Gioia Tauro, Marina tra storia e romanzo

Gioia Tauro, tutti lo sanno, è una città con una storia antica alle spalle, una storia proiettata sul mare, le avventure dei suoi uomini che hanno solcato il liquido elemento si raccontano ancora oggi e sono il vanto dei loro discendenti.Uomini che vivevano il mare prelevandone razionalmente e periodicamente i frutti e vivendone lo spirito; erano i pescatori di un tempo ormai demolito,  amavano il mare e i pesci, rispettavano ciò che per loro era fonte di sostentamento e di vita,e di questo hanno vissuto per secoli gli uomini  e le donne di Gioia Tauro.

Ma mare significava anche barche, queste affascinanti creature,senza la quali non sarebbe stato possibile pescare,commerciare, scoprire nuovi mondi.Senza di esse questi uomini non avrebbero potuto navigare.Sognare.Vivere.

Fino a non molto tempo fa , era possibile vedere ondeggiare nelle acque dello spumeggiante mare gioiese, le ultime e caratteristche barche:le “Rinchie”

Le Rinchie, prima che delle barche dalle inconfondibili caratteristiche di alto valore tecnico,erano considerate un gioiello inimitabile di uno dei più antichi mestieri locali, una delle più alte creazioni dell’ingegno e della abilità dei “maestri d’ascia” gioiesi.

Dallo scafo in prezioso legno nostrano,  lungo e armonioso,armate a vela latina ,queste tipiche barche erano lunghe da venti a trenta palmi (da 5.20 a 7.80 metri, essendo un palmo corrispondente a cm.26) , furono destinate principalmente alla pesca del pesce azzurro in acque territoriali e, non essendoci  all’Epoca altre vie di comunicazione se non quella del mare.venivano utilizzate anche per il trasbordo e lo scambio delle merci varie  con  la vicina Palmi e gli altri  paesi rivieraschi fino alla  vicina Sicilia.

Chi può mai dimenticare“L’Arnaldo e”l’Anna”,le due mitiche Rinchie gemelle che appartenevano alle famiglie Monteleone e Idato:vero concentrato di tecnica e di bellezza.Le due “farfalle del Mare”erano chiamate per via delle loro ineguagliabili linee leggere ed armoniose e della considerevole velocità che riuscivano ad ottenere.Con quel loro albero e l’antinna(antenna) inclinata in avanti,in una  posizione quasi ostinata, sembrava che non si volessero mai fermare quando,per puro divertimento,si sfidavano amichevolmente in qualche gara.Con le Rinchie,i coraggiosi marinai-pescatori, del borgo della marina di Gioia Tauro,tutte le mattine di buon’ora,con le loro vele bianche a forma di triangolo, sospinti dal tanto amato “terraniu”(generosa brezza che soffia da terra), come tante farfalle partivano tutte quante insieme  e si spingevano al largo,talvolta fino alle coste siciliane e di Capo Vaticano e,con i loro “Mestieri”(attrezzature di pesca:a minaita,a tremagli,u conzu ed altre ancora) andavano alla  ricerca dei tesori del mare: la pesca ed i pesci, il lavoro ed i trasporti. Governare queste barche non era facile,perchè con questo tipo di vela,in caso di vento forte,si inclinavano moltissimo e ciò rapresentava  un certo grado di pericolosità per cui richiedeva  grande maestria e massima perizia  per evitare qualsiasi pericolo di capovolgimento; il che riusciva assai bene agli abili pescatori gioiesi.Ma, però, non sono mancati i casi in cui,per lo scoppiare di un’improvviso temporale,i stessi pescatori erano costretti a rifugiarsi ed approdare in altre spiaggie, a volte anche per diversi giorni,lasciando nello sconforto e nell’angoscia i propri familiari che pregando attendevano  il loro ritorno.

Ma nonostante le insidie, i pescatori volevano bene a quel mare perché li aiutava a vivere, ma lo temevano e lo rispettavano tanto che erano soliti ripetere sempre ilvecchio adagio  “ Ntò mari non d’avi taverna” (in mare non ci sono ripari).

Le Rinchie, colorate d’azzurro con tre fascie sovrapposte (verde, bianca, rossa) fino  a non molto tempo fa, con il loro armonioso profilo ,spiccavano tra le sagome di tante altre barche e, la spiaggia di Gioia Tauro, che  prima era una selva di alberi e antenne, oggi appare priva di rumori, di reti, di corde, di vele stese ad asciugare e di quelle belle barche tirate a riva, evocano un’emozione, un ricordo, che non può essere delle ultime generazioni, perché sono più giovani del tempo che fu, ma che gli appartiene ugualmente perché nel tempo dai racconti dei loro padri e nonni hanno imparato a conoscerlo ed amarlo.