Il modello di psicoterapia breve strategica: cos’è, come e quando è efficace

Il modello di psicoterapia breve strategica è frutto di un approccio evidence based che viene considerato la best practice per il disturbo ossessivo compulsivo, gli attacchi di panico e altre psicopatologie importanti, come per esempio i comportamenti antisociali, le violenze familiari, l’anoressia giovanile e il binge eating. Abbiamo voluto approfondire questo tema con lo psicologo di Firenze Giorgio Ioimo.

In che cosa consiste la psicoterapia breve strategica?

Alla base di questo approccio c’è un costrutto operativo che corrisponde alla tentata soluzione da cui viene alimentato il problema, che è stato messo a punto nel 1974 dal team di studiosi del Mental Research Institute di Palo Alto. In seguito questo costrutto è stato trasformato da Giorgio Nardone in quello di sistema percettivo reattivo. In pratica, tutto quello che una persona mette in atto al fine di gestire una difficoltà finisce per mantenere la difficoltà stessa e perfino alimentarla nel corso del tempo. È così che viene a strutturarsi un disturbo a tutti gli effetti.

Che cosa cambia tra la psicoterapia classica e la terapia breve strategica?

Una delle differenze più significative rispetto alle forme di psicoterapia classiche è rappresentata dal fatto che la terapia strategica breve offre la possibilità di attuare interventi che si fondano su obiettivi definiti in anticipo e che sono basati non su rigide teorie prestabilite ma sulle specifiche peculiarità della singola difficoltà. In più, un altro aspetto peculiare ha a che fare con il trattamento dei vari tipi di patologie, che non sono considerate come delle malattie biologiche – e in quanto tali bisognose di una guarigione – ma come un equilibrio disfunzionale che deve solo diventare funzionale.

Da che cosa dipende tale disfunzionalità?

Proprio la dinamica che si autoalimenta è alla base di questo tipo di disfunzionalità, che invece non è correlata a particolari caratteristiche biologiche. La terapia breve strategica, inoltre, esclude che la disfunzionalità possa essere la conseguenza di apprendimenti errati o che alla base del problema vi siano pulsioni oscure che si annidano nell’inconscio. Viceversa, la difficoltà è il frutto di strategie adattive che, nel momento in cui vengono esasperate, causano un irrigidimento per colpa del quale esse divengono strategie disadattive. Così, una tentata soluzione che si è rivelata efficace per un certo problema si dimostra non efficace per un altro problema, e anzi invece di risolverlo contribuisce a mantenerlo o addirittura a complicarlo.

Perché succede questo?

È in un certo senso comprensibile che ciò avvenga, proprio perché si fa riferimento a potenziali soluzioni che in un primo momento dimostrano di funzionare. Di conseguenza, si decide di applicarle in modo reiterato, fino a quando la patologia non viene effettivamente costruite. Ecco, quindi, che l’intervento terapeutico consiste in azioni che servono ad arrestare questo circolo vizioso a dir poco controproducente. Per fare in modo che tali azioni si rivelino efficaci, esse devono essere finalizzate a ribaltare la logica interna che caratterizza il problema in modo che essa possa essere riorientata in direzione della sua soluzione.

Come si può fare?

Abbiamo detto che un obiettivo fondamentale della psicoterapia breve strategica è quello di rompere la rigidità patologica peculiare che caratterizza il problema o il disturbo. Ebbene, uno degli aspetti più importanti da questo punto di vista deve essere individuato nel costrutto di esperienza emozionale correttiva che è stato proposto negli anni ’40 del secolo scorso da Franz Alexander. Secondo questo costrutto, è possibile che il cambiamento terapeutico si concretizzi unicamente in seguito a esperienze emozionali correttive grazie a cui il soggetto ha la possibilità di sperimentare la capacità di far fronte a quello che invece pensa di non essere in grado di fare. Si riprende, così, il concetto terapeutico di evento casuale pianificato.

Di che cosa si tratta?

In pratica è la concezione che ci sia bisogno, per determinare degli effettivi e veloci cambiamenti terapeutici, di prescrizioni elaborate o di manovre comunicative capaci di innescare delle esperienze correttive nella vita del paziente. Esperienze che il paziente stesso pensa essere casuali e che, invece, sono il frutto di stratagemmi che sono stati programmati e messi in atto dal terapeuta. Proprio questi stratagemmi e queste strategie sono la soluzione del problema secondo l’approccio che viene adottato dalla psicoterapia breve strategica: grazie a questi, le persone riescono a modificare le soluzioni disfunzionali che tentano di utilizzare. Ne deriva un cambiamento terapeutico concreto, perché il paziente arriva a modificare sul serio la percezione di ciò che causava delle reazioni patologiche. È indispensabile, comunque, distinguere per i vari tipi di psicopatologia i diversi modelli di interazione disfunzionale illogici da cui discende la patologia, anche per dare vita – sulla stessa linea – a modelli di logica strategica che invece portino a una soluzione. Le soluzioni sono in grado di spiegare i problemi: quel che sembra un paradosso è, in realtà, la definizione di questo approccio di psicoterapia.