Torna in scena a Palazzo Chigi la riedizione del trasformismo

Oggi la fiducia del nuovo esecutivo giallo-rosso alla Camera con l’incaricato presidente del Consiglio Giuseppe Conte nelle vesti di abile traghettatore tra le due sponde del Parlamento, dopo il “J’accuse” al suo ex capitano Matteo Salvini. Ma la perigliosa traversata rievoca una storia già rappresentata in altri teatri. Cambiano solo le maschere.

“Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico”. (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia)

“Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”  (Antoine-Laurent de Lavoisier)

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)

Poi ‘nta la guerra, d’undi ca juntau, ‘nu sindacu sovieticu sciurtìu; ‘na repubblica russa ‘mminestràu, e, comu fu lu fattu, scumparìu Pasquale Cavallaro «Poi durante la guerra / non si sa da dove / saltò fuori un sindaco sovietico / amministrò una repubblica rossa / che quasi subito finì»

…Noi Noi ce ne siamo già andati. Dai catoi dagli sterchi orizzonti. Da Seminara dalle civette di Cropalati. Dai figli appena nati inchiodati nella madia calati dalle frane dall’Aspromonte dei nostri pensieri. Spegnete le lampadine della piazza. scordiamoci delle scappellate dei sorrisi dei nomi segnati e pronunciati per trentasei ore. Cassiani Cassiani Cassiani Cassiani Foderaro Galati Foderaro Antoniozzi Antoniozzi Cassiani Cassiani La croce sulla croce, diceva l’arciprete. E una croce sulla croce, segnavano le donne. andavano e venivano. Foderaro Antoniozzi Antoniozzi È stato sempre silenzio. silenzio duro della Sila delle sue nevicate a lutto. È stato il pane a credenza portato sotto lo scialle all’altezza del cuore… (Franco Costabile, Il canto dei nuovi migranti, 1964)

