Povera l’Italia di Matteo Salvini e Luigi Di Maio

La profezia di Giuseppe Berto: la ricchezza della povertà prefigurata nel 1972, si è realizzata. Ma è grazie al Magnificus e agli insegnamenti di alchimia di Paracelso, che nel Bel Paese, il piombo si è trasmutato in oro. Povera Italia! Se aumentano i poveri che importa: l’importante è la crescita del Pil, e tutti i metalli pesanti saranno trasformati in oro, per virtù alchemica. Più sarà assoluta la povertà e più questo potere sarà efficace. Basti scorrere i dati Istat. L’incidenza della povertà assoluta che è del 6,9% per le famiglie (era 6,3% nel 2016) e dell’8,4% per gli individui (da 7,9%). Ma è il Mezzogiorno ad arricchirsi di più: la povertà assoluta aumenta sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%). È stato profetico Giuseppe Berto quando nel 1972, richiamando un ritornello di una canzone popolare calabrese “Signuri, chi a lupuviru fa’ dunu di la ricchezza di la puvirtati, ha scritto un articolo memorabile sul Resto del Carlino dal titolo “La ricchezza della povertà”. Lo scrittore veneto (quest’anno ricorrono quarant’anni dalla sua scomparsa) autore tra le altre opere del romanzo “Il male oscuro”, (premio Viareggio e Campiello nel 1964), dopo aver scelto Capo Vaticano come suo genius loci, luogo dove anticamente si praticava l’arte divinatoria, ha colto i segni non certo fausti dei tempi che si stavano profilando tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta e che si sono tradotti nella realtà di cui siamo testimoni. La rincorsa ai consumi ha ridotto l’umanità a merce, nella morsa del bruto materialismo, della competizione, della produzione, dell’individualismo, dell’egocentrismo e in questi ultimi tempi, del narcisismo che ha narcotizzato coscienze e intelletto. Per quel complesso di inferiorità verso la “civiltà” borghese, il mondo contadino è stato indotto a disprezzare il suo passato e abbracciare le “magnifiche sorti e progressive” (La ginestra, Leopardi) della società massificata e modellata sull’ideologia del Pil. Il Nord progredito e ricco, era un esempio da imitare per il Mezzogiorno povero, arretrato, ancora radicato ad una terra che aveva significato sofferenza e miseria. In una serie di articoli che Berto ha dedicato alla Calabria (a partire dal 1950, dove compare con il titolo “Calabria” un articolata riflessione sulla rivista “Il Ponte” diretta da Piero Calamandrei) e alla civiltà contadina,ha fotografato il nostro presente, risultato nefastodella mutazione antropologica e del genocidio culturale, come aveva denunciato con passione, dedizione e responsabilità eticae culturale Pasolini negli “Scritti corsari” e in “Lettere Luterane” prima di conoscere la tragica finenella notte tra l’uno e il due novembre del 1975. “Raramente capita ch’io concordi in quel che fa o dice Pier Paolo Pasolini”, aveva esordito Berto in un articolo del 4 gennaio 1974 (apparso su “Bellezza”), dal titolo Rimpianto di una civiltà, in cui rifletteva sul perché stava sparendo la civiltà contadina del Sud, imputando la responsabilità all’indifferenza della cultura, “che ha permesso al potere politico di fare del Mezzogiorno il teatro dei suoi più disastrosi esperimenti”. Nella “Ricchezza della povertà” c’è un passaggio che rappresenta una chiave per interpretare e riconoscere questi nostri tempi dei post e dei cinguettii, che hanno aperto le porte alla Terza Repubblica, ma chiuso i porti: “La conoscenza dell’alfabeto, se non diventa cultura, dà forza all’ignoranza, e la disponibilità di mezzi rende più potente il disonesto e il furbo. Protagonista di questo disastro è stata una pseudo borghesia avida, profittatrice, attivissima e naturalmente incolta anche perché priva di radici borghesi”. Mai parole sono state più profetiche, capaci di leggere in profondità i segni di