Serrata, tra storia, memoria e identità nell’ultima opera di Francesco Fiumara

“È una civiltà che scompare e su di essa non c’è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie”

(Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte)

Non vivere su questa terra

Come un inquilino

O un villeggiante della natura

Vivi in questo mondo

come se fosse la casa di tuo padre

credi al grano, alla terra, al mare,

ma prima di tutto all’uomo.

Senti la tristezza

del ramo che secca,

del pianeta che si spegne,

della bestia che è inferma,

ma prima di tutto la tristezza dell’uomo.

Che tutti i beni terrestri

ti diano a piene mani la gioia,

che le quattro stagioni ti diano a piene mani la gioia,

che l’ombra e la luce ti diano a piene mani la gioia,

ma prima di tutto che l’uomo

ti dia a piene mani la gioia. 

 (Nazim Hikmet, Testamento spirituale al figlio)

“L’amore per le proprie terre, i propri paesaggi, le acque, le rocce, l’aria, le piante, e gli esseri viventi di Calabria deve essere la nuova sfida culturale dei calabresi: la difesa ad oltranza del proprio territorio ne sarà il vero – primo e ultimo – banco di prova”

Augusto Placanica, Storia della Calabria

Il passato nel presente-futuro di Serrata

“A prescindere da quello che sarà il giudizio dei critici, per me rappresenta la più bella esperienza letteraria che ho scritto finora  e perciò intendo condividerla con infantile gioia, con i miei compaesani.”

Con queste parole ha esordito Francesco Fiumara durante la presentazione del libro “Serrata – Tra passato e presente” (Pellegrini Editore), fresco di stampa.  Un atto d’amore verso il suo borgo natio di fronte al primo cittadino Angelo D’Angelis e ad altri tre ex sindaci, ma soprattutto alla gente di Serrata.  Per Fiumara è tuttora un “villaggio vivente nella memoria” (Ernesto De Martino). E come un genius loci lo ha guidato durante i suoi anni di lontananza, ma sempre fedele all’esperienza del nostos, del ritorno e della nostalgia: “La nostalgia è l’ultima forma di resistenza alla omologazione” affermava il grande geografo e scrittore Eugenio Turri, ne “Il paesaggio come teatro”.

Non c’è dubbio che nel caso della stirpe dei Fiumara il nome è diventato un destino, citando la locuzione latina nomen omen. E tutto scorre come il panta rei di Eraclito, che si è incarnato dentro la fiumara Custo del Mulino del Passo, che ha visto come protagonista il suo avo paterno, Antonino. Ognuno di noi può diventare un archetipo: portatore di una ancestrale memoria che scorre come l’acqua corrente intrisa delle impronte che si traducono poi nel tempo e nell’esperienza. L’acqua, lo ha dimostrato scientificamente l’immunologo francese Jacque Benveniste, è capace di mantenere una “memoria-informazione” di sostanze disciolte o diluite fornendo una base scientifica a tutto quello che l’uomo, senza strumenti scientifici, aveva intuito, come Eraclito con la filosofia del divenire. Ma è stato anche un personaggio giapponese, Masaru Emoto (definito pseudo scienziato), a sperimentare la memoria dell’acqua, una teoria secondo la quale la coscienza umana ha un effetto sulla su struttura molecolare attraverso la formazione dei cristalli (esperimenti contenuti nel libro “I messaggi dell’acqua”, 1999).   

