Uno straordinario itinerario intellettuale, umano e spirituale compiuto da Fedele Ceravolo nel suo ultimo “romanzo perduto e… ritrovato”

Un viaggio nella storia e nella cultura attraverso un illuminante dialogo tra Autore e Romanzo sui grandi temi universali, come il bene e il male. L’autore, Fedele Ceravolo, originario di Soriano Calabro, compiendo questo straordinario e fecondo itinerario intellettuale, umano e spirituale, rievoca anche storie, luoghi e personaggi che hanno segnato la storia della terra natia e che tuttora segnano in modo drammatico il territorio del Vibonese e calabrese. Soriano Calabro-Torino: in questo viaggio che Fedele Ceravolo ha attraversato nel corso della sua biografia e geografia esistenziale, ritroviamo la storia di tanti uomini che hanno vissuto la diaspora. Dentro si può leggere la sofferta storia dell’Unità d’Italia, ma anche il sogno mai sopito del ritorno alla profonda radice in cui si innesta l’identità/diversità di ogni essere umano che riscopre la propria essenza e presenza nei luoghi e nel mondo, come riflesso di una ricerca e tensione,  di uno sradicamento che si traduce in una feconda interrogazione nel tempo e nello specchio della propria coscienza. Ad evocare questo itinerario la presentazione del libro, “Il romanzo perduto e… ritrovato”, scritto da Erede Foleclavo (alias Fedele Ceravolo, originario di Soriano Calabro) al Circolo dei Lettori di Torino (22 gennaio). Tra i presenti anche molti Sorianesi trapiantati in Piemonte come Nino Catania (ex Provveditore agli Studi di Torino) i fratelli Nino e Pippo Caglioti, Pasqualino Ceravolo, Antonietta Grillo, sorella di don Nicola Grillo, parroco di Sorianello scomparso lo scorso anno. Nel corso del suo intervento lo scrittore ha infatti ricordato il compianto amico e sacerdote, il quale ha ispirato uno dei personaggi principali del romanzo: don Marco Impegno. Nel romanzo palpita tanta storia di luoghi e di personaggi calabresi e sorianesi. Non poteva essere diversamente per il forte legame che ha mantenuto l’autore con la sua Soriano e con le vicende che richiamano il territorio del Vibonese e calabrese. Per chi non lo conoscesse già, Ceravolo è autore di altre opere, “Disperanza” (Il Grappolo, 1992), “Metafora della maturità” (Periferia, 2000), “Elpidia” (Falco, 2012), e ultima, “Il richiamo dal silenzio” (Adhoc, 2018) che vengono riattraversate nella sua ultima opera. Ne “Il romanzo perduto e… ritrovato” (EBS-Print, 2018), si rimane colpiti, in primo luogo per l’innovazione della sua proposta letteraria che però affonda le radici nella tradizione, come un nuovo virgulto su un millenario tronco di ulivo; poi per il contenuto che si apre a diverse chiavi di lettura e interpretazioni, che possono essere di carattere ermeneutico, filosofico-esistenziale e pedagogico. Quella di Erede Foleclavo, come suggerisce l’etimo dello pseudonimo (a pag. 62 Autore svela a Romanzo il significato: “Herede(m) è colui che continua a dare importanza alla guida, all’insegnamento – clavus – delle favole, dei racconti – fole)” è una riproposta di un genere che può essere fatto risalire alla scrittura dialogica platonica, per attraversare i secoli fino al romanzo di formazione illuminista. Infatti il testo si snoda in un serrato dialogo tra Romanzo e Autore. Una sorta di meta-scrittura che pone la questione fondamentale sotto il profilo ontologico ed escatologico, del ruolo della scrittura e della parola in un tempo in cui tutto sembra perduto, svuotato di valore e dissolto nella cosiddetta post-modernità liquida (teorizzata da Z. Bauman alla fine degli anni ‘90), che nell’era della camera dell’eco o della post-verità, è diventata adorazione dei fumi – con la relativa narcotizzazione – che i social media sprigionano dalle tante immondizie che vengono prodotte e depositate nella coscienza. Siamo di fronte ad una ricerca del perché si vive questa perdita di orizzonte e della volontà di ritrovare un senso alla propria visione e ricerca. Si ritorna alla maieutica socratica, per rintracciare le radici del pensiero e ritrovare ciò che si è perduto. In altre parole capire il perché è necessario, anzi fondamentale, ritornare alle origini e ritrovare il filo che si è dipanato nella storia, fino alla nostra contemporaneità sempre più labirintica. Non a caso il romanzo inizia affrontando la questione della “Creazione e