quest’epoca, non solo per la Calabria, ma per tutte le glorie italiche che adesso impazzano sui social;e in questo delirioci tocca concordare con Umberto Eco, quando affermava che i social hanno dato voce “aduna legione di imbecilli”. Nell’era delle fake news (il definirle con un termine inglese è già di per sé una falsa notizia), la nuova patologia dei portatori sani dell’unica verità si sta diffondendo come la peste nera che a cavallo della metà del 1300 – precisamente a partire dal 1348 – ha decimato il 30 per cento della popolazione europea. La pandemia dei social adesso sta decimando quasi la metà dell’intero globo terrestre, solo che allora il batterio Yiersinia pestis proveniva dall’oriente attraverso la via della seta, adesso è stato importato dagli USA: dalla via della seta a quella della rete. Ma è l’ideologia dei consumi e la rincorsa sfrenata alla crescita del Pil, a compiere ciò che ancora nessuna bomba atomica è riuscita a fare, cioè la distruzione delle risorse naturali e della vera ricchezza delle nazioni (per richiamare il noto testo di Adam Smith a cui si richiama il modello economico liberale e del neoliberismo del Pil) come la civiltà contadina, l’ambiente, l’umanità, la solidarietà, la fratellanza tra uomo e natura e tra le sue creature. Lo aveva spiegato in un discorso rimasto celebre, Robert Kennedy (fratello di John Fitzgerald Kennedy, 35esimo presidente degli Usa) tre mesi prima di essere ucciso, in cui svelava cosa si nascondeva dietro Pil (18 marzo 1968): “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani”. Il Prodotto interno lordo è diventato il nuovo mito per i tanti guru della finanza rifondata sull’oppio dei popoli. Dentro e dietro questa sigla si nasconde una delle più grandi menzogne che mai l’erede del mitico fuoco donato da Prometeo, è stato capace di diffondere. E Giuseppe Berto, così come Pasolini, ne aveva colto non solo il segno inquietante, ma anche il disegno mostruoso. Di fronte allo spettacolo stupefacente delle isole Eolie, lo scrittore veneto assisteva all’inesorabile distruzione della civiltà contadina e ne soffriva nell’anima e nel corpo. “La povertà degli antenati” che diventava “ricchezza per i posteri, preziosa materia prima, in quantità incredibile, in una terra che di materie prime scarseggia”, stava per essere divorata, perché “i calabresi si son messi con grande energia e determinazione a distruggerla. In questo sono infaticabili e, a modo loro, geniali”. Questa riflessione richiamava la visione “apocalittica” che Pasolini aveva immaginato nel 1962: “Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole, le api, le farfalle, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita”. La “genialità” dei calabresi colta da Berto, per virtù dei vasi comunicanti, si è estesa all’intero corpo della Penisola, grazie anche al genio della ‘ndrangheta. Con lo sguardo attuale, alla luce di tutto ciò che accade alla magnifiche sorti e progressive, sia italiche che europee, possiamo constatare che quella ricchezza è stata consegnata nelle mani di coloro che hanno fatto della conoscenza dell’alfabeto, non cultura, ma disonestà, furbizia, corruzione, asservimento ai poteri disumani e spietati, con l’unico scopo di imbrattarsi dello sterco del demonio senza alcuna coscienza etica e umana, senza alcuna sensibilità e visione etica del futuro. L’imperativo categorico, la nuova divinità da adorare, è il danaro, il profitto, le società per azioni e non “le azioni per una società più umana e giusta”. Stiamo perdendo di vista i valori supremi, gli ideali classici, dell’humanitas, che possiamo rintracciare nelle parole di un autore vissuto nel II sec a.C. Publio Terenzio Afro, Homo sum, humaninihil a me alienum puto: “Sono un uomo e non considero estraneo niente che sia umano”; questa corrispondenza tra uomo e