L’imprenditore calabrese Nino De Masi ha detto no al racket delle banche

“Ho un’azienda nella Piana di Gioia Tauro di medie dimensioni e purtroppo non è solo vittima di usura bancaria ma è vittima di una cultura di illegalità che purtroppo sta massacrando la mia azienda” racconta Nino De Masi. Figlio di Giuseppe, è titolare di un’azienda fondata nel 1954, un punto di riferimento per quanto riguarda le macchine e le attrezzature agricole. “Mi trovo in un contesto in cui non so più dove sia la realtà – continua De Masi – e questa storia va considerata in un contesto socio-economico come quello della piana di Gioia Tauro perchè altrimenti rischia di non essere identificata nel modo giusto. Uno che fa l’imprenditore è abituato ad affrontare le problematiche del vivere quotidiano, ma se da una parte si lotta contro lo Stato e dall’altra contro i criminali, non sai più da chi guardarti”. Questo, insomma, lo scenario che l’imprenditore descrive prima di riportare, in sintesi, la trafila “giudiziaria” che ha passato in questi anni. “Dopo aver ottenuto in tutte le aule di tribunale la conferma che qualcuno mi ha rubato i soldi, nel 2001 ho denunciato che il sistema delle banche, con le incentivazioni pubbliche che propinavano al sud, facevano il pizzo con il 20-30 % di tassi che applicavano agli enti pubblici. Si trattava di una delle truffe più grandi del territorio. Ma questa storia hanno fatto finta di non sentirla. Ci sono voluti anni, battaglie in tribunale e il coraggio di un magistrato che ha riconosciuto che le banche, applicando delle norme in maniera distorta, aggiravano la legge. All’epoca il tribunale, per guardarsi le spalle, nominò un funzionario di Banca di Italia come perito, il quale andò ad analizzare solo un terzo del puzzle. La mia fortuna è stata quella che m’hanno rubato talmente tanti soldi che, i direttori delle banche in questione vengono assolti, ma io vengo riconosciuto vittima d’usura”.

Ma per Nino De Masi non sarebbe più in discussione il reato “passato in secondo piano. Qui qualcuno fa ancora finta di non vedere e non capire e si prende per buona la perizia fatta dieci anni fa dal perito di Banca di Italia, dimenticando che la legge è stata chiarita sull’uso dell’usura e su come si compone il costo del denaro. Io ho chiesto quello che la legge stabilisce, ossia il mutuo anti-usura, ma non mi è stato concesso, mentre la legge 108 del 1996 dice che chi denuncia deve avere un canale privilegiato perchè si trova in uno stato di bisogno. A questo punto io ho lottato per cinque anni, sono andato al Tar per 7-8 volte e alla fine il Tar si pronuncia e dice al Commissario anti-racket: dovete pagare il mutuo”. “Sono stato il primo e l’unico in Italia a chiedere ed ottenere il commissariamento del Commissario anti-racket. Sarebbe stato facile per me prendere quel provvedimento e portarlo alla luce del sole, a conoscenza di tutti. Ma non l’ho fatto perché non voglio mettere in discussione il Ministero dell’Interno e le altre istituzioni alle cui porte io busso alla porta per chiedere protezione”.