Don Lorenzo Milani: un testimone profetico dell’amore cristiano, della giustizia e del primato della coscienza

Anche gli alunni del “Don Milani” hanno adottato “I care” del Priore di Barbiana. Nella ricorrenza del centenario della nascita l’Istituto comprensivo I circolo nel plesso della scuola di Vena Superiore (comune di Vibo Valentia) ha organizzato una settimana ricca di appuntamenti

Il 27 maggio ricorrono i cento anni della nascita di un uomo che ha lasciato dei segni profondi nella cultura, nella scuola e nella società: don Lorenzo Milani (Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti). Nasce a Firenze e si spegne a 44 anni sempre a Firenze dopo una malattia, il 26 giungo del 1967.

Per questa importante ricorrenza l’unica scuola del Vibonese intitolata al Priore di Barbiana, il plesso di Vena Superiore dell’Istituto comprensivo del I Circolo (Don Bosco) di Vibo, grazie all’impegno della sua dirigente scolastica Mimma Cacciatore, dei docenti, degli alunni e dei genitori, ha organizzato una serie di incontri e manifestazioni dedicati a don Lorenzo Milani, contrassegnati dal motto caro al sacerdote, “I care, mi sta a cuore”. L’espressione identifica il coraggio di essere in sintonia con la verità della parola evangelica e della Costituzione, lottando con determinazione contro le ingiustizie e mettendo al centro il ruolo fondamentale dell’insegnamento ai poveri, agli esclusi, ai diseredati, per il loro riscatto umano e sociale. Per questi suoi principi e per la coerenza della sua esperienza è stato prima punito dalla Chiesa, esiliato a Barbiana, e poi condannato da un tribunale (postumo, il processo che si tenne a Roma il 28 ottobre 1967) per “apologia di reato” reo di aver difeso 31 giovani che avevano fatto “obiezione di coscienza” al servizio di leva in quanto ripudiavano la guerra e ogni forma di violenza, come testimoniato ne “Lettera ai giudici” (ottobre 1965).

Per restituire il volto e la voce al “Priore di Barbiana” e ai suoi ragazzi, in questa scuola periferica del comune di Vibo Valentia, sono stati previsti diversi appuntamenti, per una esperienza didattica ed educativa che gli alunni  stanno vivendo come un esemplare viaggio nella vita e nell’esperienza di un uomo che ha fatto parlare di sé in tutto il mondo. Lunedì 22 è stato proiettato il film-documentario “Don Milani – Il priore di Barbiana” (di Andrea Frazzi). Martedì 23 sono stati creati ed elaborati cartelloni e altri materiali ispirati alla figura di don Milani e della scuola di Barbiana.

Ieri, (mercoledì 24) l’incontro a partire dalle 10.30, con la partecipazione di mons. Giuseppe Fiorillo che ha conosciuto don Lorenzo e il poeta Andrea Runco sul significato dell’Eredità pedagogica di don Milani a cento anni dalla nascita”. Nella stessa giornata sono stati creati Orti didattici in collaborazione con l’Associazione “Valentia” e guidati dal presidente Anthony Lo Bianco. Ad essere protagonisti alcune classi della primaria e della scuola secondaria di primo grado (media) che hanno ascoltato e partecipato al racconto di mons. Fiorillo sulla figura di don Lorenzo e sul valore del suo insegnamento. In particolare il sacerdote ha ricordato alcuni aneddoti e l’anno in cui ha incontrato don Lorenzo a Barbiana (1966) a pochi anni dalla sua ordinazione e quando il priore stava lottando contro una grave malattia che lo avrebbe portato alla morte l’anno successivo. Andrea Runco, poeta e scrittore non vedente, in virtù dei valori che hanno animato il sentimento di don Milani, ha spiegato i motivi che lo hanno portato a scrivere le poesie dedicate al mondo dell’infanzia contenute nella raccolta “Il tempo dell’incanto”. Temi dominanti l’amore, la pace, la solidarietà, la bellezza della natura, la fratellanza, il rispetto degli altri. Ha contrassegnato il suo intervento con alcune liriche che ha recitato a memoria. Poi è stato proiettato un e-book che è stato realizzato dagli alunni con disegni, citazione e parole ispirati all’opera di don Milani nella scuola di Barbiana. Alla fine dell’incontro è intervenuta anche la DS Cacciatore ringraziando sia gli ospiti che tutto il personale della scuola, compresi i genitori, per l’impegno profuso per rendere accogliente la scuola nel nome di don Lorenzo Milani e rivolgendosi agli alunni ha voluto ricordare il grande valore di un uomo come il priore di Barbiana che ha sacrificato la sua vita per dare la possibilità ai bambini più poveri di imparare.

