Un adulto italiano su cinque ha una laurea: molto meno della media europea

Il livello di istruzione in Italia è sotto la media europea. In Italia solo un adulto su cinque ha una laurea. È l’Istat in un suo recente rapporto a fotografare il divario sui livelli di istruzione tra l’Italia e l’Ue. Il 20,1% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. I dati si riferiscono al 2020 e confermano come la crescita dei laureati in Italia sia più lenta. L’incremento è di soli 0,5 punti nell’ultimo anno, meno della metà della media Ue (+1,2 punti) e più basso rispetto a quanto registrato in Francia (+1,7 punti), Spagna (+1,1) e Germania (+1,4).

Quanto ai diplomati, in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore che rappresenta il principale indicatore del livello di istruzione di una Nazione, la quota in Italia è pari al 62,9% (+0,7 punti rispetto al 2019), un altro valore inferiore rispetto a quello medio europeo (79% nella Ue) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione.

Nel 2020, il 24,9% degli ex studenti tra 25 e 34 anni ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche: le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Tra questi uno su tre è un maschio, una su sei una femmina. Al Nord, inoltre, la quota degli “scienziati” è più alta che al Centro e al Sud dove si ferma al 23,7 e al 23%.

Si allarga anche il gap dei livelli di istruzione tra italiani e stranieri. Se nel 2008 la quota di popolazione con almeno un titolo secondario superiore era uguale (di poco superiore al 53%), nel 2020 quella degli italiani è di 18 punti più elevata (64,8% contro 46,7%). Lo stesso vale per i laureati: la differenza percentuale nel 2008 era di soli due punti, ora si è allargata a 10: gli italiani con un titolo di studio terziario sono quasi il doppio degli stranieri.

Allarmante il dato chi lascia gli studi prima del tempo

In Italia, nel 2020 l’abbandono del percorso tra i 18 e i 24 anni ha riguardato il 13,1% dei giovani, per un totale di all’incirca 543 mila studenti, in leggero calo rispetto all’anno precedente. La quota di “Elet”, così si chiamano dall’inglese “Early leaving from education and training”, resta tra le più alte dell’Unione europea, dove la media è del 9,9%. Sono più i ragazzi (15,6%) delle ragazze (10,4%) a lasciare gli studi. I divari territoriali sono molto ampi e persistenti. Il 16,3% di chi non prosegue è al Sud, l’11% al Nord e l’11,5% nel Centro.

Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è più di tre volte superiore a quello degli italiani: 35,4% contro 11,0%. Peraltro, mentre tra il 2008 e il 2014 si era registrato anche tra gli stranieri un significativo calo degli abbandoni precoci, negli ultimi sei anni la riduzione coinvolge solo cittadini italiani. L’incidenza di abbandoni precoci tra gli stranieri nati all’estero varia molto a seconda dell’età di arrivo in Italia: tra quelli arrivati entro i 9 anni la quota è pari al 19,7%, sale al 33,4% tra coloro che sono giunti tra i 10 e i 15 anni e raggiunge il 57,3% per chi è entrato in Italia tra i 16 e i 24 anni.

Secondo gli studi la dispersione è strettamente connessa alle condizioni socio-economiche delle famiglie degli studenti. L’abbandono degli studi riguarda il 22,7% dei giovani i cui genitori hanno al massimo la licenza media, il 5,9% di quelli che hanno genitori con un titolo secondario superiore e il 2,3% dei giovani con genitori laureati.