 Ed ecco che il fiume di memorie ha portato Francesco Fiumara a prendere il testimone dal nonno Antonino che nel suo Mulino ad acqua ha macinato il grano ma anche idee, ideali, i sogni e lotte antifasciste alla luce delle vicende nazionali e internazionali, e alle cui fonti ha attinto anche il padre Ferdinando, nella cui bottega di calzolaio “mastro Nando” formò un centro di aggregazione sociale e politica. Questo laboratorio lo portò nel giungo del 1954 a vestire i panni di Sindaco fino al giugno del 1959, dopo neanche un anno dalla rielezione. Dentro questo flusso di memorie e di storie anche una piccola comunità diventa un teatro di vita dal quale è scaturita la passione per la politica, per le vicende umane e le sorti che hanno contrassegnato la storia di tante comunità come Serrata. Sono stati valori, ideali, sentimenti che si è portato dietro e dentro segnando il suo percorso quando ha deciso di lasciare Serrata e a vivere, come una moltitudine di giovani e meno giovani calabresi, l’esperienza dello sradicamento ed ad emigrare. Infatti sul finire degli anni Sessanta la sua storia ha cambiato scenario: dalla piccola comunità di Serrata, affacciata “nel mare da dove nascono i miti” (Giuseppe Berto) e dall’estrema terra della Penisola, si è ritrovato a conquistare Moncalieri, ribaltando il processo storico dell’Unità d’Italia. In questo comune conurbato con Torino, con oltre 57 mila abitanti, Fiumara animato dagli ideali socialisti, impressi nel DNA dei suoi avi, in quel clima di lotte operaie e con il fervore della protesta studentesca, matura la sua militanza politica e la sua visione culturale, e fonda nel 1973 il Circolo Culturale Saturnio. A Torino frequenta l’università statale e si laurea in Scienze politiche. L’appassionato impegno nelle file del Partito Socialista lo porta nel 1980 ad essere eletto sindaco di Moncalieri per due legislature, fino al 1990. E successivamente diventa Consigliere della Regione Piemonte rivestendo la carica di Presidente della Commissione Territorio e Ambiente e in seguito, quella di Assessore all’Agricoltura e Artigianato.

Nel frattempo il suo legame con il natio borgo diventa una sorta di leitmotiv della sua vita e sente prepotente la passione per la scrittura, che si traduce in diverse opere tra memoria, storia e politica, come Un sindaco, una città (La Procellaria, 1990), Radio Praga (Rubbettino, 1995), Una sola estate (Trophaeum, 1999), Virginia – intrigo a Moncalieri (Iniziative Editoriali, 2006), Il mulino del Passo – avamposto socialista in Calabria (Pellegrini Editore, 2014); Civilizzare il capitalismo (Pellegrini Editore, 2016), La democrazia non è un lusso (Licosia, 2018). E ora quest’ultimo atto, come sigillo di un legame indissolubile con la sua Serrata. Un libro scritto prima con il cuore e poi con la testa, perché si avverte l’esperienza che trasumana dalla laboriosa ricerca. Con questo anelito emotivo Fiumara ha ridisegnato la parabola storica, politica, antropologica e sociale della sua comunità di origine. E come un’eco lontana, si ascolterà il propagarsi tacito della voce di quelle generazioni che si sono succedute con il loro carico di esperienze, di aspirazioni, di sofferenze, di sentimenti, di emozioni.  

A presiedere la presentazione del libro (18 agosto, nella piazza che si apre di fronte allo storico Palazzo Gagliardi) il sindaco dell’amministrazione comunale di Serrata Angelo D’Angelis. Il primo cittadino  ha fatto un breve ritratto della personalità di Fiumara, mettendo in luce il valore culturale del libro per la storia di Serrata. Si è soffermato in particolare sulla seconda parte, quella che affronta la storia repubblicana di Serrata, con il racconto delle diverse esperienze amministrative e dei dieci “sindaci della libertà” (compresa la sua elezione, del 10 giugno 2018).  E’ lo stesso autore, nella sua introduzione ne spiega il motivo che lo ha portato ad affrontare questo ultimo viaggio nella storia contemporanea di Serrata:

“A essere sinceri, aver sorvolato nelle precedenti pubblicazioni sull’intero periodo del secondo dopoguerra (l’età repubblicana), come se nel nostro microcosmo la vita fosse trascorsa nel grigiore più assoluto, non trova alcuna giustificazione tenuto conto che furono gli anni che segnarono uno dei momenti più drammatici e per certi aspetti esaltanti, della storia d’Italia. Fu il periodo in cui cadde il fascismo, nacque la Repubblica, i partiti democratici e il boom economico. Nel suo piccolo anche Serrata partecipò a questi avvenimenti in modo attivo e con un appassionato interesse civico, ma nonostante ciò, delle cose accadute in paese, dei suoi interpreti e delle vivaci battaglie civili non vi è alcuna traccia”.

