Non smetterò mai, di amarti

…. Lavinia mi chiedi se ti amo,

si che ti amo, non smetterò mai di amarti,

anche se dovessi inventarmi una vita.

Il tempo è qui sulla mia pelle, nei giorni inventati

con una casualità disordinata, lui non ha memoria.

Per me anche la memoria ha un suono, è un suono,

forse soltanto un modo di abbassare la voce qui

dove tutti urlano….. “

Vincenzo Calafiore

 

 

Per amarti, o per poterti amare mi sono inventato un linguaggio mio: i miei occhi!

Non servono solo per guardarti, ti dico tutto con gli occhi e colgo con gli occhi ciò che i tuoi dicono.

L’amore, è ciò che vorrei dirti, e che  quello che sento in me è nei miei occhi.

I miei  occhi e i tuoi Lavinia si cercarono in quell’atmosfera rarefatta dei giorni, piena di silenzio e si incontrarono. . ….  quei tuoi occhi grandi come cielo di notte che tentano di nascondere le vette della tua tempesta !

Guardo la pioggia insistente, dalla mia finestra. E penso all’estate, alle spiagge assolate, ai miei capelli bianchi, al chilo di troppo; non posso essere invecchiato in un anno … è che senza mai guardarsi allo specchio si vedono cose che prima non si notavano.

Penso che vorrò una vita intera senza specchi.

Non hai mai capito che vivo di te, ti sei sempre tenuta alla larga dai turbamenti, quelli che io, da qualche parte dentro di me, sento.

Amore! Ecco, la parola che non trovo in questa follia, in questa folle vita, folle cruciverba che sto facendo da tanti anni, forse l’ultimo prima che anche il mio cervello diventi un grafico e si trasformi in un indecifrabile, anomalo cruciverba.

Mi piacciono quegli schemi con i loro spazi esatti, caselle nere e caselle bianche, senza possibilità di approssimazioni o scappatoie; ma non spiegano cosa sia l’amore.

Ma un poeta si, che ne è capace … ricordo i vuoti di Mallarmé, gli spazi nella sua poesia lasciati in bianco come fossero pieni, il vuoto non come spazio da riempire ….  Il vuoto come linguaggio in sé. Forse il bianco nasconde un significato preciso, come i tuoi occhi Lavinia ?

Gli ingredienti immutabili dei miei giorni : ricordi, desiderio, attesa .

Oscillo tra questi tre.

La luce del mattino illumina i vasi di vetro trasparenti pieni di pezzi di vetro colorati che ho raccolto su tutte le spiagge dove sono stato, grandi e panciuti, sento la levigatezza del vetro e penso che la luce li riscatti dall’oblio, dall’oscurità della – dimenticanza -, per un momento mi illudo di comprendere tutto, quanto da te mi separi.

C’è stato un tempo in cui non si buttava via niente, nemmeno la speranza.

Un bacio era una cosa rara nella vita di una persona e veniva custodito come un tesoro. Il dolore si conservava gelosamente per non dimenticarlo. E da quello si imparava.

Adesso consumiamo tutto, rompiamo tutto, ci disfiamo di tutto.

Io e la mia vita non ci siamo conosciuti.

Guardo le mie mani nervose, agili,, mani esperte.

Noi facciamo con le mani quello che abbiamo visto fare prima di noi. Le mani hanno frugato nella terra, fregato per terra, hanno spezzato il pane, hanno lasciato la loro impronta nella pasta, nel pane, sui manici, sui ferri di lavoro, sulle armi.

E ci sono state mani che hanno preso una penna e hanno tracciato un filo che gira intorno al mondo, hanno scritto lunghe lettere, diari, libri ….. le mie mani discendono da queste e parlano di te, Lavinia.

Prima, nell’amore, l’unione della carne era un linguaggio, i baci erano un linguaggio. Il silenzio era un linguaggio grazie al potere della carne.

Adesso, la carne non da più conferme.

Tutti fantocci, amputati, rappezzati dalla testa ai piedi!