Talia, la musa della commedia, mostra orgogliosa la sua maschera sulla rinnovata scena del neo Governo, dipinta con un giallo-rosso sbiadito, anzi il colore somiglia alla terra cotta nel doppio forno. Aristofane si sarebbe divertito ad osservare un simil spettacolo di trasformismo da inveterati istrioni. E non si dica che l’Italia, in questi ultimi tempi, sia un Paese privo di spirito comico. Ma nessun veggente avrebbe potuto immaginare la commedia dell’arte che si rappresenta sull’attuale palcoscenico politico, pensando all’Italia nei primi giorni di agosto con quella post, grazie al colpo di sol leone che ha preso il Capitano mentre era intento a navigare sulle spiagge con le vele spiegate del suo mistico delirio. Chiedo venia ai lettori, ma c’è proprio da ridere: siamo in presenza di uno spettacolo esilarante o – se volete – delirante, che ha avuto il momento supremo – o forse demenzial-grottesco, tanto da far crepare dalle risate, con la pantomima del voto di castità, attraverso il ricorso agli oracoli della Pizia nel tempio della Casaleggio & Associati, dove la verità della democrazia ha trovato finalmente la sua geniale declinazione, con l’interpretazione dei responsi, attraverso i desideri auspicati nella luce invisibile degli astri. “Qualunque cosa dicano di me comunemente i mortali – non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli – tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli dèi e gli uomini” (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia). Siamo di fronte all’ennesima opera buffa o comica di cui i compositori italici sono stati dei maestri? Chissà che cosa avrebbe pensato se fosse ancora in vita Dario Fo (premio Nobel per la Letteratura 1997), autore del “Mistero buffo”, la giullarata popolare (1969), recitata in grammelot, lingua non lingua usata dai giullari medievali per parodiare il potere e restituire la dignità agli oppressi. Non possiamo immaginare cosa avrebbe raccontato l’autore della rigogliosa affabulazione de “Lu Santo Jullàre Francesco” dopo aver sognato un firmamento penta stellato. Ed ecco che nel nuovo presepe francescano il Salvatore si rivela ancora nella sua epifanica maestà mentre i re magi, guidati dalla stella, si presentano per omaggiare il novello re delle magnifiche sorti offrendo in dono tanti divini decreti. In ottantamila hanno interrogato l’oracolo per trarre auspici e scrivere da destra a sinistra il nuovo contratto sociale secondo il Rousseau della Casaleggio. La Costituzione, le istituzioni repubblicane e chi le rappresenta, la dignità del popolo italico, l’intelligenza che ancora, malgrado l’onda anomala del populismo e dei social, resiste, improvvisamente sono diventati ridicole vanità per far dilettare la vanagloria di qualche marionetta. La mano invisibile della rete costruisce il teatro e i burattini credono di avere in mano il filo della libertà. I giocatori di scacchi si dilettano a manovrare le pedine, e le pedine sono convinte di essere regine e di muoversi liberamente. Beati coloro che ancora credono nel mito dell’agorà digitale della democrazia diretta disintermediata, come processo di abreazione e di catarsi, perché avranno il regno dei cieli! La nuova edizione del mito in cui si racconta il peccato originale si ripresenta con la celebrazione solenne dell’astuto serpente della rete, così la menzogna, sotto mentite spoglie, si trasforma in verità. Questo nuovo capolavoro surreale non sappiamo dove collocarlo: se nell’opera comica, nel mistero buffo o nella farsa, oppure nelle sceneggiate napoletane, nelle arlecchinate, nelle mascherate, o infine nelle pupazzate. A tal proposito, per rinfrescare la memoria, aveva decretato Dario Fo: “Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere.” E ancora: “In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po’ le teste. Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa”.. Tutto nasce dal caso e anche dalla necessità come ci insegna il biologo e filosofo francese, premio Nobel per la Medicina nel 1965, Jaques Monod; ma per primo a intuirne il fenomeno è stato il presocratico Democrito (460 – 370 a.C.), padre dell’atomismo con una delle visioni più scientifiche dell’antichità: “Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità”. Ed è per merito dei processi evolutivi casuali che è stato inventato un nuovo genere di teatro sulla scena della Terza Res Pubblica di casa nostra. Dopo la riforma della commedia dell’arte per mano di Goldoni, ci ritroviamo ad una rivoluzione del teatro dell’assurdo o del post assurdo (da far impallidire lo stesso Beckett e Ionesco) nel nuovo ordine cosmogonico. Adesso ci tocca inventare una nuova categoria estetica per poterlo ridefinire. Tutto merito del Capitano. Ci voleva questo miracolo! Non nell’orto di Lolotta, per ricordare il celebre capolavoro neorealista di De Sica, ma sulle spiagge di Milano Marittima del Papeete Beach, dove l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, per troppo amore verso gli italiani, che lo osannavano come il novello principe, il solo condottiero che potesse restituire all’homo di razza italica, forza, bellezza, fierezza, orgoglio, superiorità, attraverso l’effusione di sentimenti fraterni. Con un colpo di genio assoluto ha deciso di interrompere la relazione carica di corrispondenze d’amorosi sensi con il suo ex partner: “Molto spesso per riuscire a capire che siamo innamorati, forse anche per diventarlo, bisogna che arrivi il giorno della separazione” ha confessato il Capitano il fatidico giorno del pentimento (20 agosto) nell’aula del Senato recitando Marcel Proust. Voi tutti ricorderete che  il suo bellicoso compagno d’armi e messaggero dei numi, era sceso in terra per salvare l’anima affetta dal morbo della casta, dalla poltronite, dal consociativismo, secondo il manuale Cencelli, e da tutto ciò che puzzava di Prima e Seconda Repubblica. Con i suoi guerrieri protostellati era pronto a disarcionare tutti i cavalieri della tavola rotonda e di quella a scacchi, e spazzare via quel mondo marcio incarnato dal Pd e dal fu Magnificus (per non parlare delle potenze azzurre, guidate dal condottiero di Arcore), con il solo fine di dare vita ad una nuova palingenesi umana sotto la supervisione dei detentori della suprema verità. L’ordine era mondare il popolo dal peccato originale e riportare la storia ad una condizione di primordiale felicità. Il nuovo vocabolario non poteva che essere dettato dai vaticini del tempio della Casaleggio dopo aver trasferito l’oracolo di Delfi – al tempo degli dei falsi e bugiardi considerato l’ombelico del mondo – per dare compimento al verbo assoluto di Rousseau, ma ignorando il motto scritto sul frontone del tempio, gnoti sauton, “conosci te stesso”. Non per caso quel sileno-satiro di Socrate lo adotta come principio maieutico per la ricerca della verità, del bene, della sapienza, perché conduce l’uomo al riconoscimento dei suoi limiti, al fine di renderlo giusto, solidale con gli altri; diversamente si genera la presunzione, l’arroganza, la tracotanza, la smisurata ambizione, lo scatenamento della hybris, l’oltraggio della sacralità. Supponiamo che il demone di questa “smisurata ambizione” sia stato combattuto, abbattuto e vinto, nel nuovo tempio, attraverso i divini decreti per accogliere e ospitare il migrante Zeus Xenios. La missione non è mutata: Luigi Di Maio adesso nel Conte Bis avrà una più alta missione: dovrà redimere il suo popolo prediletto dalla  dalla servitù e dalla schiavitù. Come Mosè tornerà sul monte Sinai per riportare le tavole di pietra dei nuovi comandamenti da dare al suo popolo che nel frattempo si è smarrito e vive la diaspora, corrotto dai nuovi idoli. Lo farà anche con il presidente della Francia Emmanuel Macron con cui ha stabilito un rapporto di fraterna amicizia, in virtù dell’illuminato passato. Sarà l’occasione, per il neo ministro degli Esteri e capo politico nei panni di un “VisConte dimezzato” (celebre romanzo di Italo Calvino), di studiarsi il “Contratto sociale” e le “Confessioni” di Rousseau, la “Enciclopedia” di Diderot e D’Alembert, “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu, il “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire, accompagnati da un’attenta analisi del cosiddetto “Paradosso di Condorcet” del matematico e filosofo illuminista, meglio conosciuto come il Marchese di Condorcet. E alla luce della recente mostra del cinema