Oltre al sottoscritto (che ha curato la Prefazione del libro), ad approfondire i contenuti della ricostruzione presente nel volume, Michele Furci. Lo storico, autore di diverse opere che affrontano alcune problematiche della storia locale inerenti anche alla questione meridionale, ha sottolineato gli elementi critici che hanno contrassegnato la storia della Calabria inserita nel contesto e nel destino dell’intero Mezzogiorno, mettendo in rilievo le vocazioni e le ricchezze del territorio, sia come risorse che come attività. Furci nello specifico ha richiamato la questione meridionale e i diversi fattori che ne hanno determinato, da una parte il depredamento delle sue risorse, dall’altro l’arretratezza, a partire dalle ferriere di Mongiana a cui lo stesso Furci si è dedicato nel libro “I metallurgici di Calabria” (2004). Egli ha sottolineato come la microstoria di Serrata abbia riferimenti più generali e ogni episodio si incastona in un contesto più vasto, nella macrostoria. Inoltre, nel suo excursus, allargando lo sguardo ai paesi della fascia dell’alto Mesima, Furci ha fatto riferimento al ruolo dei monaci Basiliani. Non a caso il santo patrono di Serrata è San Pantaleo, un santo bizantino di cui Serrata vanta uno dei culti più antichi. E per quanto riguarda gli insediamenti agrari, ha messo in luce come i Basiliani abbiano modernizzato le attività e le colture rurali, in particolare nel campo dell’olivicoltura, a tal punto che dal territorio dell’antica Borrello veniva fornito l’olio al Vaticano. Lo studioso si spinge ancora oltre, e immagina il futuro del Mezzogiorno, con una visione positiva e di speranza in un periodo drammatico a causa della pandemia da Covid. Anche se oggi siamo in una fase di regressione economica, dopo la vicenda dell’unità d’Italia, è convinto che, con una classe dirigente all’altezza, le ingenti risorse messe a disposizione dalla UE potrebbero dare un importante impulso; e secondo Furci, rappresentano una grande opportunità per riprendere un cammino di un fiorente passato vissuto in Calabria.

Nel corso della presentazione si è aperto un dibattito. Alla discussione hanno partecipato tre ex sindaci, Rocco De Marco, Giuseppe Afflitto e Salvatore Vinci, mettendo in luce la loro esperienza e alcuni punti affrontati nel libro. Tra gli altri è intervenuto anche il parroco don Carmelo Surace che ha sottolineato l’importanza di conoscere la Storia. Momento particolarmente intenso il dono che Fiumara ha fatto al sindaco D’Angelis della copia della  petizione che il 15 marzo del 1944, i cittadini di opposte fazioni chiedevano al prefetto di Reggio Calabria di nominare sindaco l’avvocato Francesco Russo. Questo documento per il Fiumara, rappresenta una sorta di “Magna Charta” di Serrata, che ha anticipato lo spirito dei padri costituenti, per i valori etici, morali e democratici che ha ispirato la petizione: “E come non sentire un moto di di legittimo orgoglio di essere serratesi quando leggiamo le motivazioni con le quali i nostri “Padri” hanno proposto al Prefetto di Reggio la nomina dell’avvocato Russo a sindaco di Serrata: degnissimo di reggere le sorti del paese, minacciato da avidi e sconsigliati perturbatori, cui non interessano altro che la propria vanità, la sete di vendetta e la cupidigia del lucro?” Era vero allora, ancor di più lo è adesso!”, ha scritto nel libro rievocando l’episodio Francesco Fiumara.   

Nel suo intervento conclusivo, lo stesso autore ha richiamato alcuni passaggi del libro, il suo legame con Serrata che si è manifestato nelle sue due precedenti opere a partire da “Radio Praga” (1995) e “Il mulino del Passo” (2014), facendo solenne promessa di aver messo la parola fine alla sua appassionata ricostruzione storica su Serrata.   

A sigillare la presentazione come atto d’amore verso questa comunità, sua patria di adozione (originaria di Dasà) Consuelo Minniti, componendo una poesia il cui testo in dialetto è percorso da una vena dal carattere lirico-giocoso, tipico della tradizione popolare. 

