Don Tonino, combattere la ‘ndrangheta 24 ore al giorno

Don Tonino Vattiata, 34 anni, è il prete coraggio di Pannaconi di Cessaniti, in provincia di Vibo Valentia, è balzato agli onori della cronaca per un vile attentato subito davanti alla sua auto, incendiata. Don Tonino, componente dell’associazione “Libera” di Don Luigi Ciotti, è e rimane in prima linea contro la criminalità organizzata. Il prete coraggio ha fatto parlare di sè l’Italia ed è stato intervistato anche dal Tg5. Riportiamo per i nostri lettori l’intervista al “piccolo-grande eroe dell’antimafia, che combatte la ‘ndrangheta dal basso e che non ama gli slogan istituzionali”.
Come si sente a poche ore dall’attentato? “Sicuramente i primi momenti sono quelli più tesi, quelli in cui non vai alla ricerca di una spiegazione razionale ma ti dai da fare per cercare di tamponare la situazione. Nelle prime ore quando mi sono accorto che la macchina era in fiamme, mi sono subito adoperato con alcuni giovani che rientravano da una festa paesana, in attesa che arrivassero i vigili. Dall’indomani mattina ho iniziato a ragionarci su e a collaborare con le forze dell’Ordine. Un dato è certo: questo è avvenuto perché sto svolgendo il mio lavoro non da solo ma con la grande collaborazione della gente”.  Anche in passato era stato vittima di intimidazioni? “Non è la prima volta che mi succede un episodio così grave. Un anno fa a Sant’Onofrio ho partecipato alla manifestazione religiosa della “Affruntata” e li ho ricevuto una minaccia esplicita da parte di un componente di un clan locale. Non mi sono scomposto più di tanto e l’ho denunciato, facendo nome e cognome. Se devo esser sincero le cose le vivo con molta lucidità, non mi lascio prendere dal nervosismo, né da piagnistei o vittimismi vari. Bisogna capire cosa sta succedendo non a me ma anche a me, perché questo è un territorio fortemente vessato dalla ‘ndrangheta”. Dove e come si è formato Don Tonino? “Prima di diventare sacerdote sono stato in seminario, ho studiato a Napoli dai Gesuiti. Mi sono sempre posto il problema delle difficoltà che vive la nostra società italiana e questo mi ha spinto già all’epoca a lavorare 2 anni presso il carcere minorile di Nisida, che è una realtà molto dura e molto difficile. Sono entrato in contatto con killer o i boss in erba dell’hinterland campano, cercando di svolgere un’opera di recupero delle persone che lanciavano segnali di disponibilità. Ho lavorato anche al servizio di padre Rastrelli, che lì a Napoli è uno dei capisaldi della lotta all’usura”. In cosa si differenzia la ‘ndrangheta dalla camorra? “La Camorra è molto più legata al territorio in cui vive, la ‘ndragnheta invece ha superato i confini. Non dimentichiamo la famosa strage di Duisburg. E’ arrivata oltralpe, agisce con altre istituzioni, con altri sistemi, con altri Stati. Basti pensare che uno dei boss di San Luca è stato arrestato in Danimarca e trovato un milione di euro sotto il letto. La ‘ndrangheta è una mafia che gioca in borsa, che investe, che ha un ascendente fortissimo sulla politica. E come direbbe il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, oggi il limite fra Stato e anti-Stato non si nota più”. Come sono stati i suoi primi anni di sacerdozio? Come le è scattata la molla dell’antimafia? “Una volta diventato sacerdote i primi anni l’entusiasmo mi ha travolto. Ma a sei mesi dalla mia ordinazione sono stato catapultato nel comune di Gerocarne, dove un mio ragazzo della parrocchia è stato violentemente ucciso per mano mafiosa. Un ragazzo che aveva avuto dei trascorsi di delinquenza ma era uscito da determinati giri. Anche grazie al mio aiuto e alla mia vicinanza. Tutto ciò mi ha spinto a fare una scelta di campo”. Ha un modello a cui ispirarsi? E come si è avvicinato a “Libera”? “Un giorno leggendo la biografia di Paolo Borsellino, scritta da Carlo Lucentini. Alla fine di questo libro mi sono chiesto: come voglio stare in Calabria? Tanti giovani sacerdoti hanno magari altre ambizioni di studiare o fare carriera. Purtroppo esiste anche questo fenomeno nella Chiesa, denunciato fra l’altro da Papa Benedetto XVI. Invece io sono voluto restare e alle mie condizioni, non a quelle di altri. Sono uscito fuori dalla sacrestia, dove tante persone vorrebbero che i preti stessero. Di lì ho avuto i primi contatti a Reggio Calabria con Mimmo Nasone del coordinamento regionale di “Libera”. Un giorno dopo ho incontrato Don Luigi Ciotti, che già avevo conosciuto per due giorni durante la mia permanenza a Napoli. Dopo quattro anni è nata “Libera” a Vibo Valentia”. Quali sono state le sue altre tappe? “Nel frattempo ho girato diverse comunità fra cui Vazzano, vicino Soriano Calabro, dove ho operato per 5 anni. Poi una parentesi per motivi di salute e da un anno mi ritrovo a Pannaconi che non un’isola felice. Qui ci sono delle figure malavitose emergenti e pericolose”. A 20 anni dalla morte di Libero Grassi cosa significa “pizzo” in Calabria? “In Calabria il pizzo resta un grosso problema perché non c’è una scelta di campo seria. Lo dico come operatore più che come uomo di Chiesa: non bastano più gli slogan, gli striscioni, i manifesti nelle piazze o sui palchi. Per me sono fumo negli occhi. Oggi se si vuole fare una lotta incisiva al racket bisogna bandire quei commercianti o quegli imprenditori che fanno affari con la ‘ndrangheta o che a volte si servono di essa. Ben vengano le stazioni uniche appaltanti, ben vengano gli interventi delle Prefetture circa il rilascio del certificato antimafia. Ma non possiamo fermarci a questi strumenti”. Qual è l’antidoto anti-‘ndrangheta? “Dobbiamo pensare che la ‘ndrangheta ragiona contro lo Stato per 24 ore al giorno. L’azione di contrasto non si può limitare a 6-8 ore giornaliere. Esprimo sempre la mia vicinanza alle forze dell’Ordine che fanno un’opera straordinaria. Ma lavorano in condizioni esasperate e a volte non hanno nemmeno carta e penna”. Esiste una ‘ndrangheta di serie A e una di serie B? “Non è possibile pensare che il problema ‘ndrangheta sia solo circoscritto alla provincia di Reggio Calabria. Lì potenziano tutto, mandano gli investigatori migliori, i magistrati più integerrimi, fanno le operazioni eccellenti, isituiscono l’agenzia dei beni confiscati. Non è giusto, Reggio è una realtà più grande ma non dobbiamo nascondere che nel Vibonese si stanno toccando dei livelli molto più bassi. Vanno potenziati i sistemi repressivi in tutte le cinque Province. Che opinione si è fatto dell’intervento politico?
“Se fossi un parlamentare locale non andrei fiero delle dichiarazioni di Maroni sull’invio di altre 20 unità e mi dimetterei. Purtroppo esistono politici e politicanti. I primi sono pochi, i secondi sono assai. Non abbiamo bisogno di elemosina ma di risposte certe”.  Ha un messaggio finale da lanciare? “Dobbiamo stringerci affinchè questi fatti non accadano più non solo a Don Tonino ma anche al povero padre di famiglia che va a lavorare e deve subire angherie del genere”.