Infine domani (26 maggio), a partire dalle 10.30, si confronteranno diversi mondi della comunità scolastica, istituzionale e culturale. Dopo i saluti della DS Mimma Cacciatore, seguiranno gli interventi del sindaco dell’Amministrazione comunale di Vibo Maria Limardo, quello dell’assessore alla Cultura Rosa Chiaravalloti, di don Tonino Vattiata (parroco di Vena Superiore), della prof.ssa Rosa Gambardella (referente scolastico Progetto “Noi Magazine”, e di Marialucia Conistabile (giornalista).

Con questo ultimo appuntamento si chiuderà la settimana che il Plesso “Don Milani” del I Circolo di Vibo Valentia ha dedicato alla straordinaria figura di questo sacerdote, educatore, maestro e scrittore che ha consegnato alle future generazioni non solo un’opera esemplare, ma degli autentici testamenti spirituali, umani, etici, giuridici, politici e culturali.

Il nome di don Lorenzo Milani è legato in modo indelebile alla Scuola di Barbiana, ai suoi allievi e alla tecnica didattica della scrittura collettiva che ha lasciato dei testi di grande attualità, come “Lettera ai Cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11 febbraio 1965” (la cui prima pubblicazione appare già nello stesso mese di febbraio); “Lettera ai Giudici” (18 ottobre 1965) e il libro “Lettera a una professoressa”, pubblicato mentre era in fin di vita. Quest’ultimo testo ha segnato un’epoca, si è diffuso rapidamente in tutto il mondo (tradotto tra le diverse lingue anche in arabo e conosciuto dagli studenti della penisola dello Yucatan, Messico): “Lettera a una professoressa ha lasciato segni profondi nella cultura e nella società, in quanto portatrice di un messaggio che ha avuto sul mondo educativo e scolastico l’impatto di un vero e proprio terremoto” (Valentina Oldano, I Meridiani Mondadori, 2017).

A questi testi bisogna ricordare la pubblicazione del precedente volume intitolato “Esperienze Pastorali”, primo e unico libro firmato da don Lorenzo, monografia sulle esperienze pastorali a S. Donato e a Barbiana, con una vicenda editoriale che racconta la radicalità e la profondità culturale e spirituale dei suoi scritti. Finito di stampare il 25 marzo 1958 uscì a maggio e dopo la diffusione e il dibattito che aveva acceso, il Sant’Uffizio decise di far ritirare il libro dal commercio con un decreto, nonostante avesse ricevuto l’imprimatur di diversi prelati (come il cardinale Elia Dalla Costa e del cardinale di Camerino Giuseppe D’Avack). Ma il libro continuò a circolare e alimentare il dibattito.

“Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima”

Don Lorenzo Milani è uno dei testimoni più importanti nella storia della seconda metà del Novecento del nostro Paese, principalmente per la sua attività educativa e didattica e poi per quello che ha saputo lasciare in eredità. La sua lezione è straordinariamente attuale, sia sotto il profilo pedagogico che culturale, etico, giuridico, spirituale e politico. Ha insegnato e testimoniato i valori cristiani e il primato della coscienza coniugandoli con la Costituzione.

Don Milani attraverso la sua azione ha fatto emergere le grandi contraddizioni della società di allora e di riflesso, con visione profetica, di quella attuale. Rappresenta uno dei pochi illuminati che ha unito il pensiero con l’azione, i principi evangelici con l’opera sociale. E ha fatto della scuola di Barbiana un universo  in cui si sono incontrati pedagogia, povertà, cristianesimo, politica, cultura, storia, anima, spirito. Ma nello stesso tempo è stato un uomo dirompente, un radicale disubbidiente nella obbedienza. La radicalità della sua esperienza è stata anche la sua carta di identità. I poteri gerarchici della Chiesa e quelli politici hanno cercato di sradicarlo, ma lui si è radicato in profondità anche in un luogo emarginato come Barbiana, perché è andato alla radice della storia, della parola, della cultura, della legge, dell’amore. Come punto imprescindibile la fede nei valori cristiani e umani. Proprio per questo  ha destabilizzato l’ordine costituito. Non a caso è stato prima punito e mandato in esilio dalle gerarchie cattoliche e poi condannato da un tribunale dello Stato.

