L’impegno di Libera per la memoria delle vittime innocenti

Tantissimi i giovani provenienti da tutta la Calabria hanno sfilato a Vibo Valentia e sfidato quei poteri criminali che stanno condannando il Vibonese, e il territorio regionale, ad essere affetti da una grave patologia. L’impegno di Libera per la memoria dei mille nomi delle vittime innocenti e per liberare le comunità dalle mafie, ha provocato una scossa e una luce che non potrà restare senza riflessi.

Non è proprio ovvio affermare che solo la luce ha la potenza di creare dei riflessi nella molteplicità degli specchi che illuminano gli occhi. In questa sua opera vengono scolpite le immagini e i tanti volti della realtà, in relazione alla capacità che ha il nostro sguardo di cogliere i segni e identificare i disegni. Per analogia anche il pensiero si riflette e riflette gli specchi della realtà che si muove durante la nostra esperienza di vita. La scoperta dei “neuroni specchio” getta una nuova verità su questi processi di apprendimento o di “riconoscimento” che molto spesso avvengono in modo inconsapevole o in forma intuitiva.

L’immagine della luce e quella dello specchio rappresentano una sorta di mediazione per cogliere i “riflessi” della manifestazione che si è svolta il 21 marzo nella città di Vibo Valentia e nelle 4 mila piazze di tutta Italia, per ricordare le mille vittime innocenti delle mafie. Il capoluogo del Vibonese è stato scelto come principale località della Calabria per le tante emergenze di cui soffre, a partire dalla presenza della criminalità e dal degrado sociale e civile. La grande partecipazione è stato il risultato dello “straordinario impegno e lavoro dei giovani di Libera”, come ha sottolineato il referente regionale di Libera don Ennio Stamile, nel suo intervento dal palco in piazza Municipio. Questi giovani hanno mobilitato le scuole, la società civile e le istituzioni con passione e grande impegno.

La luce dell’evento deve farci “riflettere”. Se si ha a cuore le sorti di un territorio malato come quello del Vibonese e della Calabria, è necessario fare una anamnesi per poi formulare una diagnosi e tentare una cura. Il farmaco può essere una medicina, ma anche un veleno. Forse questo territorio ormai è assuefatto al micidiale veleno che è stato spacciato per medicina, in tutti questi decenni. Come Mitridate VI, re del Ponto, il Vibonese si è assuefatto al veleno essendo stato “mitridatizzato” per paura di essere avvelenato.Potremmo fare un elenco dei veleni: criminalità, corruzione, connivenza e complicità,indifferenza e paura o mancanza di coraggio di vivere nell’onestà della luce. Tutto questo si è tradotto in una classe “dirigente” e “politico-istituzionale”affetta da una grave patologia: l’irresponsabilità e l’incapacità culturale di leggere i segni con il quale tutto questo veleno è stato disseminato.Così la società si è assuefatta ed è diventata carnefice di se stessa, perché quel veleno gli ha bruciato l’anima, e il corpo è anestetizzato, paralizzato.

“La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile” aveva avvertito Corrado Alvaro negli ultimi anni della sua vita. Contro questa disperazione la manifestazione del 21 ha tentato di scuotere le coscienze. Lo hanno fatto i tantissimi giovani provenienti da tutta la Calabria, che hanno sfilato e sfidato le mafie gridando il loro sdegno. Lo hanno fatto i tanti familiari che hanno vissuto il dolore di vedersi portare via il proprio caro. Un urlo corale che si è alzato anche nella primavera di Locri, località scelta per la manifestazione nazionale di Libera del 2017. A ribellarsi anche quella società civile calabrese che si è assunta la responsabilità di non restare in silenzio, di non assuefarsi alla criminalità, comprendendo che il movimento creato da don Luigi Ciotti e dalle tante associazioni  che aderiscono a Libera è l’unico che dal 1995 stia cercando di unire le forze per non restare “tra la perduta gente”e oltrepassare quella porta dove ancora si leggono quelle parole di “colore oscuro”: “lasciate ogni speranza o voi che entrate!”. Nessuno può ritenersi immune. Tutti siamo responsabili se accade che delle creature innocenti vengano trucidate e le famiglie si consumano nella loro disperazione.