Serrata
Pajisi di tradizioni, di contraddizioni e di adozioni
Paijsi che detti i natali a tanti generazioni
Poeti scrittori, giornalisti, musicisti
Politici ,dutturati ,imprendituri, avvucati e farmacisti
Ma nu ‘ ndi scordamu
Di mastri maestri majistri,scarpari
jornatari ,cuntadini e cummercianti
Non pozzu fari nomi pecchi a lista è assai longa
Ma jù di tutti voju ricordari con tantu affettu
Francesco Fiumara qui presenti
Grandi politicu e scritturi che da Serrata a Moncalieri
I ricordi di fijolu si portau a pressu
E cu u” Passu du Mulinu” i radici serratisi palisau ou mundu interu
Viditi ..stu pajisi pe quantu u criticati sempi ca tornati
pecchi a fini a fini no ‘ndi manca nenti
Avimu l’ aria fina ,a vista panoramica, a cascata
Vidimi u portu ,a Sicilia e puru l’ Eolie
Avimu a funtana d’Angelimeri,
A Vara a Petra i Liso , a Caserma, a farmacia, u Palazzottu ,
palazzu d’Agostino e Cuccumarino
I strati larghi e nu pocu i storia
Na cosa sula no ‘ndavimu “ a guardia medica”, vol diri ca no ‘ndi servi,
ca campamu d’aria e stamu boni..
Pe no parlari da genti serratisi
Sempi rispettusi e accojenti
Ca appena arriva nu paisanu
S’apprescianu mu invatanu a vinu casaloru e malangiani gnini
Avimu a nominari i sindaci chi guvernaru ‘nta l’ultimi cinquant’anni
Fiumara,Prestia,Jogà, DeMarco, Afflitto e Salvatore Vinci,
ca ficiaru du Pajisu di Serrata nu juri all’occhiello…ma non mi convinci!
E pe ‘no parlari dell’attuali Amministrazioni ca cu
Angelo D’angelis,
U sindacu sempi a disposizioni,
è comu si vincimmu a lotteria e puru a l’enalotto
Ca appena arriva già o Baruni
pemmu vaci a Tilupa ou Comuni
Li genti u fermanu ‘te stradi
per parlari di doluri d’ossa ‘mbunnati
e comu ponnu fari pe nu pagari i tassi addebitati.
Avimu puru nu previti tantu amatu
Don Carmelo chi venunu puru i foresteri
Mu si sentunu a Santa Missa , pe ‘na benedizioni e pe dui paruleji di confortu
Viditi basta pocu mu passamu na bella sirata
Dui chiajjeri, dui stornellati e nu libriceiu supa u passatu
‘Nta stu bellu postu anticu , chi pari nu casteru sutta stu celu stellatu
Chi c’ è di meju?
Veniti serratisi chi siti luntanu e sperduti. Tornati ‘ to pajisi vostru..
ca non ‘ndi manca nenti …Ca si staci in paci..

(Consuelo Minniti)

Senza memoria la storia è uno strumento scordato. Con questo suo ultimo lavoro Francesco Fiumara ha voluto fare un dono ai cittadini di Serrata ma è soprattutto un messaggio per le nuove generazioni nel ricordo degli avi, che gli anno regalato “una valigia piena di sogni e di ideali”.

L’autore lo confessa nel suo Saluto in forma di lettera: “Per noi che siamo nati in questa terra, questo pugno di case che ci richiama eventi, figure, riti e miti collettivi è divenuto il nostro luogo della memoria. Da qui nasce quel profondo rapporto che ci lega ad esso e che va oltre le mere ragioni materiali, ma tocca le più misteriose corde del cuore”. Con questo anelito emotivo Fiumara ha ridisegnato la parabola storica, politica, antropologica e sociale della sua comunità di origine.

Qual’ è l’importanza del libro?

Innanzitutto il metodo storiografico si sostanzia di alcuni contenuti innovativi. Lo dichiara lo stesso autore nella sua introduzione: “Ho cercato innanzitutto di dare un senso politico e sociale agli avvenimenti cui la nostra comunità prese parte. Coerentemente con questo taglio narrativo sono uscito da quella specie di “tentazione museale” nella quale sovente si cade e che tende a cristallizzare le cose vecchie come oggetti decorativi, privi cioè di qualunque alito di vita”. L’autore ama dare voce ai protagonisti, allo stesso modo di quando in un museo di strumenti antichi si premono i tasti del clavicembalo per ascoltare la melodia, anziché  soffermarsi ad ammirarne la bellezza del mobile. Non c’è soltanto il testimone oculare,  ma anche la voce dello scrittore che vuole sentire le corde della storia. Una risonanza che ritroviamo già nell’esordio, con l’epica immagine delle carovane che vanno a fondare la nuova comunità di Serrata. Qui la fantasia si incontra con il racconto: l’enigma che circonda il pellegrinaggio alla Madonna delle Fonti a Spilinga da parte dei serratesi, fa sorgere un’ipotesi antropologica sulle ignote origini di Serrata, suggerita dalla lettura di un libro Diari parrocchiali (1933-1952) di un parroco di Spilinga, Carmine Cortese,  che porta il Fiumara a individuare in quei pellegrinaggi, il richiamo dei luoghi dei padri, quei luoghi che gli avi avevano abbandonato secoli prima per sfuggire alla furia distruttiva dei Saraceni.

