L’Europa intera guarda a Varsavia col fiato sospeso

Si vota in Polonia, la seconda locomotiva dell’Unione Europea dopo la Germania, diventata anzi la “seconda Germania” e il paese-guida del Nuovo Est, e il governo liberal ed europeista del premier Donald Tusk rischia. I suoi avversari, i nazionalconservatori euroscettici e omofobi di Jaroslaw Kaczynski, hanno ridotto significativamente il gap e niente è escluso, nemmeno una loro vittoria di misura. Dall’esito delle politiche a Varsavia dipende molto del futuro dell’intera Unione Europea sullo sfondo della crisi del debito sovrano, della crisi dell’euro e dell’incubo di una nuova recessione.

Il premier liberal Donald Tusk, giovane ex teenager aiutante di Solidarnosc negli anni della rivoluzione democratica (1980-1989) governa col suo partito liberal ed europeista Po (Piattaforma dei cittadini) dal 2007, in coalizione con il Psl, partito dei contadini. Quattro anni fa, mobilitando le classi urbane, convinse l’elettorato che gli aggressivi no all’integrazione europea, all’amicizia con la Germania e a tentativi di riconciliazione con Mosca, e dure posizioni iperclericali e omofobe della destra dei gemelli Kaczynski (allora entrambi vivi) danneggiavano immagine nazionale e sistema-paese. Da allora, l’economia è cresciuta a ritmi tedeschi, è stata l’unica della Ue a superare la crisi del 2008-2009 con un prodotto interno lordo (pil) positivo, la prosperità si è ancora diffusa, i giovani laureati che erano emigrati nel Regno Unito, in Irlanda o in Australia e Usa cercando fortuna sono tornati in massa a casa. Ma sull’altro piatto della bilancia, ci sono riforme che avrebbero potuto essere più veloci, l’appoggio della Chiesa all’opposizione di destra (PiS, Legge e Giustizia, il partito del gemello superstite Jaroslaw Kaczynski) e soprattutto, qui come ovunque in Europa, la paura per la crisi economico-finanziaria e per la possibile recessione.

Se Tusk ce la farà, aiuterà liberal e progressisti in tutta la Ue e sarà il primo leader politico polacco a conquistare due mandati dopo il ritorno alla democrazia a seguito della rivoluzione democratica del 1989 che aprì la strada alla caduta del Muro di Berlino e dell’Impero sovietico. Se invece vincerà la destra di Kaczynski – che poi trovi partner di governo o no – sarà un pericoloso segnale d’incoraggiamento per le nuove destre populiste autoritarie ed euroscettiche in tutto il continente.

Con 38 milioni d’abitanti, un pil che è oltre un terzo di quello italiano e soprattutto una solida crescita economica, l’unica tra i grandi paesi europei pari al ritmo della crescita tedesca, e conti pubblici in ordine (debito ben sotto il tetto del 60 per cento del pil posto dai Trattati di Maastricht) la Polonia è tornato il paese di peso che era prima dell’aggressione nazista-sovietica del 1939 che scatenò la seconda guerra mondiale e prima della lunga notte dell’occupazione russa e del socialismo reale. Dopo l’elezione di Karol Wojtyla a pontefice, operai in sciopero guidati da Lech Walesa e intellettuali dell’opposizione (Adam Michnik, Bronislaw Geremek, Jacek Kuron, Tadeusz Mazowiecki poi primo premier democratico) fondarono con Solidarnosc il primo movimento di massa non violento dell'”Impero del Male” sovietico. La protesta andò avanti, il potere reagì col colpo di Stato militare del generale Jaruzelski e della sua giunta (Wron) per fermarlo e insieme per scongiurare l’invasione minacciata dall’Urss e da Berlino Est, che sarebbe stato un bagno di sangue. Poi però, incoraggiata da Giovanni Paolo II e da Gorbaciov, la giunta riaprì il dialogo con il movimento democratico. Fu transizione non violenta alla democrazia, come in Spagna dopo Franco: la vittoria di Solidarnosc alle prime elezioni libere nel 1989 aprì la svolta dell’Est.

Allora, l’inflazione era al 2200 per cento, la povertà drammaticamente diffusa. Dure riforme economiche consentirono il risanamento e l’aggancio della valuta, lo zloty, al marco tedesco e poi all’euro. Il ceto medio e l’imprenditoria sono risorte, l’economia  –  industria, servizi, finanza – è saldamente interattiva con quelle tedesca francese britannica americana giapponese e della Corea del Sud. Ma può non bastare, quando l’Europa intera ha paura. Tusk parla tedesco e inglese correntemente, si dà del tu con Angela Merkel, vuole continuare in corsa l’integrazione nella Ue di cui il paese è uno dei membri più dinamici. E’un liberal europeista convinto, il suo partito all’Europarlamento appartiene ai Popolari europei come la Cdu della cancelliera. Jaroslaw Kaczynski (ex premier dal 2005 al 2007, il cui fratello Lech allora presidente morì l’anno scorso nella sciagura aerea di Smolensk) nel suo nuovo libro diffama la Merkel come ‘rappresentante di quell’élite tedesca che ancora una volta insieme alla Russia vuole sottomettere la Polonia’. Promette con toni populisti un futuro migliore, senza spiegare come. In vista degli europei di calcio l’anno prossimo, i club di hoolingans sono con Kaczynski contro il rigore poliziesco per un calcio tranquillo attuato da Tusk. La Chiesa, che morto Giovanni Paolo II sembra aver smarrito il suo messaggio di Polonia cristiana ma forte e moderna nello spirito del dialogo, appoggia apertamente Kaczynski. Il quale non si è risparmiato giorni fa una lettera di elogio alla Fidesz, il partito nazionalista al potere a Budapest che sta distruggendo la democrazia e l’economia ungheresi con leggi-bavaglio, controllo politico su magistratura e scuola, politica economica punitiva dell’impresa.

I seggi in Polonia si sono aperti alle ore 07:00 e si chiuderanno alle ore 21:00, da poco dopo – una notte prima della riapertura dei mercati – i primi exit-polls potranno dare una prima indicazione dei risultati. Se anche Tusk vincerà, dovrà faticare a formare una nuova maggioranza tra i 460 deputati del Sejm, la Camera dei deputati polacca.