umanità, certo suona estranea, stranieraper i “panificatori” che hanno messo le mani nella pasta del potere per poterlo farlo lievitare nei due forni, evitando di accenderlo con la legna ormai troppo secca della Costituzione e della Dichiarazione dei diritti umani. Sono passati settant’anni! Siamo di fronte ad un tratto antropologico che ha contrassegnato l’evoluzione di noi Sapiens, come mette in luce lo storico Yuval Noah Harari: “Dall’inizio della Rivoluzione cognitiva Homo Sapiens ha vissuto una realtà duale. Da un lato, la realtà oggettiva di fiumi, alberi e leoni; dall’altra la realtà immaginata di dèi, nazioni e società per azioni. Col passare del tempo, la realtà immaginata è diventata viva via sempre più potente, di modo che oggi la sopravvivenza stessa di fiumi, alberi e leoni dipende dalla benevolenza di entità quali gli déi, le nazioni e le società per azioni”. (Y. N. Harari, Sapiens. Da animali a déi, Milano 2017, pag 46). Sulla questione della civiltà contadina e su alcuni temi, come la povertà e la pace, vale la pena ricordare una ricorrenza significativa. Anch’essa si porta dentro il seme della profezia. Si tratta della “Lettera ai contadini sulla povertà e la pace”, scritta dal francese Jean Giono nel 1938, vissuto nella Provenza, regione che ha dato origine alla poesia provenzale che tanta influenza ha avuto sulla Scuola poetica siciliana, sorta nella Magna Curia dello Stupor Mundi, Federico II. È interessante quello che Giono scrive, a partire dal 6 luglio del 1938: “Oh, vi sento! Riceverete questa lettera, osserverete la grafia e, dopo averla riconosciuta, direte: – Cosa gli salta in mente di scriverci? Sa dove trovarci. All’epoca della mietitura possiamo essere soltanto in due posti: o nei campi o nell’aia…”. In quel poetico appello, la questione diventava universale, perché riguardava tutti i contadini del mondo. Era un’esortazione che metteva al centro la povertà e la pace, le armi della semplicità, del buon senso e della poesia contro ogni guerra causata dal modello del profitto e da una tecnica che cominciava ad imporre il suo potere che oggi è diventato totalitario e incontrollato. Eravamo nell’età dei totalitarismi e alla vigilia della seconda guerra mondiale, nell’anno in cui sono state emanate le leggi razziali in Italia dal regime fascista. Questioni che ci toccano come non mai e che risuonano anche nella riflessione di Tiziano Terzani (la sua nascita è anche una coincidenza, nel settembre del 1938 e scomparso nel 2004), in uno dei tanti interventi che questo grande giornalista e scrittore ha fatto per richiamare il mondo al primato della coscienza: “Siamo noi che non vogliamo sentire che c’è altro al di la della materia. Ma tu guarda, tutto il mondo di oggi si fonda sulla materia…l’acquisizione, l’avere più che l’essere, la concorrenza…pensa, un ragazzino oggi va a scuola e invece di crescere nella gioia di scoprire le cose del mondo, di scoprire le sue regole, di scoprirne le sue meraviglie, la prima cosa che gli insegniamo, che gli imponiamo è di essere concorrente del suo vicino! Lo deve far fuori, per essere il primo della classe! …e così è tutto. E poi, tutto il sistema economico è fondato esclusivamente sul profitto… Oggi si danno i premi Nobel, a questi economisti bravi, eccellenti, che coi loro modelli matematici riescono a prevedere l’andamento della borsa tra vent’anni…ma chi se ne frega!