della Libertà”, a partire dal peccato originale che viene raccontato nella Genesi. Ma la questione della creazione e della libertà chiama in causa i nodi essenziali dell’esperienza umana sulla terra – come l’evoluzione e il destino dell’umanità – non solo sotto il profilo religioso o esistenziale, ma anche estetico, che vanno a toccare la nascita dell’opera d’arte, il ruolo della cultura – e quindi della parola – la libertà dello scrittore, dell’artista e dell’uomo nella vita e nella società. E poi si chiude con un “ritorno a casa”, che rievoca il nostòs di Ulisse, il ritorno ad Itaca dell’eroe omerico dopo aver viaggiato e fatto esperienza di “virtute e canoscenza” (Dante, Inferno, canto XXVI). Questo attraversamento nell’episteme coinvolge diversi spiriti magni, potremmo dire, che hanno segnato e disegnato la cultura sia umanistica che scientifica, con un intenso dialogo tra filosofi, scienziati, scrittori, poeti e uomini comuni, per rispondere a delle domande cruciali: perché si manifesta il male e come si può intuire e spiegare la presenza di Dio nel mondo, e quindi come si può trasformare il male in bene con il messaggio finale che la “felicità non è una meta da raggiungere, ma un ritorno a casa” (la citazione è tratta dal film di Gianni Amelio, “Tenerezza”). E questa conclusione ci fa capire che il viaggio presuppone sempre un “ritorno a casa”, che corrisponde con i sentimenti e le emozioni, con gli affetti domestici e familiari, con i ricordi più lontani, che fanno riemergere il tema dell’infanzia, della biografia e delle memorie, della stessa parola, che ci relaziona al mondo e al tempo. Il viaggio tra Autore e Romanzo inizia e approda al palazzo dove ha sede la Biblioteca Calabrese che si trova a “Riosano”, cioè Soriano, il genius loci, e finisce con una immagine molto evocativa e carica di simbologia, quelle delle api che creano un libro. Un segno potente che si staglia in alto con la “speranza del cambiamento e della salvezza, che solo la parola può portare, seguendo la strada infinita della fantasia, nella quale … gli antichi… trovavano il Bello e i Vero!”. “Il romanzo perduto e… ritrovato” presenta una struttura circolare dove si intrecciano, ai grandi temi universali, storie particolari che hanno segnato la storia nazionale e locale, ma si ricordano anche personaggi incontrati nel corso della vita dell’autore, che coinvolgono la Calabria e Soriano. In questa catabasi e anabasi (discesa e ascesa) lo sguardo e la coscienza di Erede Foleclavo si focalizzano anche sulla ‘ndrangheta e sui tanti crimini che vengono commessi per affermare il potere con la violenza bruta, di cui è stato vittima Filippo Ceravolo, nipote di Fedele, dalla cui storia tragica si è ispirato per scrivere “Il richiamo dal silenzio” (ucciso il 25 ottobre del 2012, rievocata nel cap. XLI, Che fare?) e prima ancora l’uccisione di Nicolas Green avvenuta il 29 settembre del 1994 (rievocata nel cap. XLII, “L’erba cattiva”); o anche questioni politiche e di terrorismo come L’affaire Moro, (cap. VII) dall’omonimo libro-inchiesta di Leonardo Sciascia. In questo dialogo tra Autore e Romanzo emerge la meraviglia della parola e la ricchezza del libro quale fonte di valori. Entrambi desiderano fortemente che un libro, una volta conosciuto, venga divulgato. Ma si fa avanti anche la consapevolezza della difficoltà che la parola scritta venga accolta e anche l’amara constatazione che, in certe situazioni, il Verbo venga offeso e mortificato soprattutto dal rovinoso malcostume che, davanti a drammatici avvenimenti, impone di tacere, oltre che di essere sordi e ciechi. Per questo motivo Romanzo continua ad essere il primo interlocutore di Autore, di cui diventa, gradualmente, pure intermediario nell’incontro e nel confronto con i diversi personaggi propri e di altri libri a lui più o meno vicini. Il dialogo con tutti è sempre e soprattutto sull’importanza della parola parlata e della parola scritta. Il messaggio fondamentale de “Il romanzo perduto e … ritrovato” – che l’autore definisce una “lezione”, una lunga “lezione scritta”, lunga come quelle che, di solito piacevano a lui, nel corso del suo insegnamento, con frequenti riferimenti a scrittori, poeti e libri – porta dentro l’impronta di un sentimento spirituale, in cui è presente la coscienza del ruolo imprescindibile della cultura e del suo fascino, soprattutto