Intervista a Rino Giuliani, Portavoce del FAIM – Forum Associazioni Italiane nel Mondo

Il governo con i suoi provvedimenti ha annunciato una stagione di sviluppo e di crescita dell’occupazione trainata dall’attuazione del “reddito di cittadinanza”. Tutto ciò può essere attrattivo anche per giovani emigrati all’estero sempre più alle prese con un ambiente lavorativo precario? La situazione della nuova emigrazione italiana e le condizioni generali degli italiani all’estero esigono interventi che le istituzioni italiane non affrontano in modo organico, nei diversi aspetti già da tempo emersi ed evidenziati. Manca infatti una idea che dal costante presente in cui si colloca l’intervento pubblico faccia spostare l’azione dagli aspetti particolari ad una visione d’assieme, con lo sguardo   al futuro dei singoli e delle nostre comunità all’estero. Questa situazione interroga tutti ed interroga in specie l’associazionismo e le forme di rappresentanza sociale in cui lo stesso svolge un ruolo essenziale. Come Comitato di Coordinamento FAIM abbiamo evidenziato le tematiche di maggior rilievo e le problematiche più urgenti nel convegno tenutosi in Senato nel 2017 sulla base di indagini svolte insieme alle associazioni aderenti in diversi paesi europei. La particolare attenzione in quella occasione prestata alla nuova emigrazione, soprattutto in paesi dell’Unione Europea (compresa la Gran Bretagna e la Svizzera), ha fatto emergere la complessità delle questioni legate al movimento migratorio di giovani che ininterrottamente da dieci anni si sta producendo dall’Italia verso l’estero.La composizione del movimento migratorio – ripreso ormai da quasi un decennio – è molto complessa e ancora costituita largamente da giovani che emigrano per lavoro. Oltre un quarto dei giovani pur con un’alta scolarizzazione (titolo di studio superiore, università) trasferiscono la loro precarietà occupazionale all’estero. Una precarietà e una diversità di condizione dagli altri lavoratori, cittadini dei paesi di accoglienza, indotta sia da scelte pubbliche che dai comportamenti dei datori di lavoro. Ambedue le cause meritano di essere affrontate nei diversi piani di intervento e da diversi soggetti collettivi, pubblici e privati, che vi devono intervenire. Ciò vale per i cambiamenti continui nel mercato del lavoro e per le sopracitate politiche dette di “flessibilizzazione” e ciò vale appunto per la riduzione della sicurezza dell’impiego portate avanti dai diversi paesi. Quanto sta avvenendo nei singoli paesi europei, la destrutturazione del mercato del lavoro, sta creando, in forme diverse e per diverse ragioni, un progressivo peggioramento che colpisce in primo luogo gli immigrati ivi compresi quelli europei e italiani. I governi che in Italia si sono succeduti in costanza del fenomeno migratorio giovanile italiano hanno mostrato una più che modesta attenzione limitata ad iniziative mirate a provvidenze per quanti usciti per esperienze, quali Erasmus, sono stati invogliati a tornare per promuovere impresa nelle diverse regioni di provenienza. La verità è che i giovani non tornano se non c’è lavoro di qualità (non quello precario che nel frattempo è aumentato). Cosa occorre perché i giovani che sono all’estero, risorsa umana sulla quale famiglie e Stato hanno investito, tornino in Italia? Ci vogliono nuovi contratti di lavoro, una riduzione del loro numero (troppi sono solo capestri che servono a creare un mercato selvaggio nella contrattazione in dumping). Imprese e sindacati, da diversi punti di partenza, convengono che la via principale per creare il lavoro, quello vero, sono gli investimenti pubblici, cospicui, insieme a quelli privati. Va aggiunto che gli incentivi alle imprese elargiti in modo tanto generoso non sempre sono tornati nelle tasche dei lavoratori ma hanno preso la strada della speculazione finanziaria e delle scelte immobiliari.  Il lavoro povero, il lavoro precario e poco remunerato è cresciuto in assenza di investimenti in innovazione, per il miglioramento dei processi produttivi e dell’organizzazione, nelle tecnologie digitali, così da essere in grado di garantire una sfida produttività cui già oggi sta partecipando, ma con costi troppo elevati, il mondo del lavoro. La condizione del paese, oggi in recessione e con un sistema produttivo di beni o di servizi pubblici e privati bloccato dall’assenza di investimenti, induce i giovani a restare nel paese di accoglienza ed a scommettere per il proprio futuro legandosi alle prospettive di quel paese che li ospita. Come sono seguiti dalle istituzioni italiane i nostri giovani all’estero? Quali soluzioni ai problemi cui vanno incontro possono essere