…L’economia dovrebbe essere fondata sulle esigenze dell’uomo: l’economia dovrebbe essere fatta, non per i criteri economici, ma per l’uomo! La crescita…ma siamo sicuri che il progresso debba essere solo crescita? Non sarebbe molto meglio arrivare ad una situazione in cui abbiamo poco, ma il giusto, e tutti un po’ di più, anziché pochi tantissimo, e tantissimi poco? Se ci mettiamo a pensare a ciò di cui veramente abbiamo bisogno, non è quello che l’economia di oggi ci dà. Se tu pensi, l’economia di oggi è fatta per costringere tanta gente a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose (per lo più inutili) che altri lavorano, a ritmi spaventosi, per poter comprare. Perché questo è ciò che da soldi alle società multinazionali e alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente…”. Nel mondo attuale i paradossi e le pantomime con tanto di comparse e scomparse, di parate e sparate, sono il nostro pane quotidiano con dentro menzogne e mistificazioni, a partire dalle parole, come la favola che il Pil misura la nostra ricchezza. Chi racconta questa idiozia (e ci sono eminenti studiosi, premi Nobel, economisti che studiano una vita e fior fiore di giornalisti) andrebbe accusato per crimini contro l’umanità. Ma in questo nostro mondo l’onestà intellettuale e l’autonomia di giudizio (incarnati dai Giuseppe Berto, dai Pasolini o dai Tiziano Terzani e da tanti altri che non hanno voce) sono stati relegati in qualche isola utopica, marchiando chi non si omologa al conformismo come un povero disadattato, perché la realpolitik impone non i sentimenti, i valori umani, ma tutt’altri interessi. In questa realtà mediatica contrassegnata dalla fiction e dalla rappresentazione, bisogna essere in scena, indossare una bella maschera e recitare la parte per come è stata assegnata, senza improvvisazioni, da illuminati registi. Pensate a quello che sta accadendo in questa Terza Repubblica: prima c’era il Magnificus (al secolo Matteo Renzi, per chi non avesse seguito le nostre variazioni sul tema) che emanava vaticini e proverbi, con il coro ben orchestrato del suo cerchio magico a ripetere la litania e a scolpirle sulle tavole di twitter o di facebook. Questo novello Principe – pensate che è ancora convinto di essere Mosè, ed è salito sul Monte Sinai per scolpire le tavole dei comandamenti da dare al nuovo segretario Pd Martina – parto innaturale del segretario Fiorentino Machiavelli – si era presentato con i panni curiali di un alchimista, e cercare di fare come il medico e astrologo svizzero Paracelso, per trasmutare la lega dei più vili metalli in oro. E durante il suo interregno, sotto l’occhio vigile e previdente, come quello di prometeico, di Re Giorgio – abile a muovere i pezzi sulla scacchiera – è riuscito nell’impresa, perché tutto il piombo è andato a finire nelle fonderie delle industrie belliche che hanno fatto affari d’oro. La crescita del famigerato Pil! Rinfrescare la memoria fa bene alla salute, per non tradire il monito di Milan Kundera, la “lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”. E scopriamo che nel 2016 le esportazioni italiane di armamenti hanno raggiunto 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. Questi dati sono stati divulgati dalla Relazione annuale al Parlamento in materia di armamenti, inviata dalla Presidenza del Consiglio. Il 50% del valore delle esportazioni (7,3 miliardi) deriva dalla fornitura di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait che sale al primo posto come mercato di sbocco per l’Italia. Seguono Gb, Germania, Francia, Spagna, Arabia Saudita (427,5 milioni), Usa, Qatar, Norvegia e Turchia (133,4 milioni). Sono in tutto 82 i Paesi di esportazione dell’Italia che si conferma ai primi posti nella graduatoria mondiale per penetrazione del mercato, emerge ancora dalla Relazione annuale sull’applicazione della Legge 185 del 1990, inviata dal governo con i contributi dei ministeri di Esteri, Difesa, Economia e Sviluppo economico. Oltre agli aeromobili (che pesano per 8,8 miliardi di euro), la categoria di armamenti più venduta dall’Italia è quella di “bombe, siluri razzi, missili e accessori” per 1,2 miliardi. Nel 2014 le vendite all’estero erano state di 2,9 miliardi. Così lievita il Pil.