Ma la sua testimonianza e la sua opera avranno un potere sempre dirompente in ogni tempo e in ogni luogo. Resterà scolpito sulle tavole della legge il nuovo comandamento, quello del primato della coscienza: “l’obbedienza non è più una virtù.”

La sua storia e la sua figura sono legati in modo indelebile alla Scuola di Barbiana, ai suoi allievi e alla tecnica didattica rivoluzionaria e a quella della scrittura collettiva.

Lettera a una professoressa ha avuto il merito di aprire un dibattito culturale, politico, pedagogico sul ruolo e sulla funzione della scuola pubblica che applicava dei metodi classisti. Attraverso la scrittura collettiva i ragazzi della scuola denunciavano l’istruzione statale che favoriva le classi più ricche mentre permaneva la piaga dell’analfabetismo in gran parte del Paese e respingeva i più poveri. Il famoso incipit è già di un j’accuse:

“Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato tanto a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che “respingete”. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. A Barbiana don Milani mise a punto un metodo educativo innovativo e mai visto prima, in cui la scuola era apoerta, sette giorni su sette, e gli obiettivi e i metodi erano condivisi con gli studenti, adattandosi ai loro ritmi di vita (erano la maggior parte figli di contadini). La scuola di Barbiana (dal 1954 al 1967) è stata un’esperienza fondamentale per don Lorenzo per applicare le sue teorie pedagogiche.

L’emergenza educativa è quella di fronte cui si trova don Milani quando arriva a Barbiana (1954) e man mano mette a punto un vero e proprio metodo educativo. Emblematiche le parole di uno dei suoi allievi Michele Gesualdi (autore del racconto-tetimonianza “L’esilio di Barbiana”):

“Quel pretino, dall’esilio di Barbiana, con la scuola, ha trasformato l’utopia in realtà”. O un passaggio della Lettera: “Se si perde loro i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”

Ma ancora più radicale e con una visione storica totalizzante è stata “Lettera ai giudici” che segue “Lettera ai cappellani militari”, scritta per difendere i ragazzi che erano stati rinchiusi nel carcere militare di Gaeta per aver scelto “l’obiezione di coscienza” al servizio di leva come ripudio della guerra. Per i cappellani militari la loro obiezione rappresentava “un insulto alla patria”, “estraneo al comandamento cristiano dell’amore” ed “espressione di viltà”. Questa lettera gli costa un rinvio a giudizio per “Apologia di reato” e una condanna postuma. Nel memoriale difensivo, “Lettera ai giudici”, si afferma che la virtù si esercita “nel violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede” e “chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri”.

Siamo di fronte ad un documento di eccezionale valore culturale, filosofico, giuridico, pedagogico, etico e politico, nonché testamento spirituale di una eccezionale figura che ha incarnato una visione della scuola capace di entrare in sintonia con il Vangelo e la Costituzione, ma anche con il senso stesso che deve avere l’esistenza, perché ha scavato in profondità il campo su cui si coltiva la comprensione della storia e del presente, gettando una luce illuminante nei tempi che stiamo attraversando, che richiedono sempre di più virtù e tanta disobbedienza, per difenderci dai poteri complici e oscuri che hanno “a cuore” non il coraggio, ma la viltà con il dominio e l’oppressione delle coscienze e l’estirpazione delle emozioni, manipolando la conoscenza, a tal punto che verità e menzogna non hanno più un confine, perché imperano l’inganno delle parole, il pregiudizio e la disonestà intellettuale, che hanno portato alla dissacrazione di ogni predicato e della stessa possibilità di restituire alla parola la sua autentica virtù.

Il problema fondamentale è rappresentato dal ruolo dell’insegnamento e quindi anche dell’insegnante nella formazione della coscienza critica, con il seguente interrogativo:  dobbiamo assoggettarci agli ordini che ci vengono impartiti o cercare di riflettere, e opporre una resistenza costruttiva di fronte al tentativo di opprimere l’esercizio del libero pensiero? Ci dobbiamo chiedere quali siano i principi e la visione etica, umana, politica, culturale che informa il modello da parte di chi dall’alto trasmette determinati ordini o ci impone a pensare in un certo modo; ma soprattutto chiederci cosa si nasconda dietro le parole, dietro i messaggi, dietro le decisioni e i provvedimenti compiuti da chi ha in mano il potere sia istituzionale che occulto dei media. È da questi interrogativi che noi dobbiamo partire per interrogare la realtà che ci viene presentata o rappresentata alla luce dell’eredità di don Lorenzo Milani.

