La coscienza della memoria

Vincenzo Calafiore

“ ….. questo ho pensato, se mai mi fosse venuto meno

l’udito, non sarebbe stata una grave perdita,

tutto quello che valeva la pena, imparare, ascoltare,

era già stato scritto e l’avrei potuto riscattare

con gli occhi…..  ( da: Il Moto della lentezza ) “

Vincenzo Calafiore

Agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa come curare;è quella malattia che non ti fa stare bene in questa società ottusa e decadente. Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo dovrei ritenerlo una fortuna.

Il mio vecchio insegnante di latino mi insegnò a leggere, a pensare. Mi mostrò dei libri e mi trasmise il suo amore per loro.

Non ebbi scelta, fu la sua eredità.

Lui mi disse che con i libri non mi sarei mai sentito solo.

In una stanza illuminata dalla fioca luce di una candela, ho capito quanto fossero importanti gli occhi. Gli occhi per sentire, gli occhi per parlare, per leggere, per scrutare l’infinito di una pagina, in una parola.

Le parole esistono per essere plasmate dalle mani, tutte quelle che già erano state concepite e quelle che potevo inventare: questa è la materia di cui sono fatti i libri!

E sono loro a salvare dalla solitudine.

Penso che la memoria abbia una sua coscienza, quella che le permette di farci ricordare di più le cose belle invece che le brutte.

Successe un giorno di maggio, nel pomeriggio.

Accadde lentamente.

Cominciai a sentire forti dolori al petto, mi pizzicai senza farci caso, aspettai che il dolore mi passasse. Non successe.

Portai la mano ancora sensibile all’orecchio, spaventato da quella forte scossa tellurica in me…

E tutto finì.

Mi sono ritrovato in una stanza bianca con tanti fili addosso; alla fine venne un medico a parlarmi.

Mi spiegò che si era trattato di un infarto.

Questo ciò che accadde.

Mi ha trasformato in un altro uomo.

Quando uscii da quella stanza, mentre tutti si sforzavano di capire cosa mi fosse successo, presi la mia penna stilografica, la accarezzai, la strinsi, cercai di tenerla saldamente, prese a scrivere da sola, senza seguire la mia traccia. Le lettere non affioravano nonostante le concepissi con chiarezza nella mia mente.

Non c’era più la mia voce era cambiata, anche la mia facoltà d’espressione e il linguaggio, era, è come se non volessi più comunicare con il mondo esterno.

Per il momento mi stancavo a leggere, scrivere, parlare.

Ero un esule e lo sono ancora. In questo mondo lontano e distante, vivo da esule.

Ci sono molti istanti di silenzio nella mia nuova vita, forse anche troppi, in cui pensare agli orrori degli anni negati per sopravvivere!

Sono un vagabondo.

Me ne sono andato da questo – mondo – per l’orrore di cui ti sto parlando. Come ho potuto riconoscerlo e contemporaneamente continuare a vivere?

Ho pensato che l’isolamento e la solitudine mi avrebbero aiutato a non sentirmi estraneo …, mi sono sforzato a scacciare dalla mia mente tutti i pensieri sinistri, mi sento minacciato, e la causa è la paura ….

Sono felice della mia esclusione dal mondo fino a trasformarmi in un apatico, in un indifferente.

Rimasi a guardare il fuoco, come se il fuoco potesse trovare una via d’uscita, come se in quelle lingue arancione potessi trovare una risposta; vorrei provare a volare con le ali di parole prima che il mio cuore vada a pezzi; l’impotenza è il linguaggio di questo mondo, l’impotenza per i morti vivi, quelli che ho intravisto dai finestrini di un treno nelle stazioni di solitudine, nelle rovine di Milano.

Quelli che protestano contro la fame e l’umiliazione, quelli che spariscono per sempre.

Me ne sono andato via da questo mondo che permette la barbarie di ammucchiare e spezzare corpi  fatti per reinventare l’amore e per esplodere di felicità. Come fate ad avere il coraggio di fare violenza o uccidere la sola specie capace di procreare e che ha saputo rinunciare alla propria vita in certi casi.

Il fatto è che la vita vince sempre, come l’amore.