        Nell’arco di 25 anni, come sottolineato, Fiumara ha partorito una trilogia. Già  con Radio Praga (1995) aveva raccontato uno spaccato del clima che si respirava a Serrata; poi con Il mulino del Passo (2014), ha dato corso alla fonte delle sue memorie attraverso il genius loci del nonno paterno Antonino, rievocando una sorta di epopea solitaria incastonata nella storia collettiva. E quel mugnaio ha incarnato i tanti eroi comuni di una tradizione millenaria con un viaggio nel tempo, attraverso lo scorrere del fiume Custo che ha messo in moto le pietre del mulino. E ora quest’ultimo atto, come sigillo di un legame indissolubile.

        Qua e là affiora, con spontanea naturalezza, un bisogno nascosto di fare i conti con la storia personale, familiare e locale: una sorta di terapia collettiva per sciogliere la catarsi e ristabilire un accordo con il passato e con se stessi, affinché la memoria possa far lievitare il tempo e mettere ordine nel caotico divenire di un presente la cui bussola sembra senza direzione in questo tempo di emergenza.

Quando si ricostruisce la storia di una località intrisa di un significato biografico-esistenziale, con la necessità umana di creare una corrispondenza tra storia e memoria, anche con gli eventi più recenti, si può manifestare un transfert. Non a caso l’autore apre il sipario sulle vicende politico-amministrative che hanno caratterizzato il comune di Serrata, a partire dal nuovo ordinamento repubblicano dell’Italia. È l’arco storico che coinvolge emotivamente di più il Fiumara con i ricordi che affiorano nitidi e zampillano come acqua sorgiva. Al linguaggio emotivo si plasma il tessuto della narrazione e come una spola, il filo va a tessere le vicende umane, come lo scenario distopico con cui si rivolge nella sua apostrofe finale:

        “Vivevamo, cioè, il territorio costruendo nel nostro intimo immaginari collettivi e conservando la memoria dei luoghi che rappresentavano l’affermazione della nostra identità. Oggi che a malapena raggiungi solo 803 abitanti (2018), di contro la tua  pianta topografica si è ingrandita a macchia d’olio, e per andare da un capo all’altro del paese bisogna fare uso dell’autovettura. In sintesi l’affievolirsi di questi simboli ha contribuito a far perdere l’anima alle case, alle piazze, ai luoghi, quell’anima che ne ha configurato lo spazio urbano, che si nutriva di racconti e di una trama di relazioni cogenti, che misurava il senso di appartenenza e all’identità”.

Nell’excursus storico ci sono alcuni aspetti che è necessario focalizzare. In primo luogo i brevi ritratti dei dieci sindaci dell’Italia repubblicana, incastonati in una sorta di diario o album municipale di Serrata. Ha potuto così allargare lo sguardo al campo più vasto della società di un’Italia che in modo inconsapevole è stata vittima dello svuotamento di quegli ideali e valori che avevano animato la battaglia politica del dopoguerra tra forze uscite dalla Resistenza. Così, attraverso l’osservazione, anche Fiumara, novello historeo, esperisce lo sguardo per riflettere sui comportamenti dei suoi compaesani:

        “Il boom economico intanto aveva rivoluzionato usi e costumi degli italiani e, specialmente nei piccoli paesi erano scomparse le contrapposizioni ideologiche che avevano animato la vita di tante persone. Negli ambienti di sinistra alla tensione ideale subentrò una certa apatia verso l’impegno sociale preferendo rifugiarsi nel privato stando in casa a guardare la televisione. Ai tavoli dello storico bar Sicari o nella piazza della chiesa si vedeva gironzolare solo qualche solitario”.

        All’interno di questa “mutazione antropologica” Fiumara rilegge l’anomalia che ha portato Serrata, “un enclave socialcomunista”, a diventare negli anni dal 1964 al 1980 “un comune egemonizzato dalla destra.”

