Il Monte Nero

il monte nero

Il “ Monte Nero “

Di Vincenzo Calafiore

06 Settembre 2023 Udine

​​​​È la montagna più alta (m. 2245) del bastione che si erge sulla sinistra del fiume Isonzo, e che dalla conca di Plezzo, per le successive vette dei monti Rosso, Sleme, ​Mrzli e Vodil, digrada nella conca di Tolmino.

Le truppe italiane, subito dopo aver varcato il confine (24 maggio 1915) e passato l’Isonzo nella conca di Caporetto, risalirono le prime pendici del Monte Nero espugnando l’intero contrafforte Vrsic-Vrata.

​La conquista del monte però s’imponeva per dar sicurezza alle nostre posizioni sulla sinistra dell’Isonzo e per lo sviluppo della manovra verso Tolmino. L’attacco fu ordinato dal generale Donato Etna, comandante dei due gruppi alpini A e B (della 2a armata) operanti nella zona, per la notte sul 16 giugno; esso doveva esser condotto di sorpresa.

Truppe alpine del gruppo A dovevano muovere dal Kozliàk, e reparti del gruppo B dal Vrata. L’incarico dell’attacco dal Vrata fu affidato alla 35a cp. del battaglione Susa, comandata dal capitano Vittorio Varese; dell’attacco dal Kozliàk, fu incaricata l’84a cp. del battaglione Exilles, comandata dal capitano Vincenzo Arbarello, mentre un’altra compagnia di questo stesso battaglione (la 31a), al comando del capitano Rosso doveva puntare sulla destra dell’84a, verso la sella fra monte Nero e monte Rosso.

L’azione riuscì perfettamente; la colonna del capitano Arbarello, mossa dal Kozliàk alla mezzanotte, prima dell’alba raggiungeva la sommità del monte, e, piombata di sorpre​sa sui difensori, li travolgeva alla baionetta, parte uccidendoli, parte volgendoli in fuga. Parimenti fortunata volgeva l’azione dalla parte del Vrata, dove gli alpini del Susa, irrompendo altrettanto inattesi nelle trincee avversarie, costringevano quasi tutto il presidio austriaco alla resa (oltre 200 uomini con 12 ufficiali). La conquista del Monte Nero, così rapida e travolgente, fu definita dagli stessi austriaci « un colpo da maestro », e rimase sempre, per tutta il conflitto, uno degli esempi più luminosi e gloriosi di guerra alpina. Per essa i battaglioni Susa ed Exilles ebbero la medaglia d’argento al valore militare; il capitano Vittorio Varese (morto poco più tardi di malattia) la medaglia d’oro, ed il capitano Arbarello (travolto nell’aprile del 1917 da una valanga, in Carnia) la croce di cavaliere dell’O. M. S.

La Cima tra le cime, serba in se come eterna memoria ciò che è andato perduto, ma c’è! E’ qui tra le trincee che guardano lontano.

Si tratta di vite rimaste qui in un’eternità promiscua, lo stesso sangue in lingue diverse.

Mi viene in mente la bellissima poesia-canzone “ Stelluttis Alpinis “ canzone friulana.

Composto a Firenze quando era sfollato, causa l’occupazione tedesca della natia Pontebba e del Friuli, presso la locanda “Al Porcellino” e lì eseguita per la prima volta da un improvvisato coro di pontebbani profughi, accompagnati al pianoforte dalla signora Pia Borletti in Nassimbeni. Prima esecuzione a Udine il 5 dicembre 1920 nella sala del palazzo Bartolini (oggi biblioteca comunale) da parte della Società Corale di Pontebba diretta dall’autore. Il testo si richiama alla villotta friulana, in versi ottonari; la forma musicale mostra due parti superiori (tenori primi e secondi) che procedono per moto parallelo e una o due parti inferiori (bassi e baritoni) “contrappuntano” sui gradi fondamentali della scala, in questo caso di Re maggiore.

Il testo, pur non facendo riferimenti espliciti a scritti religiosi o liturgici, è sovente cantato durante le celebrazioni liturgiche a cui partecipano i militari di montagna. Il brano è stato eseguito da note formazioni come i Philippines Madrigal Singers di Manila o il coro Tone Tomsic di Lubiana. Numerosi anche i compositori che hanno tenuto in considerazione la melodia del brano per una rivisitazione, come Antonio Pedrotti per il coro della SAT, Mario Lanaro, Lamberto Pietropoli. Fra chi ha tratto ispirazione dal brano vi è anche il cantautore Francesco De Gregori, che l’ha tradotto in lingua italiana arrangiandolo per voce singola nell’album Prendere e lasciare. L’interpretazione del brano è “sottovoce”, con crescendo per l’enfatizzazione di alcune parole. Una forma di madrigale moderna che narra di un alpino morto nella grande guerra, il quale si rivolge alla propria sposa, ricordandole che lui, come la stella alpina, le saranno sempre accanto.

TESTO : FRIULANO

«Se tu vens ca su ta’ cretis,
là che lôr mi àn soterât,
al è un splaz plen di stelutis:
dal gno sanc ‘l è stât bagnât.

Par segnâl une crosute
je sculpide lì tal cret:
fra chês stelis nas l’arbute,
sot di lôr jo duâr cuièt.

Cjol sù, cjol une stelute:
je a ricuart dal nestri ben,
tu i darâs ‘ne bussadute,
e po platile tal sen.

Cuant che a cjase tu sês sole
e di cûr tu preis par me,
il gno spirt atôr ti svole:
jo e la stele o sin cun te.»

Italiano

«Se tu vieni quassù tra le rocce,
laddove mi hanno sepolto,
c’è uno spiazzo pieno di stelle alpine:
dal mio sangue è stato bagnato.

Come segno una piccola croce
è scolpita lì nella roccia:
fra quelle stelle nasce l’erbetta,
sotto di loro io dormo sereno

Cogli cogli una piccola stella:
a ricordo del nostro amore.
Dalle un bacio,
e poi nascondila in seno.

Quando a casa tu sei sola
e di cuore preghi per me
il mio spirito ti aleggia intorno
io e la stella siamo con te.»