I neo alchimisti Salvini e Di Maio

Dalla Ricchezza della povertà di Giuseppe Berto alla povertà della ricchezza dei neo alchimisti Salvini e Di Maio, con la promessa che trasmuteranno ogni lega in oro. Adesso ci penseranno i nuovi alchimisti a trasformare il piombo che il popolo italico sta respirando, per ripulire l’atmosfera urbana e extraurbana, dall’inquinamento, in oro. Lo ha annunciato il ministro della difesa, Elisabetta Trenta. Per essere in linea con i numeri, ha dato il via libera agli F35, che serviranno all’Italia per difendersi dal pericolo africano. Poi ci penserà il ministro dell’Interno con competenza su tutto e su tutti, con la flat tax (che alchimia sprigiona questo inglese, fa il paio con jobs act), i condoni e i predoni, i 50 milioni di euro elargiti dalla generosità degli italiani come elemosina per i questuanti leghisti (Boss e company) per rendere l’Italia un Paese virtuoso, onesto e geniale, e trasformare per la legge del contrappasso, la ricchezza in povertà. Vi ricordate che la parola alchemica del Lorenzi il Magnificus era “cambiamento”, “Cambieremo l’Italia!”. Che motto! Quanta passione e quanta ispirazione dall’alto della sua immensa genialità! Ad ereditare il metallo prezioso trasmutato dalla vile lega, il nuovo Matteo, per non essere da meno del suo “Mentore” (personaggio mitico al quale Ulisse affidò il suo giovane figlio Telemaco quando si accinse a partire per Troia), rassicurato dalla splendida visione astrologica di ben cinque stelle, e accompagnato dalla fulgida stella polare del Re Di Maio, ha promesso che cambierà questo Paese. Tutti vogliono cambiare. Chi non ricorda il “Gattopardo”, il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e la famigerata frase pronunciata da Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Cambiare tutto per non cambiare nulla. Forse questi novelli dottori e predicatori, che avranno preso lezioni dal frate domenicano Girolamo Savonarola, hanno omesso una esse: invece di cambiare, per un lapsus, in realtà avevano intenzione di “scambiare” le lucciole per “le stelle”; e hanno diffuso una bella favola per i naviganti del mare da dove nascono i miti, che i nuovi galeotti faranno una crociera, ma non ritorneranno più come odissei, perché “è finita la pacchia”e anche per l’astuto eroe omerico che ha osato accecare il ciclope Polifemo, non troverà più né Circe, né Calipso e né Nausicaa ad accoglierlo; infatti tutti i turisti per caso che prima solcavano le onde feconde mediterranee, adesso sono stati invitati a prenotare una crociera negli abissi marini alla ricerca della nuova Atlantide. Ci eravamo illusi che esistesse una solo vangelo secondo Matteo con l’imprimatur di Santa Romana Ecclesia. Invece adesso si scopre che c’è né un altro apocrifo, con tanto di miracoli; e Luigi Di Maio e tutto il suo firmamento lo traducono in tutte le lingue del web, come avevano fatto i luterani con la Bibbia, dopo la rivoluzione della stampa all’indomani della protesta di Martin Lutero (sono passati esattamente 5 secoli e un anno, era il 1917). Adesso che siamo nella rivoluzione digitale dei social, la protesta che nel frattempo si è trasformata in profferta, corre con una velocità che supera quella della luce e forma, per magia, tanti buchi neri. Non so se qualcuno ricorda cosa promettevano i Pentastellati… Ma in questa vorticosa ascesa e discesa, tutto cambia affinché tutto rimanga come prima. È la legge dell’eterogenesi dei fini, o dei corsi e ricorsi storici. Così gli internauti che costellano i meetup (come è social e alchemico questo inglese) si ritrovano a dover vivere un terrificante contrappasso dantesco: i ricchi che rincorrono invano la ricchezza, mentre il povero Rousseau, nelle mani