Per comprendere la dirompente radicalità del suo pensiero e l’orizzonte che abbraccia, basta citare alcuni passaggi di “Lettera ai giudici” che dovrebbe rappresentare un “testo sacro” per chi ha cuore laicamente il bene dell’umanità e la giustizia:

“In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.

La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona una obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera suo banco dell’imputato ed è scuola la testimonianza di quei trentuno giovani che sono a Gaeta.”

“Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri…

Questa tecnica di amore costruttivo per la legge, l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei 4 Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che sono venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore.”

“La scuola siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione – con riferimento ai giudici – dall’altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).”

Ed è la proposizione che chiude come un sigillo la lettera a illuminare ogni altra parola:

“Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima”.

La fondamentale questione che oggi stiamo sperimentando e attraversando testimoniata da don Milani con la sua esperienza sofferta ma esemplare e illuminante, è quella che rischiamo continuamente di non riconoscere la parola, di non saper più identificare il suo valore. Richiama tutti noi alla giustizia della parola e alla parola che deve diventare giustizia e coscienza. Le parole rischiano di non riconoscerci: da nostre creature hanno finito per rinnegare i loro padri. Dobbiamo ridare una nuova identità alle parole o restituire la loro vera identità per cui sono state generate e l’originaria missione.

Per quanto riguarda la visione pedagogica e culturale che don Lorenzo ha instillato, tra le molteplici testimonianze dei suoi allievi, si riporta quella di Eduardo Martinelli, più volte in Calabria per partecipare al dibattito sulla scuola. In questo suo intervento racconta il senso profondo del messaggio e il valore pedagogico ed educativo del lavoro che ha compiuto don Milani nella scuola di Barbiana e che rappresenta l’eredità più importante per ogni insegnamento.

 

 

 

Il testo dell’intervento

(Cosenza, 2017, fine giugno)

“Nonostante si viva una fase decadente nel mondo della scuola, ci sono persone che hanno il coraggio di parlare di nuovo di riforma scolastica.

Faccio parte del mondo di Barbiana degli ultimi allievi, i famosi “Gianni” che la scuola di Stato rifiutava e che a Barbiana approdarono per recuperare l’anno. Quello però è anche il periodo più ricco della nostra Scuola, perché si lega alle grandi scritture collettive, “Lettera ai Giudici”, “Lettera a una professoressa”. È il periodo in cui don Milani esce dall’isolamento totale e diventa un punto di riferimento per milioni di persone, nel senso che nasce un vero e proprio movimento di opinione che sfocerà nel periodo delle grandi riforme, il ’68 e “l’autunno caldo”, dove si concretizzano a livello istituzionale tante delle istanze che alla scuola di Barbiana sono maturate. Esiste però anche una grande mistificazione.

Io ricordo poco prima di morire il priore – così noi chiamavamo don Lorenzo-  ci disse: “Nella vita mi hanno perseguitato, da morto mi esalteranno. Però voi difendetemi da ogni sorta di mistificazione”. Beh! Esiste anche quella di provocazione nella “Lettera a una professoressa”: “Arriveranno tutti, dal primo ministro all’ultimo bidello a rigenerarsi a Barbiana”. Ci sono state provocazioni e ci sono state mistificazioni.

In questi giorni  a Barbiana è arrivato anche Papa Francesco, e devo dire che per la prima volta ho avuto il sentore della concretezza. Già quando parlò agli insegnanti cattolici lanciò una frase che secondo me è estremamente significativa, perché spesso si esalta la figura di don Lorenzo, la si mette su un piedistallo, però poi di fatto si crea uno stato di impotenza: nel senso che poi nessuno ha fatto un’analisi concreta, una ricerca epistemologica per esempio sul pensiero pedagogico del priore di Barbiana e di conseguenza anche quello che è emerso nel tempo sui giornali, nelle istituzioni, ha creato, diciamo, un disorientamento. Per me oggi diventa importante mettere a fuoco quelli che sono i nuclei fondanti la pedagogia di don Lorenzo Milani.    E lo faccio da quello che ha detto Papa Francesco: “don Milani è l’educatore che ha portato all’interno della scuola la realtà”. Del resto la critica della “lettera a una professoressa”, la più significativa, recita proprio così: “scuola vivi fine a te stessa”. Cioè ormai siamo in un contesto in cui vige la società dei sistemi, dove lavoriamo più per l’apparecchio, cioè più per l’autoreferenzialità di una istituzione, che non per i bisogni reali di un cittadino. Questo sta avvenendo nella sanità, nella scuola e in altri settori. Sempre più parliamo di tecniche e metodologie affinate, però poi in realtà respiriamo un’aria decadente.

