In Senato la Lega voterà il decreto missioni ma darà lo stop sulla Giustizia

Si alle missioni all’estero da parte della Lega Nord salvo la posizione “personale” di Roberto Castelli. Ma nonostante le rassicurazioni arrivate nel weekend sulla tenuta e la compattezza del Governo, i motivi di attrito tra il Carroccio e il PdL restano tanti: il passaggio alla Camera del decreto, il provvedimento sul “processo lungo” in Senato, la richiesta di arresto per Marco Milanese. Temi che potrebbero essere all’ordine del giorno del Consiglio federale convocato per venerdì a via Bellerio. Convocazione che potrebbe indurre Umberto Bossi a trattenersi tutta la settimana a Milano, rinviando ancora il faccia a faccia con Silvio Berlusconi. Il decreto che rifinanzia le missioni all’estero dovrebbe filare liscio oggi, 26 luglio, in Senato, ma la posizione “di coscienza” espressa da un big come il vice ministro alle Infrastrutture rischia di autorizzare lo stesso atteggiamento anche in una pattuglia di leghisti alla Camera: “Pure i deputati hanno una coscienza”, è la battuta che circola tra i padani di Montecitorio. Del resto, anche Roberto Calderoli – nel confermare il sì leghista al decreto – ha riconosciuto che “non comprendo e non condivido” la missione in Afghanistan che ha visto un altro caduto italiano. Ragion per cui si dovrà “completare la exit strategy” avviata con il decreto in discussione. Ma proprio su questa posizione leghista il Pd potrebbe avere margine di manovra: contro la decurtazione di 17 milioni per la cooperazione disposta dal Governo che ha presentato un emendamento soppressivo dello stanziamento deciso in Commissione i democratici hanno annunciato battaglia, arrivando per la prima volta ad ipotizzare di non votare il decreto, pur riconfermando di essere favorevoli alle missioni. Se fosse questa la scelta, la posizione leghista – soprattutto alla Camera dove potrebbe essere più consistente il numero dei “casi di coscienza” – provocherebbe conseguenze più evidenti. Altro capitolo su cui i “maldipancia” leghisti – come li chiama un deputato – potrebbero venir fuori, è il cosiddetto “processo lungo”. Partito con altro spirito a prima firma della padana Lussana, il provvedimento su rito abbreviato ed ergastolo ha in corso d’opera imbarcato la norma che consente alle difese di chiamare quanti testimoni ritengano, allungando in questo modo i tempi dei procedimenti; e rischia di dover ospitare anche la norma ‘salva-Ruby’, ovvero la sospensione automatica dei processi per i quali sia stato sollevato conflitto d’attribuzione. Norme che anche molti leghisti considerano ‘ad personam’, e che stridono con il nuovo corso inaugurato dal sì all’arresto di Papa. Ancora una volta è stato Calderoli a dare voce all’irritazione leghista, osservando che il sostituto di Angelino Alfano al ministero della Giustizia dovrà essere qualcuno che “non parla con gli avvocati del premier”. E in Senato già sarebbero arrivate al relatore Roberto Centaro sollecitazioni a riportare il testo alla versione originaria, dunque senza infilarci la ‘salva-Ruby’ ed espungendo il ‘processo lungo’. L’ultimo capitolo di tensione potrebbe essere infine la richiesta d’arresto per Marco Milanese. Ma in questo caso Calderoli frena le voci che vorrebbero i deputati leghisti – soprattutto quelli più vicini a Roberto Maroni – già pronti a dare l’ok alle manette: “Bisogna verificare, per lui come per tutti. Sentiremo anche cosa ha da dire, bisogna saper distinguere tra le ondate mediatiche e la sostanza”. Una frenata che un dirigente leghista spiega così: “Su Papa bisognava dare un segnale a Reguzzoni, un altro a Berlusconi, e poi stoppare l’ondata di antipolitica. Ma questo non significa che la Lega sia diventata giustizialista. Certo, se dovessero emergere con nettezza fatti particolarmente gravi sarebbe un conto, ma prima bisogna vedere le carte”.