della Casaleggio e associati, doveva sobbarcarsi le invettive contro la corruzione, la criminalità, contro ogni potere colluso con la vecchia politica. Il leitmotiv scandiva la purezza della razza, quella astrale. E la sovranità che apparteneva al popolo enunciata dal Rousseau in carne e ossa nell’età dei lumi, adesso si ritrova a fare i conti con gli algoritmi. La pagliuzza adesso è diventata una trave, ma per le proprietà alchemiche, è diventata invisibile, come i buchi neri o la materia oscura, o come l’aria della libertà: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, come aveva postillato Piero Calamandrei. La legge del contrappasso colpisce ma non punisce: perché “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e kanoscenza”. Pensate che l’astro di Di Maio ha messo la mano sul fuoco sulla santità di Matteo Salvini. I giudici ormai appartengono alla post verità. Il ministro dell’Interno è immacolato, nato come Venere dalle onde feconde del mar Egeo, capace di stregare con il suo fascino latino, dallo sguardo magnetico come la Gorgone, che pietrifica chi osa sfidare il suoi rai fulminei, come ha osato fare Roberto Saviano, chiamandolo “ministro della malavita” e adornando di altri spiritosi elogi la sua corona aureolata, che a sentirli avrebbero dovuto terremotare tutte le istituzioni. Invece sono state come un sussurro di vento tra le foglie. Lui è la via e la verità, dal vangelo apocrifo secondo Luigi Di Maio. Il potere trasforma la materia oscura, come la legge fisica della meccanica classica: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Queste parole evangeliche bisogna scolpirle sulle pietre di Rousseau, perché è arrivato il nuovo Salvatore metafisico in versione digital. I cristiani per gli ndranghetisti sono i battezzati (e lui il Salvini versione Lega metallica – ricordate!) ha mostrato il rosario per far vedere la sua pura fede al popolo sovrano ed esaltare le virtù nordiche dell’unto. Mentre gli altri, coloro che non sono battezzati, nel gergo della ‘ndrangheta“carduni”, “contrasti”, i non affiliati alla sacra famiglia, sono senza credo. Il neo ministro che amministra i sacramenti avrà appreso sicuramente il linguaggio aulico e solenne frequentando la terra di Calabria, (per chi non lo sapesse, è stato omaggiato nel feudo di Reggio Calabria, con i voti dei terroni, tra cui qualche ‘ndranghetista, anche lui turista per caso); ma siccome i calabresi praticano la xenia, l’ospitalità, lo hanno accolto, come i profughi in cerca di un nuovo asilo. Ma Matteo il Salvifico non è al corrente di questi rituali arcaici, ancora deve imparare il dialetto, e per questo che aveva deciso di prendere lezioni dall’ex governatore della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti; solo che poi l’enfant prodige è stato costretto a prendersi un periodo di riposo, ed è diventato un galeotto. Galeotto fu il codice e chi lo scrisse! Alle accuse di Roberto Saviano, Matteo ha risposto serafico, noli me tangere, non mi toccare (nella versione della Vulgata del Vangelo secondo Giovanni attribuita a Gesù, che l’avrebbe rivolta a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione). In questo Paese, come dice un esperto del fenomeno mafioso, citando Norberto Bobbio,“il potere invisibile è quello più visibile” e “Se può esistere (ed esiste) una politica senza mafia, perfino in lotta contro la mafia, non c’è invece mafia senza l’appoggio della politica. Lo stesso vale per la corruzione. Corruzione e mafia sono due cose distinte ma non diverse. Ci può essere corruzione senza mafia (e in molti Paesi ciò avviene), ma non ci sarà mai mafia senza corruzione. la mafia presuppone la corruzione pubblica e privata. (Antonio Nicaso, Mafia, Bollati