Obiettivo approvare la norma blocca-Ruby prima della chiusura estiva delle Camere

Questo pretende Berlusconi prima delle vacanze. Questo sta chiedendo ai suoi ormai da giorni. “Dobbiamo opporre resistenza e far capire con nettezza che non piegheremo la testa di fronte a questa nuova ondata di giustizialismo dilagante”. Niente di meglio, per riuscirci, che un’altra delle sue leggi ad personam. Quella ribattezzata “processo lungo”, che contiene già due zeppe per rallentare i dibattimenti, in particolare i suoi a Milano, Ruby, Mills, Mediaset, Mediatrade. Più poteri alle difese nell’imporre ai giudici la lista dei testi, divieto di usare le sentenze definitive già nei processi in corso. Ma soprattutto l’assist, quella piccola regola che impone, sempre ai giudici, di fermare le udienze in presenza di un conflitto di attribuzione. Giusto il caso di Ruby e di Mediaset. La Lega già rumoreggia perché l’originario disegno di legge Lussana sul divieto di ottenere il rito abbreviato per i reati da ergastolo è stato stravolto. Ma anche a costo di andare, come per certo si andrà, a un nuovo scontro con il Quirinale, il Cavaliere ha imposto al gruppo del PdL di piazzare il “processo lungo” nel calendario d’aula la prossima settimana, da martedì, sfidando il centrosinistra e giusto in tempo per essere approvato prima delle ferie. Il premier non è riuscito, come avrebbe voluto, nell’originaria pretesa di chiudere la partita addirittura anche alla Camera. Gli hanno spiegato che avrebbero dovuto tenere i deputati incollati alla sedia fino a ferragosto e questo avrebbe prodotto un altro risultato negativo: far chiudere subito anche la partita sull’arresto di Marco Milanese. Berlusconi conta ora sul fatto che l’approvazione del ddl in un solo ramo del Parlamento – palazzo Madama – possa consentire ai suoi avvocati di premere in Tribunale per fermare i processi. Il braccio di ferro con il Quirinale e con l’opposizione è comunque assicurato, in questo scorcio di luglio caldo. Potrebbe coincidere anche con l’ultima settimana da Guardasigilli di Angelino Alfano. Lui vuole andare via a tutti i costi dal governo. Vuole mani totalmente libere sul PdL. A Napolitano ha detto “sto per lasciare”. Ma la transizione è difficile. La carta giusta ancora non c’è. E ai vertici del PdL c’è chi assicura che il cambio di guardia si farà all’inizio della prossima settimana (anche perché Napolitano a metà settimana andrà in vacanza) e chi invece è certo di un rinvio a settembre. Potrebbe anche diventare necessario imporre la candidatura a chi, per esempio il vice presidente della Camera Maurizio Lupi, preferisce fare quello che sta facendo e occuparsi del partito. Finisce nel grottesco questa sostituzione. Tutti smaniano solitamente per fare il ministro, ma adesso nel PdL nessuno vuole diventare un “Guardasigilli breve”, di breve durata se ad ottobre matura la crisi, con più oneri che onori, soprattutto nel pieno di una nuova Mani pulite. E con un governo che, come rivelano gli stessi sondaggi di palazzo Chigi, non ha mai toccato punte così basse di gradimento. L’ultima rilevazione, planata sulla scrivania del Cavaliere tre giorni fa, dà la sua fiducia al minimo storico con il 25 per cento, mentre quella del governo nel suo complesso è scesa al 26%. Numeri da brivido, a cui fa invece da contraltare la popolarità al 90% del capo dello Stato. In questa situazione il premier non è riuscito, come invece avrebbe voluto, a ottenere da Umberto Bossi alcuna assicurazione circa le intenzioni del Carroccio. Ieri la prevista telefonata tra i due leader non c’è stata e con la Lega resta il gelo. Lo dimostra, da ultimo, la contrapposizione sul disegno di legge Calderoli di riforma della Costituzione. Nel PdL infatti non ne vogliono sapere, lo ritengono pieno zeppo di errori. I senatori di Berlusconi non hanno alcuna intenzione di dare il via libera a un testo che lascia ai soli deputati il privilegio di votare la fiducia al governo. Con palazzo Madama che, di fatto, sarebbe ridotto a una sorta di Conferenza Stato-Regioni più larga. Per questo ieri in Consiglio dei ministri il ddl è stato approvato “salvo intese”, ovvero resta sospeso in un limbo finché non sarà trovato un accordo dentro la maggioranza. Calderoli non l’ha presa bene e si è rifiutato di scendere in conferenza stampa insieme a Berlusconi.