Diciamo la verità, quando noi educatori entriamo in aula, quando siamo con il nostro gruppo-classe, viviamo un clima quasi asfissiante, perché le classi si sono riempite, le risorse sono calate, non ci sono più le compresenze, non ci sono più i supporti sulle disabilità; anzi si sono creati questi occhiali denominati “bes”, che addirittura sono arrivate a codificare le diversità all’interno delle classi. Io ricordo quando la formazione del gruppo si basava sull’idea del raccordare. La nostra classe, il nostro gruppo-classe è come l’equipe del lavoro. Don Milani in relazione al processo educativo, diceva che l’educatore dovrebbe essere è come “un regista”, in quanto portatore di strumenti. Quindi, partiamo dal profilo che noi vogliamo introdurre con la nostra riforma scolastica, o comunque con la provocazione che questa dovrebbe suscitare producendo anche un dibattito in una fase storica in cui la scuola non riflette più, nel senso che si è creato quasi una forma di oligarchia e non c’è più un contesto collaborativo. Questo si riflette ovviamente sul modo di agire dei nostri ragazzi.

Voglio introdurre anche quello che è il background della società, cioè ricordare che anche se la scuola ha rifiutato da sempre qualsiasi verifica. Grazie ad una ricerca di Tullio De Mauro che parte dal Meridione, ha dimostrato che in Italia – ma questo fenomeno non riguarda solo l’Italia, perché sta coinvolgendo tutto il mondo occidentale – secondo questa ricerca il 70 per cento degli italiani non saprebbe più leggere e scrivere, vale a dire che non si riesce a capire un testo mediamente complesso: cioè quando all’interno del testo c’è una parola che in sé accoglie più significati, come il “ventennio” che richiama un’epoca, o la parola  “globalizzazione”, parole chiave importanti, la maggioranze della gente si perde, è incapace di intendere anche un testo sportivo, non di letteratura o scientifico. Quindi, capite bene che se questo è il quadro, è estremamente importante riaprire un dibattito, che però non rimanga nella superficie, ma vada in profondità.

Tanti sono i luoghi comuni quando si parla di Barbiana. Si pensa ad una scuola facile, si pensa alla scuola della non bocciatura. Ma voi capite che chi ha letto il testo, chi conosce la letteratura, chi si è perso nell’epistolario di don Milani, quanto questo non sia vero. Dov’è la differenza fondamentale tra l’educatore tradizionale e don Milani? L’educatore tradizionale tende a calare dall’alto verso il basso tutta la conoscenza, creando una programmazione enciclopedica. In questo sistema in realtà, chi ha il gioco vincente, è sempre il libro di testo, nel senso che il contenitore reale sono editorie esterne all’istituzione scolastica, quasi che la Scuola sia incapace di produrre, al suo interno, le risorse necessarie al cambiamento di un processo educativo che lentamente recupera i livelli di cultura a cui eravamo abituati, perché non ci dimentichiamo che in Italia avevamo una delle scuole primarie migliori del mondo. Ricordiamo che abbiamo vissuto un periodo in cui il cinema, il teatro, la cultura, in senso lato, parlava anche italiano. Perché sta avvenendo questo? Il nodo essenziale è l’astrattezza che vive la Scuola. Nella “Lettera a una professoressa” c’è un punto in cui si dice: “si parte da un determinato periodo  ma non si raggiunge mai il presente, la realtà”. Allora, è necessario un profilo diverso di educatore, che non tiene presente soltanto gli obiettivi curriculari, e quindi il suo modo di agire non è quello pianificato, ma deve avere la capacità di improvvisare, partendo da ciò che motiva il ragazzo. Questa era principalmente la strategia che utilizzava don Lorenzo: partiva dalla cultura informale del ragazzo fino a condurlo al nucleo fondante della disciplina.

La Scuola di Barbiana parlava di Letteratura, entrava nella scientificità, ti dava una formazione a tutto tondo, si direbbe con un approccio “olistico”, nel senso che le discipline si sfiorano tra di loro. Non c’erano le separazioni che purtroppo nella Scuola avvengono anche attraverso il suono della campanella, che ogni ora crea la distrazione, interrompe il ritmo della classe. Come sostituire questo processo? A Barbiana si parla di lavoro per tematiche, di gruppi di interesse. Questa è una modalità che altri Paesi hanno sviluppato. Per esempio in Germania esiste “l’educatore di area”, non esiste più l’educatore specifico di una singola disciplina.