Borighieri, Torino 2016, pag. 117). Il Salvinatore oggi è sbarcato in Calabria dove i porti sono aperti, e sarà a Palmi per mettere il sigillo ad un bene sequestrato alla ‘ndrangheta a dimostrazione che lui è uno che pratica la politica dei fatti, della serie “fatti non foste per viver come bruti”. Attraverso le sue capacità divinatorie aveva già da molti anni previsto che sarebbe diventato Ministro dell’Interno, e guidato tutte le indagini che hanno portato al sequestro del bene dove sorgerà un commissariato di Polizia. Questo significa essere previdenti e onniscienti! “Voglio che gli italiani capiscano che lo Stato è meglio della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta”. Lui vuole, “volli, sempre volli, fortissimamente volli” come il titano Vittorio Alfieri. Ma fate attenzione, lo Stato non è contro le organizzazioni criminali, ma secondo il vangelo di Salvini, “è meglio”, è un’opportunità che si dà. E se gli italiani decidessero che questo Stato non è il meglio? E lui vola come Ulisse e i compagni sulla nave sfidando le colonne d’Ercole. Vola nei sondaggi. Gli italiani (questi italici sono veramente oculati come Re Giorgio) amano i leader che chiudono i porti e le porte, ma aprono i rapporti. Lo avevano fatto anche i tedeschi con i lager. Tra i tanti ordini di Hitler, nel 1942, vi è un dispaccio contro i Slavi, che può essere utile conoscere, sempre per rinfrescare la memoria contro il potere, come ammoniva Kundera: “Gli Slavi sono tenuti a lavorare per noi. Quelli che non ci occorrono possono anche morire. Pertanto la vaccinazione obbligatoria e i servizi sanitari tedeschi sono superflui. L’istruzione è pericolosa. Sarà sufficiente che essi sappiano contare fino a cento. Ogni persona istruita è un nostro futuro nemico. Lasceremo loro la religione come diversivo. Quanto ai viveri non ne avranno più dello stretto necessario. Noi siamo i padroni. Veniamo prima noi.” Parabola insegna. Si saranno ispirati alle idee di Rousseau tutti i cosiddetti sovranisti: “prima noi”, “ogni persona istruita è un nostro futuro nemico”. C’è da meditare e da ricordare. La banalità del male inizia nell’indifferenza e dalla differenza: ebrei, slavi, terroni, adesso migranti. La propaganda è una macchina che è stata messa a punto nei regimi totalitari, ed è ancora perfettamente calibrata e tarata su quei meccanismi. Nei campi si dissemina l’odio, la xenofobia, e quando l’istinto selvatico è stato lasciato proliferare e si fa partorire la parte più oscura e inquietante,quando tutto questo terreno è ben preparato, basta seminare, poi ci penserà l’ipocrisia, il cinismo, la barbarie ad innaffiare il campo con una legge che certificherà che nel mondo esistono le razze come nel 1938. “La conoscenza dell’alfabeto, se non diventa cultura, dà forza all’ignoranza, e la disponibilità di mezzi rende più potente il disonesto, il furbo”. Aiutaci tu Ugo da San Vittore: “L’uomo che trova dolce la sua terra non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un Paese straniero”. Siamo tutti invitati nella sua dimora utopica, ricchi o pezzenti, naviganti o mendicanti, per vivere la xenia, l’ospitalità come ci hanno trasmesso i Greci. Questa gente senza arte né parte credeva che in un qualsiasi ospite, si potesse “nascondere” un dio travestito e che avrebbe “testato” l’ospitalità del padrone di casa. Nel caso fosse stato trattato male, gli dei si sarebbero accaniti contro quella famiglia. Ma il mondo si evolve, è finito quel tempo, non c’è posto per la xenia, siamo entrati nell’era del timore, non quello degli dèi, ma del mondo iperuranio di Platone, della casa che ospita le Idee. Se ci sei, Presidente del Consiglio, dicci chi sei? Sei per caso un Conte o un Terzo o Quarto Stato?