Si nota in particolare che attraversa quei decenni dei dieci sindaci eletti dal 1946 fino all’ultima elezione (2018) ritraendone i caratteri politici, ma anche la personalità, con poche pennellate: “Scorrendo la loro vita di amministratori emergono, com’era naturale che fosse, le loro differenti caratteristiche umane e politiche. Erano uomini diversi per la cultura politica, per le loro storie personali e per la sensibilità con la quale ognuno ha interpretato il ruolo di “Primo cittadino”. 

        Il libro porta dentro la pelle alcune pagine molto sensibili alla vocazione umana ed etica dell’uomo Fiumara e alla sua tempra culturale. Nei tanti  episodi rievocati, non possono passare sottotraccia alcune vicende che rivestono un significato che si riverberano nella nostra coscienza storica di contemporanei, che vivono in Calabria e nel Mezzogiorno.

        Nel delineare la parabola dei Borbone ad es., da Carlo III di Borbone all’Unità d’Italia, Fiumara fa riferimento ad alcune opere che non hanno avuto l’attenzione che meritavano. La prima riguarda la “Colonia socialista” di San Leucio “in origine una residenza di caccia di Ferdinando IV di Borbone che dopo la morte del figlio, principe ereditario, la volle destinare a uso sociale con lo scopo di ospitare 134 famiglie del luogo, preoccupato che tanti fanciulli e fanciulle, per mancanza di educazione divenissero un giorno scostumati e malviventi”. L’altra opera meritoria che Fiumara rammenta è la costruzione del Polo Siderurgico di Mongiana (1770). E lo fa con l’implicita esortazione a ripensare la storia, che va sempre interrogata, in particolare per quanto riguarda le sorti della Calabria, rileggendo il passato all’indomani della riunificazione.

Un altro motivo che desta interesse e che aiuta a compiere una riflessione più attenta nella storia sociale della Calabria, ricorre quando affronta il tragico evento del terremoto del 1783, non solo sul disastro materiale e fisico di gran parte della Calabria ultra, ma anche sulle profonde ferite sociali, culturali e politiche, con il permanere delle condizioni di arretratezza che hanno segnato il destino di questa regione nei successivi secoli. Fiumara, con oculatezza, indugia il suo sguardo sui motivi che hanno ostacolato la formazione di una classe intellettuale che fosse capace di una spinta riformatrice, annotando che “fa una certa rabbia pensare che tanti calabresi d’ingegno libero e audace abbiano potuto mancare a quell’appuntamento con la storia.” Un mancato appuntamento che imputa al sentimento di indifferenza che ha caratterizzato la borghesia terriera del Sud in genere, e in particolare in Calabria, rispetto al nuovo vento che spirava con i lumi che ha dato avvio al movimento progressista del XVIII secolo; al contrario, nelle regioni del Nord, si era formata “una borghesia terriera operosa, attiva e disposta a collaborare con il governo nell’attuazione di riforme economiche e sociali.”

E’ certo che si è di fronte ad una questione di straordinaria rilevanza per comprendere un periodo storico-sociale che presenta dei risvolti che andrebbero riletti, approfonditi e ripensati, perché potrebbero riservare delle sorprese, anche in relazione alle vicende che hanno segnato la breve esperienza della Repubblica Partenopea del 1799. 

E ancora, per restare sempre dentro la pelle delle parole non sfuggirà l’episodio, subito dopo la caduta del Fascismo, della petizione popolare inviata al prefetto di Reggio Calabria, da parte dei rappresentanti dei vecchi e dei nascenti partiti democratici. Questo documento “oltre che rappresentare un momento di fattiva unità antifascista, riveste un grande valore storico”. Come aveva già rievocato ne “Il mulino del Passo”, tra i firmatari c’erano Francesco Fiumara (Segretario del Partito d’Azione), e Francesco Gentile, (ex Podestà), che dieci anni prima lo aveva mandato in galera. Questa petizione assume un particolare significato etico-politico, una sorta di “Magna Charta” nella storia repubblicana di Serrata.

Da qui nasce nell’autore del libro l’appassionata esortazione affinché questo documento venga tenuto nella massima considerazione dalle Autorità comunali “per alcuni principi etici e morali in cui la comunità si dovrebbe riconoscere”, in particolare per quel moto di orgoglio per come “i nostri padri intendevano la politica”, con la condanna degli “avidi e sconsigliati perturbatori, cui non interessava altro che la propria vanità, la sete di vendetta e la cupidigia del lucro. 