Ovviamente mi riferisco alla scuola di base. All’università è giusto che ci sia una disciplinarità rigida perché noi formiamo il medico, l’avvocato, costruiamo quei saperi che hanno come finalità la formazione del tecnico. Ma quando parliamo di “scuola di base” è importante che l’insegnamento non si perda in una eccessiva disciplinarità, perché la scuola di base dovrebbe formare il cittadino. Ora, capite bene quale sia uno dei motivi per cui la scuola primaria è decaduta: perché si è perso la valorizzazione delle abilità sociali. Io mi ricordo esperienze significative come quella di Mario Lodi, come quelle della Gandia a Prato dove ho operato per trent’anni , supportando il disagio presente sul territorio provinciale. C’era una dirigente, la Mammini, per far capire i tempi e le modalità, che quando riuniva  il primo ciclo della scuola primaria, diceva: “allora abbiamo capito: per sei mesi si forma solo il gruppo e non si parla di discipline”.

I tempi di una volta, erano “tempi lenti”, tempi che si legavano alla vera etimologia della parola scuola. Cosa significa scuola? Scholé. Il tempo dell’essere ci dice Platone nel Timeo, il tempo del divenire, “il tempo come dei personaggi”, diceva don Milani e molti laboratori erano proprio così: la parola che si dipanava nel tempo e costruiva storie. Scholé è il tempo dell’indugio e della lentezza. Non esiste presa di coscienza quando il processo educativo corre, non esiste presa di coscienza o comprensione quando non abbiamo il tempo di riflettere, quando non riusciamo mai a leggere in classe un classico. Io ricordo a Barbiana, negli ultimi due anni, le letture su Dante, Platone, la rilettura sull’originale dell’Odissea, dell’Iliade, giocando a individuare quelle che erano le parole del Monti e quelle che erano le parole originali. Cioè una didattica, io direi, esplosiva, che ti metteva all’interno dei problemi, perché il “tempo scuola” era un tempo che proveniva dal futuro, e non come succede nelle nostre scuole che si ferma sempre ai miei tempi terminava alla prima guerra mondiale, oggi alla seconda. Ma la realtà, questa fase epocale, questi cambiamenti, sono talmente radicali si rischia che i nostri giovani siano incapaci di affrontare il contesto di realtà. Di fatti, si dice spesso nei giudizi, che i giovani di oggi siano incapaci di usare le conoscenze in un contesto reale. È ovvio, perché la scuola non è scholé, perché la scuola di don Milani, la scuola di Barbiana, partiva dal futuro. Perché se il futuro non retroagisce sul nostro pensiero, non esiste progettualità, non esistono progetti di vita.

Allora diciamo: don Milani ha avuto il privilegio di vivere un contesto, il mondo contadino, la cui cultura era collaborativa con la scuola; quindi esisteva  una complicità educativa che costringeva il ragazzo  a certe riflessioni. Ed era un mondo duro, perché, chi ha la mia età se lo ricorda, il 65 per cento della popolazione era costretta ad andare a lavorare solo per dare da mangiare a tutti. Oggi con la robotizzazione basta l’uno per cento. Quindi i processi di disoccupazione non si determinano in modo prioritario, perché arriva l’emigrante e ruba il lavoro. C’è un processo a livello mondiale globale che sta gestendo le nostre economie e diciamo che la politica è succube del potere della finanza. Ora capite bene che queste cose non si spiegano nelle scuole, nei licei, non si fa prendere coscienza ai nostri ragazzi che presto, se noi non riusciamo a tradurre le risorse in servizi, anche in salari garantiti per i giovani, tutto quello che si insegna rimane nell’astrattezza. Qual è il processo che possiamo mettere in piedi, non solo all’interno della scuola ma anche nella società, anche se noi sappiamo, che l’anello, come l’ape della catena della vita, è il fulcro, così la Scuola nella società è il fulcro. Se la scuola decade è l’intero processo che decade. Quindi io invito tutti ad entrare in questa processo di riflessione per rielaborare in modo collettivo come avveniva a Barbiana. Chi scrive le scritture collettive? Né il maestro,  ne l’allievo: è la collettività, è il processo in sé che genera quando il contesto è vivo.

Se abbiamo avuto il coraggio di aggregarci e di metterci insieme, significa che stasera abbiamo rivissuto una speranza.”