Dalla Calabria al Piemonte: Il mondo contadino e la sua memoria riunifica l’Italia
Un confronto tra civiltà contadine e lo sconvolgimento sociale delle comunità rurali di fronte alle nuove sfide della modernità attraverso il libro-testimonianza di Antonio Pugliese, “La civiltà contadina in Calabria”. L’incontro si è svolto nella prestigiosa istituzione culturale del Circolo dei Lettori a Torino, che ha sede in uno dei più importanti edifici settecenteschi, palazzo Granieri della Roche. In questo frangente contemporaneo, carico di incertezze e di inquietudini, la storia sembra un atomo impazzito. E’ un’operazione impari trovare un filo così robusto che possa ricucire gli strappi nel tessuto sociale e umano che si producono in ogni momento. Ma una domanda continua ad interrogarci: la civiltà contadina è una storia che appartiene alla memoria del passato, o è un’esperienza che si può declinare al futuro? G. Orwell, nella profetica opera “1984”, ci ricorda che “chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. Succede che il nostro presente è dominato dai social media che “centrifugano” l’esperienza e i molteplici rapporti nel mondo e con il mondo: hanno il potere di affermare e negare la grammatica del pensiero e della memoria con l’identica dirompente voracità fino a divorarli, a inghiottirli come fanno i buchi neri con la luce nello spazio, senza che ci sia la possibilità di avere una visione chiara dell’orizzonte sintattico-mediatico, comunicativo e semantico, del futuro. L’umanità è ormai prigioniera della rete, e le stesse maglie che la intrecciano si “smagliano” con facilità, rotte e corrotte dalla ininterrotta narcisistica seduzione delle microfisiche particelle del potere che si sprigiona dai monitor egocentrici degli smartphone, imprigionando corpo e mente. In questa età, in mano agli algoritmi, sotto la minaccia dell’immondizia mediatica e dell’inquinamento ambientale, tanto che autori come Roberto Calassol’ha definita “L’innominabile attuale” e lo scrittore indiano AmitavGhosh “La grande cecità” (richiama il messaggio del romanzo del premio Nobel JosèSamarago, “Cecità”, scritto nel 1995), come si coniuga un mondo fatto di manualità, di saperie di cultura che si sono trasmessi per millenni, di sudore della fronte, di contatto fisico con il linguaggio misterioso e armonioso della natura, di rispetto ecologico e spirituale della terra, con l’egoismo, l’insensibilità e l’indifferenza verso la cura del creato e delle sue creature che ci fanno respirare e ci nutrono? Nella sede del Circolo dei lettori, uno dei più interessanti edifici settecenteschi di Torino, palazzo Graneri della Roche, Antonio Pugliese ha presentato, dialogando con Fabrizio Antonielli d’Oulx (vicepresidente Unione Volontari Culturali Associati) e con il coordinamento di Ferdinando Meregaglia, i suoi ultimi lavori: “La civiltà contadina in Calabria” e “C’erano una volta le lucciole – La profezia di Pasolini” (21 febbraio, ore 21). In questo incontrosi è ricreato quella che NutoRevelli aveva definito “l’anello forte”, l’innesto tra l’estrema propaggine della Penisola e la terra del Piemonte, attraverso le “calabrotte”, le donne che negli anni Cinquanta e Sessanta sono state protagoniste di una emigrazioneper tenere in piedi il mondo delle campagne, abbandonato dalle donne del luogo in cerca di un diverso destino dalla dura vita contadina. Come osserva lo stesso NutoRevelli, nel suo magistrale libro-testimonianza “L’anello forte”, la storia delle “calabrotte” racconta due Italie contadine che si incontrano, ma che si ignoravano, “lontane, diverse ma drammaticamente uguali di fronte alla società che conta”. Si tratta dei matrimoni combinati tra donne che provenivano per la maggior parte dalla Calabria più povera e più abbandonata, e uomini già in età, attraverso album di fotografie, come un campionario di merce, a partire dagli anni Cinquanta. (Una storia di queste “calabrotte”, originaria di Riace, è stata ripresa e raccontata nel 2016, nel romanzo “Ti ho visto che ridevi” del collettivo di scrittura Lou Palanca). Quel mondo è sembrato rivivere il viaggio, attraverso i documenti fotografici e il racconto-testimonianza che Antonio Pugliese ha compiuto nel suo libro sulla civiltà contadina calabrese e che ha dispiegato nella prestigiosa istituzione culturale del Circolo dei