Francesco Fiumara, in questo viaggio, indossa i panni di uno storico per vocazione o per evoluzione naturale, non certo per mestiere, coniugando la sua innata passione per la politica con quella verso la scrittura. E adempie a questa istanza senza la pretesa di fare lo storico, ma con i ferri del mestiere come possono essere quelli di un uomo che ha scoperto il fascino della storia e del raccontare, forse con quel richiamo “del tempo perduto,” mettendo insieme la storia e la vita come le correnti di due torrenti che si mescolano. Lungo il corso degli eventi scopre l’arte del rabdomante, auscultando le vibrazioni delle segrete correnti della storia, di quella umanità rimasta in silenzio, svelando “gli intimi congegni dei destini umani” (Marc Bloch, Apologia della storia ) in un arco temporale “plus large et plus humaine”. L’uomo in fondo non è altro che un cerchio incompiuto, simile ad un arco, in cui inizio e fine non coincidono, etimologicamente e simbolicamente rappresi nella stessa parola greca: bìos (vita) e biòs (arco).

        Tra microstoria e macrostoria, tra microcosmi e macrocosmi, l’autore rievoca esperienze che hanno contrassegnato una comunità, quei luoghi che abitiamo e che ci abitano, dando vita al sentimento che impregna i luoghi, che ritroviamo ne “il senso dei luoghi” (Vito Teti). Nell’attuale fase dei post (a tal punto che qualcuno ha preconizzato la fine della storia) e dei “non luoghi”, sentiamo il genius loci capace di ricreare antiche corrispondenze con i lari familiari, in rapporto con lo spirito romantico teso a ritrovare – o riscoprire – un’identità primigenia.  

          Non a caso, dopo questo lungo viaggio, a mo’ di congedo nel “Saluto in forma di lettera”, simile ad un arciere, Fiumara tende la corda tutta indietro, per proiettare Serrata nel futuro, disegnando una nuova parabola: “A giudicare dai fatti, se guardiamo complessivamente l’evoluzione del paese dal dopoguerra ad oggi, dobbiamo convenire che, a differenza di talune altre realtà calabresi, Serrata non si è mai rinchiusa in se stessa, non si è abbandonata alle facili lamentazioni meridionalistiche ma, rimanendo unita e solidale, ha saputo vincere tante battaglie per la sua sopravvivenza ad iniziare dal terremoto del 1783 passando per l’epidemia di colera del 1848 in cui in un anno morirono più di 200 persone. Questa antropologica predisposizione d’animo a resistere e a guardare avanti ha consentito al paese di progredire, acquisendo via via, alcuni servizi primari e la realizzazione di importanti opere pubbliche. In una parola, possiamo concludere che con gli antichi ideali e con i sentimenti degli uomini che di volta in volta furono chiamati a guidarla, Serrata, è rimasta in piedi fino ad entrare con una invidiabile vivacità culturale ed economica nel Terzo millennio”.

L’epilogo assume anche la forma di apologo e fa da sfondo ad una visione in cui traspare la sua poetica: “A prescindere da quello che sarà il giudizio dei critici, per me aver scritto questo libro rappresenta la più bella esperienza letteraria che, con infantile gioia, intendo condividerla con i miei compaesani”. Con questo stato d’animo Fiumara si rivolge alla sua amata Serrata, immaginando e sognando il futuro, con una chiara visione utopica: “Sei cambiata mia cara Serrata, ma dalla succinta indagine retrospettiva relativa all’assetto politico, e socio-economico sono emerse molte più luci che ombre e sostanzialmente il quadro  generale appare confortante. Perciò da questo revival del passato non mi faccio prendere la mano dalla nostalgia e ripetere: “Com’era bello una volta” ma piuttosto trarre lo spunto per sottolineare l’importanza della difesa di alcuni modelli culturali. Tra le ombre di cui si accennava ci sono da risolvere due problematiche di ampio respiro e strettamente legate tra loro che, se risolte, cambierebbero faccia a Serrata. Mi riferisco alla Rigenerazione urbanistica con il recupero del centro storico e la riconfigurazione dell’abitato al fine di rafforzare il rapporto di questi nuovi nuclei urbani con il “Progetto Paese”.