date con il contributo di associazioni e con l’autorganizzazione dei giovani? I giovani emigranti non seguiti e tutelati all’estero dalle proprie istituzioni hanno, in generale, scarsi rapporti anche con le nostre associazioni. Pochi sono i casi d’intervento proattivo di associazioni rivolte a giovani che, comunque, in forme diverse, stabiliscono fra loro contatti “in rete” per forme di autotutela e per mutuo soccorso. Occorre dare una dimensione programmatica ed una capacità operativa concreta non casuale, al ruolo sociale delle associazioni in tema di diritti dei giovani emigrati (lavoro e welfare). E’ un dato di fatto l’indebolimento delle strutture associative “storiche”. Il che rende difficile svolgere una funzione di supplenza rispetto alle carenze dell’intervento governativo nei confronti dei nuovi emigrati ma anche dei più vecchi. La situazione dell’ emigrazione italiana nel quadro nuovo determinato dai cambianti economici e politici non solo italiani (ad es Brexit e respingimenti avviati in alcuni paesi europei) ha implicazioni sulla condizione degli emigranti italiani vecchi e soprattutto nuovi  che non vengono affrontati ma che come FAIM riteniamo debbano essere nell’agenda del governo e nell’iniziativa dell’associazionismo che da un lato intende essere di stimolo verso le istituzioni e dall’altro intende promuovere strumenti concreti per una  partecipazione attiva, concreta, nei diversi paesi e in Italia , alla soluzione delle questioni aperte quanto irrisolte dei nostri giovani emigrati. La tendenza presente in diversi paesi europei in cui vive la nostra giovane emigrazione per scelte che puntano sulle identità nazionali con intenti escludenti pari condizioni per quanti stranieri “presenti”, pone con una certa urgenza la sistematizzazione degli interventi (diversi) di tutela. Si tratta, tra l’altro, di scelte di contrasto alle immigrazioni che intendono colpire, come dichiarato esplicitamente, soprattutto gli immigrati provenienti da paesi dell’unione. Il che avviene con la “creazione di un ambiente ostile” e vale per i lavoratori italiani di ogni livello, dai ricercatori ai funzionari di agenzie internazionali ai giovani che lavorano come camerieri in maniera precaria e con ‘contratti a zero ore’ nei ristoranti. In questo quadro la nostra proposta è di seguitare a discutere insieme dando continuità agli incontri fra associazioni e Comites nei singoli paesi e creando un gruppo di Contatto fra Comitato di Coordinamento e Comites europei per portare avanti la ricerca di soluzioni condivise sulle questioni aperte da confrontare con le nostre istituzioni. In concreto, nel merito, quali sono le questioni aperte che considerate più urgenti? Queste ultime possiamo raggrupparle in due gruppi: quelle che riguardano ingressi e permessi di residenza (si pensi ai referendum in Svizzera, ad esempio) nonché permessi di lavoro e quelle che riguardano le protezioni e i benefici delle politiche di welfare). E’ in atto una riduzione riguardante la previdenza ma anche sussidi di disoccupazione e altre forme di protezione sociale già cominciata, ad es, da qualche tempo, in Inghilterra ancor prima che si cominciasse a mettere in atto misure relative alla Brexit. In questa situazione difficile gli emigranti vecchi e soprattutto nuovi hanno bisogno di nuove forme di sostegno. Una rivitalizzazione delle associazioni è fondamentale da questo punto di vista. Ed è importante che a questo processo di rivitalizzazione contribuiscono anche i nuovi emigranti quelli che ora si muovono attraverso l’associazionismo in rete. Il nostro impegno è di contribuire a definire soluzioni ed a avviare strumenti che mettano in contatto operativo per concreti obiettivi le associazioni tradizionali con le diverse forme di aggregazione dei giovani emigrati. Intendiamo promuovere un azione di rivitalizzazione delle vecchie associazioni che per i principi e per gli ideali sui quali sono nate ed hanno operato, per l’esperienza maturata sono in grado di darsi, insieme con i giovani, gli strumenti di solidarietà e di mutuo soccorso sui quali sono nate e sono cresciute in anni di loro attività. La situazione di chiusura all’esterno, affermata in modo prevalente in tanti paesi europei, prefigura un presente e un futuro prossimo in cui, è   sempre più probabile, i nostri giovani   avranno bisogno di tutele, d sostegno individuale e collettivo. Di aiuti e chiarimenti, di accompagnamento nella loro nuova vita per quel che riguarda i diritti sociali e per quel che riguarda l’accesso ai benefici delle politiche sociali. Da questo punto di vista emerge un compito e un dovere per le associazioni. Santinews – Istituto Fernando Santi