone intende ricordare nella preghiera quanti a vario titolo hanno contributo alla realizzazione di questa opera: le prime due Sorelle del monastero di Ronciglione come intrepide pioniere della fondazione; Mons. Giuseppe Agostino, allora vescovo di Crotone – Santa Severina, che accolse il piccolo gruppo di Religiose “nel momento critico della peregrinazione”; le Sorelle del monastero di Milano che hanno concesso la venuta di sr. M. Luigia, sr. Maria Carmela, sr. Maria Chiara e sr. Anna “per dare speranza e stabilità al nascente Carmelo”; Mons. Andrea Magione, già nostro Pastore e Mons. Graziani “che con la loro stima e cura ci hanno accompagnato e ci accompagnano con amore”. E naturalmente si ricordano P. Felipe Sainz de Baranda e P. Rodolfo Girardello, rispettivamente Generale e Vicario dell’Ordine dei Carmelitani scalzi al tempo dell’Erezione crotonese.

E così, in questi primi ventisei anni di vita monastica in Crotone, le Sorelle del Carmelo “meditando e contemplando con stupore l’Opera del Signore” intendono ringraziare il Creatore, assieme a tutti noi fedeli, “per il dono che abbiamo ricevuto di essere contemplative teresiane per la Chiesa, vivendo e sostenendo la ricerca di verità che abita l’uomo.