di Venezia anche il “J’accuse” di Emile Zola, a cui il regista Roman Polanski si è ispirato. Ancora se gli resterà del tempo tra i tanti viaggi che dovrà affrontare, gli raccomandiamo “La Scienza della Legislazione” del suo illustre conterraneo Gaetano Filangieri (morto a soli 35 anni nel 1788), l’illuminista che visse nella città partenopea considerata un laboratorio di pensiero e di cultura filosofica e giuridica all’avanguardia in Europa all’epoca, che preconizzò la Questione meridionale. E mentre si troverà tra le tribù africane per mettere sul campo a punto il “decreto sicurezza tris”, “I viaggi di Gulliver” e le avventurose vicende di Pinocchio, che raccontano, ricordiamo, “La storia di un burattino”. Luigi Di Maio ha un primato: è il più giovane ministro degli Esteri. È stato scelto per le sue riconosciute competenze nel campo della politica internazionale come hanno sempre auspicato i pentastellati per chi occupa una carica istituzionale, mettendo sempre al primo posto la “meritocrazia”, che immaginiamo si applichi per tutti i nuovi ministri del Governo Conte Bis. Il neoministro degli Esteri ha dato grande prova da  vicepremier e come Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico,  occupando anche il ruolo di punta di diamante nelle cinque stelle della Casaleggio: lo dimostrano i voti ottenuti nelle elezioni europee. Solo un genio poteva assommare tante cariche alla sua giovane età, 33 anni, come quelli di Cristo. Il pensiero, la coerenza, la capacità, le abilità, le competenze e l’onestà intellettuale lo contrassegnano e sono al di sopra di tutto. E lo stanno testimoniando, avendo rinunciato alle poltrone, gli altri pentastellati. Era già stato previsto dai segni zodiacali del Leone e della Vergine il miracolo dei pani e dei pesci a Palazzo Chigi. Al contrario nel Parlamento, per tutelare la pluralità democratica della rappresentanza e dare voce al popolo, soprattutto a quello più povero e a quello del Sud, per risparmiare inutile fatica, l’unica strada scelta è il drastico taglio dei deputati e dei senatori. Lo aveva già prefigurato Dante nel Paradiso: “Vedi come da indi si dirama/ l’oblico cerchio che i pianeti porta,/ per sodisfare al mondo che li chiama…” (Paradiso, X, 13-15). O forse stiamo errando? Oppure il destino del popolo è impresso nei fotoni della luce degli astri affinché non si avveri quello che aveva affermato Seneca quando si è spinto a sostenere che Populus gaudet tradere fasce turpi, “il popolo gode nell’affidare il potere al turpe”? Gli unti della costellazione di Rousseau mettono in pratica i nobili principi che rendono l’uomo simile ad una stella radiosa che si pasce di sola luce autoriflessa. Perché i prescelti restano puri, incorruttibili, cristallini e adamantini, capaci di leggere il futuro; e poi perché sono sempre gli altri a tradire, ad avere la classica trave negli occhi. Invece gli zelanti e integerrimi custodi della somma sapienza astrale non hanno fatto compromessi, non hanno sete di potere, sono solo al servizio del bene e della dignità dell’essere umano come è sancito nel decreto sicurezza bis. Ed è facile prevedere, adesso, che è finito il confino dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, così amato da Salvini e da tutto il Governo del Conte 1, per la sensibilità verso quei reietti e usurpatori che hanno tentato la conquista del vello d’oro nell’antica terra di Esperia, che Luigi Di Maio lo nominerà portavoce di tutti i senza voce che migrano da Sud a Nord, da Est a Ovest. E ancora non potrà non fare una visita nell’ex Repubblica rossa di Caulonia instaurata nel 1945 (6 marzo) dal comunista Pasquale Cavallaro e nella Repubblica Arcobaleno di Riace, per incontrare l’unica lingua del mondo carica di accenti molto coloriti e di Xenia, certo che sarà accolto come un naufrago che abbia navigato per mesi e per anni, prima di trovare accoglienza nell’isola dei Felici; e così come Odisseo, andrà alla ricerca di “virtute e canoscenza” fino a quando “de remi” non fece “ali al folle volo”. Sciolto dai sacri vincoli della sovrana patria varcherà le colonne d’Ercole per approdare sulle coste libiche dove ad attenderlo ci sarà Caron dimonio “tra la perduta gente”:

Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai.

Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle

facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.

(Inferno, Canto III)

In quell’aura senza tempo tinta scoprirà che c’è tanta gente mora, nera e di ogni “colore” che viene in Italia per farsi una bella vacanza e aspira di andare sulla spiaggia dove Ulisse è stato accolto da Nausicaa, la cui etimologia significa “colei che brucia le navi”. Poi – immaginiamo – si recherà anche nelle remote terre delle straniere genti italiote che hanno vissuto “senza colpa e senza redenzione” (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli), ora colonizzate dal popolo dei minuscoli lillipuziani, da quello dei giganteschi Brobdingnag. Infine non potrà non approdare nella terra degli Houyhnhnm, i cavalli razionali dove vivono anche degli esseri brutali che camminano su due gambe al posto di quattro, gli yahoos, simili nell’aspetto fisico agli esseri umani, anche se abbrutiti e degenerati. Eppure in quelle lontane ed estreme plaghe, dove Cristo non si è fermato, per uno strano destino, si vive in armonia con la natura e con le altre creature come nell’età dell’oro. In quelle lande deserte si è sperimentata una nuova forma di filantropia, con la fratellanza spirituale dei popoli, grazie all’emigrazione, allo sradicamento esistenziale e all’abbandono dei paesi. Eppure si è diffuso una specie di homo, come è capitato di scoprire a Gulliver nella terra dei cavalli, appartenente ad una famiglia che ha conosciuto una straordinaria evoluzione antropologica negli ultimi 50 anni, grazie alla capacità di radicamento anche nelle altre civilizzate regioni nordiche, che illuminati naturalisti l’hanno identificata come ndrangheta. Misteri dell’evoluzione della specie per selezione e adattamento. Ma il non plus ultra è stato raggiunto dal “BisConte” non più dimezzato: le sue prodezze meritano un tris di cuori e un poker d’assi. È nel suo stile. O meglio, le sue imitazioni del Fu Cavaliere de l’Arcor, sono così raffinate, che sfuggono anche agli esegeti della semiosi comunicativa gestuale e verbale di questo gigante nell’arte del trasformismo. L’avvocato del popolo – che eredita il demos basileus – si è lasciato trascinare dall’entusiasmo tanto da dichiarare all’inizio dell’anno che “sarà un anno bellissimo”, un auspicio che ha squarciato il cielo come la folgore di Zeus Oratrios Horkios.  Ancora più sorprendente la sua capacità tautologica, epistemologica, etimologica, glottologica, escatologica, di fotografare la palingenesi che ci sarà con il nuovo Esecutivo: “Forti di un programma che guarda al futuro dedicheremo le nostre migliori energie, le nostre competenze, la nostra passione a rendere l’Italia migliore nell’ interesse di tutti i cittadini”. Beh! Si rimane ammaliati e strabiliati dalla sua affabulante oratoria.  E prima? Che cosa ha fatto il primo ministro, non ha lavorato “per rendere l’Italia migliore nell’interesse di tutti i cittadini”? Possiamo tradurre come un “lapsus in fabula”: ha lavorato per rendere migliore forse il bene dei sovranisti e dei populisti per poi rigurgitare “il fiero pasto” con il suo “J’accuse” al suo ex ministro dell’Interno come ha fatto il Conte Ugolino nel XXXIII canto dell’Inferno:

La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’capelli del capo ch’elli avea di retro guasto. Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme già pur pensando, pria ch’io ne favelli.

Ma questo coraggio, il Conte di Montecristo, lo ha trovato solo dopo che il Capitano, con una improvvisa virata al suo veliero, ha deciso di cambiare rotta, salvo poi pentirsi con l’esibizione di crocifissi e rosari. Quanti casi per gli psicoanalisti! Ma due sono le ipotesi sul tavolo: o il Conte Uno ha firmato gli atti inconsapevole di quello che andava ratificando; oppure c’è sempre una via nobile, luminosa e illuminata, che lasciamo alla libera interpretazione di voi lettori, che con coraggio state seguendo questo impervio sentiero della fantasia immaginifica, perché “ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale…”  Pàthei màthos: per avere la conoscenza è necessario soffrire, ci aveva ammonito Eschilo nel suo Agamennone.

Adesso il Conte bis ha manifestato senza alcun indugio la conversione, illuminato sulla via di Palazzo Chigi. E così, in questo psicodramma, anche il professore si sente finalmente in cattedra. E sì. Improvvisamente si diventa geniali. Anche l’abile profeta e sacerdote del trasformismo Agostino Depretis, ha dovuto piegarsi alla ragion di Stato in quegli anni Ottanta del XIX secolo, per andare incontro alla volontà degli dèi superni del Pantheon. Sempre per il bene degli italiani, aprì le sue braccia sia a sinistra che a destra. Se non ricordiamo male all’epoca c’era il Regno d’Italia, e quindi sarebbe più corretto dire “per i sudditi” di sua maestà Vittorio Emanuele II. In questa sudditanza i sudditi del Sud erano ancora più sudditi. Quella che è mutata è la mutazione antropologica che conosce un’accelerazione così repentina che non abbiamo il tempo di identificare la stessa mutazione. Anche in questo caso si applica “il principio di indeterminazione”, teorizzato da Werner Karl Heisenberg, premio Nobel per la Fisica nel 1932.  Ed è probabilmente a causa di questo principio che nei processi della metamorfosi, mentre prima si era bruchi, una volta diventati farfalla, si dimentica in fretta di essere stati bruchi. Il problema o il dramma di questo momento storico, di quest’era social, per l’umanità, è che la mente si svuota rapidamente dei pensieri frutto di lavoro, di analisi, di riflessione e di consapevolezza, in particolare quando si tratta di questioni, non solo di quella meridionale, ma soprattutto morale, che investe il ben dell’intelletto, i principi etici e umani, i valori civili e democratici, la dignità delle persone. E per raggiungere questi importanti finalità è essenziale e indispensabile creare giustizia sociale, attraverso la formazione delle coscienze, l’impegno e la responsabilità verso i beni comuni: il che significa un forte investimento sulla Scuola, sull’Educazione e sulla Cultura. Di converso, l’entità deputata per nutrire il corpo, la mente e l’anima, si riempie di immonde notizie e di velenoso cibo. Il trasformismo è nel DNA del potere e il suo blu sangue circola nelle candide vene delle nostre istituzioni. Forse per ossequio alla legge che regola i fenomeni fisici da sempre, “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” denominata anche “Legge della conservazione della massa” postulato della meccanica classica grazie a Antoine-Laurent de Lavoisier. Quello che molti non sanno però, è che la pratica del trasformismo non è merito di Depretis, ma di un certo Liborio Romano, ministro nel regno dei Borbone nel passaggio cruciale che ha spostato il potere nelle mani dei Savoia e che ha occupato anche un seggio alla Camera dei deputati a Torino subito dopo l’Unità. Liborio Romano, come ministro dell’Interno di Francesco II, per consegnare Napoli a Garibaldi, si è servito della camorra, realizzando così un duplice tradimento: sia nei confronti del suo re che nei confronti del conte di Cavour. A documentarlo lo storico Nico Perrone (Università di Bari), ne “L’inventore del trasformismo”. Le trame nascoste dell’Unità d’Italia sono una bella eredità storica che ha tessuto la storia politico-istituzionale del nostro Paese. Lo aveva già raccontato Tomasi di Lampedusa nel suo “Gattopardo” come il potere muta pelle e colore: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Questa trasformazione la ammiriamo nei protagonisti dell’attuale scena politico-istituzionale. Ma il “gattopardismo” ha dato il meglio sia nella nascita della Repubblica che nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e poi alla Terza. L’ultimo caso, quello del Fu Magnificus (al secolo Matteo Renzi) ne è un alto ed emblematico esempio: aveva giurato di non stringere alcun legame con i pentastellati, che sarebbe scappato dal PD se si fosse creata una alleanza con gli acerrimi nemici che lo avevano oltraggiato nella dignità degli affetti e dei sentimenti più sacri. Invece alla fine si è convertito a servitore dello Stato. Lo ha ricordato nel suo solenne discorso al Senato il fatidico giorno delle dimissioni di Conte, in uno dei suoi passaggi: “Una cosa la dico anche al Movimento 5 Stelle, prima di chiudere. Io non so se, in nome della responsabilità, noi voteremo in futuro lo stesso Governo. Sono certo che, ove questo avvenisse, di questo Governo io non farò parte, in modo orgoglioso. Vi è, però, una cosa che vorrei voi poteste prendere dal discorso del presidente Conte, della cui sincerità non ho motivo di dubitare. Imparate, sempre, che, dietro l’aggressione personale, l’insulto e l’odio che vengono scatenati spesso sui social, a pagarne le conseguenze sono, non gli avversari politici, ma gli affetti più cari, le famiglie, le persone di cui non avete rispettato la dignità. Tuttavia, io sono qui a dire che, prima delle legittime ambizioni, prima dei legittimi risentimenti, prima delle ripicche, viene l’interesse del Paese. Io ho servito questo Paese come Presidente del Consiglio.” Quanti miracoli accadono nell’era del potere social. L’alchimia sta compiendo dei prodigi incredibili: anche i metalli più duri, più vili, più infidi e più infimi diventano oro. Stai sereno Conte! pensiamo sia il pensiero di Enrico Letta. Il lupo cambia il pelo… Povero lupo! Agli animali proiettiamo le nostre miserie umane. E’ colpa di Fedro e delle sue favole, come la storia che ci racconta Platone sul “canelupo”, il cane pastore che una volta messo a guardia del gregge, da cane si trasforma in lupo e sbrana le malcapitate pecore. (Per chi volesse approfondire l’allegoria in tempi non sospetti o molto sospetti, su queste pagine,  https://www.laprimapagina.it/2019/02/28/il-cane-lupo-e-i…l-popolo-italico/). In fisica, si sa, gli opposti si attraggono, mentre le affinità sono una peculiarità dei processi chimici che danno vita a legami forti e deboli. La dura lega con Salvini alla fine si è spezzata; quella con Zingaretti è più duttile e gli elettroni pentastellati producono una modificazione della struttura degli atomi più compatibile, in virtù anche delle più recenti acquisizioni nel campo fisico della teoria dei Quanti, da cui hanno tratto esempio, richiamando quanto avevano affermato i massimi esponenti della fisica quantistica, nonché premi Nobel, Max Plank, (“… coloro che vanno a fondo con il loro pensiero e vedono le relazioni meravigliose tra le leggi universali, riconoscono una potenza creatrice”), che Niels Bohr (“…tutto quello che ci sembra reale è fatto di qualcosa di apparentemente reale”). Ed ecco che sulla scena delle umane passioni assistiamo a queste trasformazioni e metamorfosi, che cambiamo la natura stessa dei legami. Anche in letteratura la chimica dei sentimenti ha conosciuto le sue “affinità elettive” nel romanzo di Goethe. Tutti si prefiggono di cambiare o di scambiare, e di voler fare dello svolte, ma senza indicare alcuna direzione. Pensate che il governatore della Liguria, Giovanni Toti, ha avuto l’idea strepitosa – o spiritosa – di formare un suo partito e di chiamarlo “Cambiamo”. Cambia anche lo spettacolo teatrale e si scambiano le maschere. Si rinnovano anche i canovacci. Con la riforma della commedia il copione è imposto dall’autore o da qualche mano occulta che agisce dietro le quinte, e il pubblico assiste allo spettacolo applaudendo, fischiando o infischiandosene delle proprie sorti, perché in fondo “la vita è una enorme pupazzata”.