tramite il libro, affinché il male possa essere trasformato e riscattato dal bene, anche nelle menti più malvagie, in quanto gli affetti, i sentimenti, vengono provati anche da tutti gli uomini, compresi i malvagi, solo che la malvagità li distrugge. Per spiegare i contenuti e i valori espressivi del libro sono intervenute Carla Casalegno (ex docente di Lettere al Liceo Classico “Alfieri” di Torino), Maria Celeste Ceravolo (docente di Lettere nell’Istituto “Colombatto” di Torino) e Giovanni Quaglia (docente di Economia e Direzione presso il Dipartimento di Menagement dell’Università di Torino e Presidente della Fondazione CRT). Ad aprire l’incontro direttamente l’autore, Fedele Ceravolo, il quale ha voluto sottolineare l’importanza dei libri e della cultura, che è, come dice Albert Einstein, “Ciò che ti rimane quando hai dimenticato tutto ciò che hai appreso a scuola”, ma che solo la scuola ti può dare. Inoltre ha richiamato Edoardo De Filippo e la sua famosa frase “Gli esami non finiscono mai” per spiegare che anche la pubblicazione e la presentazione di un libro è un esame “a cui ci si sottopone, un po’ autolesionisticamente, di nostra iniziativa”; ma il libro si fonda sulla parola, se si ama la parola, questo esame risulta gradito. Ceravolo conclude ricordando uno degli insegnamenti indimenticabili di Umberto Eco “I libri parlano tra loro” per sostenere come essi alimentino ed arricchiscano la cultura di ciascuno e di tutti, e per confermare che il libro in questione “come ogni libro, forse ci offrirà solo, come dice il Poeta qualche storta sillaba e secca come un ramo, ma certamente potrà farci compagnia nel cammino della vita e qualche sua sillaba potrebbe aiutarci a dare senso a ciò che senso non ha o sembra non avere”. La complessità del “Romanzo perduto e … ritrovato” nel suo intreccio e nella sua struttura è stata sottolineata da Carla Casalegno in quanto “ si può leggere e rileggere secondo diverse prospettive e per tematiche, molte delle quali filosofiche, esistenziali (libertà, tempo, verità, umiltà, bellezza, scuola, politica).” Si tratta di un libro – ha inoltre osservato – “che rivela un profondo amore per la propria terra, come si evince da squarci lirici descrittivi (come a pag. p. 336): “… tra ulivi, aranci, castagni, fichi, peschi, ciliegi, peri e meli, segni della perennità della vita e del trionfo salvifico della bellezza”; ma anche può essere letto come un libro didattico-pedagogico, “in quanto in più passaggi illustra, spiegandoli, altri testi (passaggi del Somnium Scipionis di Cicerone, dello Zibaldone di Lepardi, di Uno nessuno centomila di Pirandello, della Città del Sole di Tommaso Campanella, per il quale c’è una grandissima ammirazione in quanto conterraneo (nato a Stilo) e, poi, sono tantissimi gli autori citati, da Pisandro, VII sec. a. C. (p. 63), autore del mito della Sfinge, a quelli contemporanei, come Erri De Luca (p. 43): basta guardare la ricchissima bibliografia fatta coincidere con le note.” Poi può essere letto come libro di linguistica, “per la sua attenzione alle etimologie, alla costruzione delle parole, all’analisi sullo pseudonimo di Autore(p. 62), al rapporto lingua italiana e dialetto (pp. 125-126)”. Ancora libro di denuncia contro la ‘Ndrangheta, per far capire ai giovani che intraprendere e seguire la strada del delitto è rovinoso” ( p. 239 e p. 296). Soprattutto – ha sottolineato la Casalegno – “è un libro che, già nella sua struttura dialogica, dalla prima all’ultima pagina, intende sviluppare l’idea, appunto, del Dialogo, in antitesi al mutismo, al silenzio che si fa omertà e, di conseguenza, il tema della Parola, impegnata a denunciare il male nella sua molteplice declinazione di Parola scritta e parlata, detta e ascoltata, una parola capace di prospettive di speranza e di salvezza, all’insegna del kalós kai agatós, del bello e del buono.” Il prof. Giovanni Quaglia nel suo intervento si è soffermato sulla complessità e sulla ricchezza tematica del “Romanzo perduto e … ritrovato” e sull’importanza del dialogo e della parola, della parola parlata e della parola scritta. “In un momento storico in cui si è pronti a sentire, ma non ad ascoltare – ha sostenuto il docente – bisogna riscoprire l’importanza del dialogo basato sull’ascolto dell’altro e sul rispetto della parola, come insegna Crono, uno dei personaggi