Gioia Tauro, scoppia l’emergenza lavoro chiudono anche le Ferrovie taurianensi

I dipendenti delle Ferrovie della Calabria hanno occupato nella giornata di ieri la sede di Gioia Tauro nel Reggino per protestare contro la decisione di chiudere il tratto ferrato da Gioia a Cinquefrondi (dopo la tratta di Palmi) arrivata all’improvviso nella giornata di lunedì con un fax direttamente dal Ministero. Da ieri a mezzanotte, infatti, non si sta più circolando sulle linee per mancanza di sicurezza come certificato dall’Ustif, organismo di controllo del Ministero. Alcuni lavoratori sono saliti sul tetto minacciando di gettarsi giù, si sono verificati alcuni momenti di tensione con la disperazione dei dipendenti che temono la perdita del posto di lavoro. La vicenda è molto complessa in quanto le stesse linee pare che vantino ingenti crediti da parte della Regione per il servizio di trasporto locale e anche per la situazione non certo felice dell’azienda da alcuni mesi a questa parte si vive in un’estenuante attesa di trattative che vedono anche l’interessamento della Piana Multiservizi quale investitore. Ma le cose sono cambiate perché le linee sono del tutto ferme. Altissimi i disagi per i pendolari, neanche i trasporti su gomma hanno funzionato per via della protesta pacifica tenuta sotto controllo dagli uomini della Polizia, dei carabinieri, con l’ausilio anche della Polizia municipale e dei vigili del Fuoco che hanno presidiato l’area per i lavoratori saliti sul tetto. Nel pomeriggio è arrivato il neo Presidente della Provincia Giuseppe Raffa che ha contattato il consigliere regionale ai trasporti Fausto Orsomarso ed il presidente Scopelliti i quali hanno garantito la presenza ad un tavolo che si terrà proprio a Gioia Tauro nella giornata di venerdì alle ore 11:00. La situazione è in parte rientrata con i lavoratori che hanno iniziato a scendere dal tetto, rimanendo comunque in stato di agitazione. Adesso si attende il tavolo di venerdì al quale dovrebbe essere presente qualche membro dell’azienda. La Piana è costretta a fare i conti con l’ennesima crepa lavorativa in un sistema già debole.