Lettori. Non è, di mestiere, Antonio Pugliese, uno scrittore: la sua brillante carriera come professore di Clinica Medica Veterinaria presso l’Università di Messina lo testimonia. Ma i suoi interessi vanno ben oltre la medicina per gli animali e spaziano dalla storia (vista anche sotto un profilo scientifico) all’antropologia, dal teatro alla più semplice vita dei campi, avendo sempre nel cuore e negli occhi la splendida terra di Calabria. “C’erano una volta le lucciole – La profezia di Pasolini” venne fuori una sera con un suo amico, Nicola Rombolà, proprio parlando di come stesse cambiando la campagna, di come il grido di allarme della profezia/poesia di Pasolini fosse ancora attuale, anche se lanciato diversi anni prima; e da questa chiacchierata nacque il libro, scritto a quattro mani, dove a Rombolà il compito di affrontare il tema sotto un profilo letterario, tenendo Pugliese per sé gli aspetti più scientifici che, dallo studio delle diverse specie di lucciole (più di 2.000!), arriva ad evidenziare i motivi della loro sparizione, che possono persino sorprendere. Le lucciole, amanti del buio, non possono riprodursi senza di esso, detestano il rumore e i suoni, e in una civiltà come la nostra, come disse già Pasolini, rischiano di scomparire. Il tema dei mutamenti della vita in campagna viene poi ripreso da Pugliese con l’altro lavoro “La civiltà contadina in Calabria”. Evitando costantemente di cadere in una facile retorica, evidenziando anche aspetti che pare poco avere di civiltà , l’Autore sottolinea quelli che erano i veri aspetti delle civiltà contadina: innanzitutto l’attaccamento alla propria a casa ed alla propria famiglia, valore riassunto in quella che era la frase costante dell’anziano che giungeva alla fine dei suoi giorni: “portatemi a morire a casa mia, nel mio letto”. I racconti degli anziani, quando la famiglia non si annullava davanti alla televisione, contribuivano a creare un forte legame tra le generazioni, dove chi era vissuto prima era ancora presente nei ricordi, nei mille episodi rivisitati e la famiglia si allargava e si consolidava. Un altro valore che forse si sta perdendo era il rispetto e quasi l’amore per la terra e per gli animali: il lavoro necessario per coltivare l’una e allevare gli altri portava ad un rapporto privilegiato che le macchine e gli strumenti moderni non sanno più trasmettere. E poi la solidarietà, la capacità di aiutarsi vicendevolmente sia nel normale evolversi dei lavori della campagna (momenti fondamentali era la mietitura e la vendemmia), sia nei tristi eventi imprevedibili, dalla malattia agli incendi, alla carestia. Era un mondo duro e faticoso, ma proprio il lavoro sapeva trasmettere valori, insegnava a farsi bastare ciò che si aveva, senza rincorrere parossistiche voglie di consumismo. Il libro è certamente frutto di interviste, di lunghe chiacchierate con gli anziani, ma anche di una partecipazione alla vita contadina che affonda le sue radici nelle passate generazioni dello stesso Autore, che sa, nello scritto, con precise pennellate, narrare quasi dal vivo episodi, avvenimenti, circostanze: deliziosi quadretti di una vita che non c’è più e che, in fondo al cuore, in qualche modo si rimpiange. Nella seconda parte del libro si fa sentire l’amore per la scienza di Pugliese che racconta ed illustra antiche ricette, sistemi di coltivazione, strumenti di lavoro ormai dimenticati, precisandone l’uso corretto. E’ un sorta di museo su carta, ricco di fotografie e di descrizioni, quasi guida ad una esposizione immaginaria degli strumenti della civiltà contadina di altri tempi, di quella civiltà che gli attrezzi se li fabbricava da sé, migliorandoli nell’uso quotidiano di generazione in generazione, in una ininterrotta trasmissione che solo gli ultimi 70 anni hanno spezzato e stravolto. In definitiva i due libri non sono un invito ad una “decrescita felice” per tornare ai tempi che furono, sono un invito a ripensare ad alcune impostazioni della nostra vita…ma con una grande speranza: le lucciole, negli ultimi tempi, stanno tornando! Folta anche la rappresentanza dei calabresi emigrati a Torino, tra cui anche lo scrittore, originario di Soriano Calabro, Fedele Ceravolo, in arte Erede Foleclavo, la cui ultima opera, Il romanzo perduto e… ritrovato, è stato presentato al Circolo dei Lettori a gennaio.