principali, senza preconcetti e senza predisposizione a rispondere comunque all’altro prima ancora di aver capito che cosa l’altro voglia dirci”. Dopo aver sottolineato la differenza tra dono e donazione, rilevando l’importanza del primo, Giovanni Quaglia ha affermato che viviamo “in un astioso clima di contrasto e di pessimismo”. Per questo “dobbiamo riscoprire le cose belle e buone che pure abbiamo e che ci uniscono”. Quaglia infine è ritornato sul dialogo richiamando, a proposito, anche l’insegnamento di Paolo VI, per riprendere la fiducia reciproca, senza stancarci di innaffiare e di far continuare a crescere l’albero della speranza, della cui necessaria e piacevole ombra protettiva abbiamo tutti bisogno. A concludere gli interventi Maria Celeste Ceravolo. In primo luogo ha messo in rilievo il legame che passa dalla parola parlata alla parola scritta attraverso il libro; poi ha raccontato un aneddoto. Mentre un suo allievo svolgeva una ricerca scritta, lei era presa dalla lettura di “Romanzo perduto e … ritrovato” tanto da incuriosire il ragazzo e farle dire che la interessava molto, non solo per la presentazione. “Allora, poi, me lo racconta!”. Soffermandosi sul contenuto la Ceravolo ha confessato che “ho trovato la chiave per leggere e comprendere tante situazioni della vita: della vita di donna, di figlia, di madre e di insegnante. Ho scoperto tanti spunti di riflessione , ma anche alcune risposte a domande che spesso ci si pone di fronte alle difficoltà di tutti giorni.” Poi ha rilevato che il dialogo tra Autore e Romanzo dai temi universali si estende anche ai libri che sembrano prendere vita comunicando tra loro, “pur se lontani nello spazio e nel tempo, perché essi trattano i problemi di sempre e … perchè mundu era , mundu è e mundu sarà …” Nella sua esposizione la Ceravolo ha poi ha affrontato il tema della scuola a lei, come insegnante, molto caro, per sottolineare l’eccessivo rigore della scuola del tempo di Autore, dove non bisognava sbagliare mai, se si voleva evitare le punizioni con la verga, o per evidenziare i limiti della scuola di Grammatico, il quale presentava “ la morfologia come una bestia nera … un codice difficile da imparare e da usare” o che sgridava i ragazzi, se parlavano in dialetto. “L’ora di lezione” dello psicoterapeuta Massimo Recalcati ci dice qualcosa di simile, ha osservato: “ … quel sapere grigio … mi lasciava indifferente …” (p- 41). Ma simile alla scuola di Grammatico era la scuola della professoressa Decimale o Frazione, che prende in antipatia Calabresina, affermando che l’alunna non è assolutamente portata per la scuola ed ostacolando il suo percorso di studi . Per fortuna, ha rilevato ancora la Ceravolo, “la scuola è anche quella del prof. Guida, il quale, con umiltà dice ai suoi studenti che è insegnante di italiano, eppure a suo tempo , in prima media è stato rimandato, proprio in italiano, e poi bocciato a settembre”. Per questi motivi è importante lavorare sull’umiltà ha sottolineato ancora, “la virtù dei più grandi sapienti, come Socrate e Bobbio, e la necessità che coloro che devono trasmettere il sapere non si sentano mai “arrivati”. In merito, ha aggiunto “un concetto che mi ha molto colpito è che la scuola dovrebbe essere ‘divertente’, che non significa giocosa, e che l’alunno, se favorito nella scoperta e nell’uso delle sue capacità, può contribuire a renderla migliore”. Grande è la responsabilità della scuola nella crescita degli alunni perché “talvolta essa emette sentenze e segna gli allievi per tutta la vita, rendendoli deboli e appetibili agli avvoltoi del male, come è accaduto a Bocciato, respinto addirittura in prima elementare”. La Ceravolo ha concluso il suo intervento leggendo il passo del libro relativo al concetto di “humanitas”, che, a suo avviso, riguarda anche la scuola: “ Solo ispirandoci al principio di umanità possiamo capire i motivi per cui si finisce nel male e cercare i modi con cui se ne possa uscire, considerando che si è tutti nella stessa barca, per cui la barca dovrebbe ospitare e proteggere dal rischio del naufragio non solo una parte, ma tutti. Il naufragio, infatti, potrebbe essere provocato anche dallo sbandamento di un solo componente e, quindi, va aiutato a mantenersi in equilibrio e a salvarsi anche il solo componente a rischio maggiore, per il bene di questo e per il bene di tutti”. (p.51)