La coda di questa commedia all’italiana speriamo abbia un lieto fine, come nelle fiabe, dove il bene trionfa sul male. Ma l’ottimismo della volontà non ci aiuta a comprendere come il Conte Bis possa guarire questo Paese dalla sua endemica malattia con una cura senza anamnesi e né diagnosi. Questa nostra Terza Repubblica figlia illegittima della Prima e della Seconda, sta marcendo nella corruzione, nella criminalità, nell’evasione, nell’immondizia, nell’incultura, nell’inciviltà, nella mancanza di valori etici, preda della plutocrazia, dell’indifferenza e dell’egoismo che sono sempre più endemici, e non ha nessuna intenzione di curare i cronici mali. Nelle priorità dei programmi si pensa di governare facendo finta che questi tumori non facciano parte del corpo e dell’anima di questo Paese. È impressionante come personalità  che si ingozzano di titoli magniloquenti, che si dichiarano responsabili del bene degli italiani e che esibiscono alte competenze, siano intrappolate dentro la prigione del proprio miope egocentrismo e non abbiano una sensibilità e una visione capace di leggere le cause che hanno ridotto questa nostra terra ad una discarica, e continuano ad alimentare il mostro che divorerà i loro figli. Di fronte al profitto, al dio denaro, al fascino demoniaco del potere, si diventa ciechi e spietati, pur di restare sulla scena per recitare l’apparizione della loro scomparsa. È come assistere ad una potente scossa tellurica che sta facendo crollare l’edificio, ma si sceglie di essere sotterrati dalle macerie. È questa la follia che va in scena. Non è dissimile dal racconto che Erasmo da Rotterdam ha concepito 5 secoli e 10 anni fa. Sono passati quasi due millenni e mezzo dal mito della caverna di Platone. Ma l’homo sapiens vive sempre nella caverna prigioniero della propria ombra.

Dulcis in fundo, dopo il periglioso viaggio in questa nostra Commedia, “per correr miglior acque alza le vele/omai la navicella del mio ingegno,/che lascia dietro a sé mar sì crudele… (Puragatorio. Canto I) e mi porta in Paradiso. Quello perduto o quello che ancora possiamo ritrovare? Lasciamo che sia il sommo Poeta a illuminarci:

Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende;

perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. (I canto)

Zingaretti e Conte