La chiave per uscire da questa “male-dizione”sono alcune parole “bene-dette”: come responsabilità, solidarietà, consapevolezza, impegno, memoria. Sono termini che hanno dentro il loro DNA l’etica e l’estetica, il bene e la bellezza, il singolare e il plurale. La memoria e l’impegno, sono stati scelti come fondamentale azione per mantenere vivo il ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ma anche per camminare al fianco dei loro familiari. Così, quelle vite spezzate ritornano a rifiorire. È ancora forte l’eco dell’esortazione di Matteo Luzza (familiare di vittima innocente e referente di Libera Memoria in Calabria) di fronte alla marea di bandiere di Libera sventolate dai tantissimi accorsi in piazza (oltre diecimila) per ascoltare i mille nomi delle vittime innocenti: “Un giornata importante, il giorno della vita – ha esordito Luzza – così lo hanno voluto questo 21 marzo i familiari delle vittime innocenti delle mafie, così lo hanno pensato, così lo hanno costruito. Questo è il giorno della vita. Oggi qui a Vibo, quei nomi, i tanti nomi che abbiamo letto, quelle storie, hanno camminato con noi, sono vivi, sono vivi qua con noi. Ci chiedono di continuare ad essere raccontati da vivi. E’ questo il senso di questa giornata, il senso che i familiari hanno voluto dare a questo primo giorno di primavera, una memoria che sia viva, la memoria dei vivi non dei morti. Qua non stiamo celebrando un funerale: questi nomi queste persone vivono. Solo così faremo una memoria vera, solo così genereremo altra vita, contro i signori della morte, contro coloro che con i lori proiettili, pensavano di averli uccisi. Non li avete uccisi, non ci siete riusciti, ma continuano a vivere qua con noi!Non riuscirete mai a tappare la nostra bocca. Continuerà a dare vita, a dare speranza in questa terra, in questa città, in questo  nostro territorio, contro chi voleva far saltare la caserma dei carabinieri a pochi chilometri da questa città. Grazie colonnello, grazie a tutta l’arma dei Carabinieri per essere qua. L’anno scorso ci avete accolto a Locri. Sui muri è stato scritto “Don Ciotti sbirro”. E ancora una volta gridiamo “Siamo tutti sbirri”, siamo ancora sempre di più sbirri accanto ai carabinieri, accanto ai poliziotti, acanto a coloro che in questi mesi ci hanno dato la forza per raccontare questo messaggio di speranza. La Calabria da vivere è questa che si trova qui, in questa piazza, non è in quel verme vigliacco che si è inchinato a baciare la mano del latitante: quello è solo un vigliacco, un verme, che non merita questa terra (si tratta del bacio della mano del vicino di casa del super latitante di San Luca, Giuseppe Giorgi, catturato dopo 23 anni, a giugno dello scorso anno, N.d.R). La Calabria non è di quelli che vivono sotto i bunker, sotto terra come i topi. La Calabria è questa: di tutti quelli che hanno camminato alla luce del sole, che ci hanno messo la faccia, come noi. Sventoliamo queste nostre bandiere della vita e della dignità contro questi signori della morte, dei vigliacchi che hanno provocato tanto dolore. La Calabria migliore è questa che è seduta qua, i familiari delle vittime innocenti, e tutti voi che siete in questa piazza.

Il bene e il bello si mostrano, il male si nasconde, agisce nell’oscurità, con viltà, negando la civiltà. Il male nega la realtà altrui, come ha spiegato la filosofa francese Simone Weil, mentre il bene riconosce l’identità altrui. Le mafie si nascondono ovunque, nelle oscure e occulte stanze dove si incontrano le “anime nere”per programmare crimini, nei tanti palazzi delle istituzioni democratiche infestati da “topi” e poteri spregiudicati che divorano i sacri principi sanciti nella Costituzione e le tante Carte dei diritti redatte dopo i fiumi di sangue e con il sacrificio di tanti uomini coraggiosi. Il male si insinua nel potere familistico, plutocratico, cieco, cinico e disumano. Ciò accade in Italia e nel mondo, nelle tante guerre che si stanno combattendo, nel continuo massacro di una moltitudine di innocenti, nelle impressionanti disuguaglianze, nelle povertà prodotte dal sistema liberal del Pil, che ha eletto come valore supremo il profitto, il dio denaro, che sta distruggendo le risorse ambientali, i beni collettivi, soltanto per garantire gli interessi putridi delle lobby e dei clan. A testimoniarlo i tanti rapporti e le tante statistiche che mostrano l’avanzata dei nuovi regimi totalitari e poteri autoritari che stanno costruendo nuovi lager, spingendo tanta umanità a lasciare la propria terra. Ecco come cresce il Pil, con l’inquinamento e le industrie belliche che stanno facendo profitti stratosferici. Protagonista anche l’Italia, che secondo l’ex ministro della difesa Roberta Pinotti – vale a dire una donna e madre, sostenuta da tutto il governo Gentiloni e dalla “responsabilità” degli autorevoli rappresentanti istituzionali della Repubblica italiana – è legale esportare le bombe costruite in Sardegna in Arabia Saudita, come denunciato dal New York Times, bombe che poi vanno a distruggere la vita di inermi in Yemen. Lo testimonia anche il delitto di una donna dell’Honduras, che si era battuta per difendere l’acqua della sua terra, Berta Càceres, uccisa il 2 marzo del 2016, solo perché ha denunciato gli spietati interessi di alcune imprese che volevano privare il suo popolo del bene più prezioso, l’acqua. Questa donna che apparteneva ad una antica etnia precolombiana, i Lenca, nel giorno in cui aveva ricevuto il premio Goldmann 2015, il Nobel per l’ambiente assegnato nel mondo a chi si batte in difesa dei beni comuni, aveva esortato al risveglio l’umanità:

“Nella nostra visione del mondo noi Lenca veniamo dalla terra, dall’acqua e dal mais. Siamo da sempre custodi dei nostri fiumi e del nostro territorio. Il Copinh camminando insieme al popolo per la sua emancipazione, ribadisce l’impegno a difendere l’acqua, i fiumi e la natura. Svegliamoci, svegliamoci umanità, non c’è più tempo! Le coscienze ci rimorderanno se resteremo inerti a contemplare l’autodistruzione, la depredazione in atto, capitalista, razzista, e patriarcale. La Madre Terra, militarizzata, assediata, avvelenata, vede la violazione sistematica dei diritti fondamentali delle persone che la abitano. Costruiamo società in grado di convivere secondo giustizia, dignità e rispetto per la vita. Uniamoci e continuiamo a difendere e a custodire con fiducia il sangue e l’anima della terra”.

È necessario comprendere il disegno, altrimenti tutto sarà inutile e i tanti criminali continueranno a proliferare e il loro tumore diventerà una metastasi inarrestabile, a partire dai nostri corpi, che non sapranno più produrre difese immunitarie capaci di contrastare le cellule killer; e anche quelle buone, prostrate, estenuate, invece di ribellarsi al male, si alleeranno con il nemico.  Ormai non possiamo sottrarci. Dobbiamo svegliarci, come ha esortato Berta Càceres. Questa lotta e impegno implicano cura, attenzione e condivisione. E dobbiamo iniziare dalle parole che pronunciamo o che ascoltiamo, spesso con troppa superficialità, come ha spiegato un uomo dei nostri tempi molto remoti, Confucio:

“Domandarono a Confucio: – Dove cominceresti se dovessi governare il popolo? – Migliorerei l’uso del linguaggio, – rispose il maestro. Gli ascoltatori rimasero sorpresi: – Ma non c’entra con la nostra domanda – dissero– Che significa migliorare l’uso del linguaggio? – E Confucio rispose: – Se il linguaggio non è preciso, ciò che si dice non è ciò che si pensa; e se ciò che si dice non è ciò che si pensa, le opere rimangono irrealizzate; ma se non si realizzano le opere, non progredirà né la morale né l’arte; e se l’arte e la morale non progrediscono, la giustizia non sarà giusta; se la giustizia non sarà giusta, la nazione non conoscerà il fondamento su cui si fonda e il fine a cui tende. Non si tolleri perciò nessuno arbitrio nelle parole. Ecco il problema primo e fondamentale”.

Il messaggio “Terra, solchi di verità e giustizia” che ha contrassegnato la giornata nazionale del 21 marzo della memoria e dell’impegno per ricordare le vittime innocenti delle mafie, si porta dentro questo peso e anelito: restituire verità alle parole affinché scavino solchi di giustizia, come hanno fatto le parole di don Luigi Ciotti a Foggia, dove si è svolta la manifestazione nazionale di Libera. Ritorna forte, potente, quell’antico significato concentrato nella parola greca parrhesia: dire la verità e assumersi la responsabilità delle proprie parole e pagare di persona per amore delle leggi giusti, per denunciare l’ingiustizia, come avevano fatto i 31 ragazzi difesi da don Lorenzo Milani nella “Lettera ai giudici” del 1965, condannati per aver scelto l’obiezione di coscienza. “Lettera ai giudici” è una memoria difensiva ma anche “vangelo laico” che ogni cittadino del mondo dovrebbe meditare, per elevare la coscienza a valore supremo, perché “l’obbedienza non è più una virtù”, come la ribelle Antigone (Sofocle). Questa è la responsabilità che ognuno di noi deve assumersi: dare potere al primato della coscienza per restituire dignità, libertà, umanità e humus alla propria storia hic et nunc, in questo tempo e in questo luogo, che sia piccolo, sconosciuto, o al centro dell’onda mediatica o nel silenzio della propria anima. Dobbiamo lottare per non lasciarsi trascinare nell’arida superficialità dei social, grazie ai perfidie seducenti inganni che sono insiti nella loro velocità e invisibilità, capaci di insinuarsi tra le fragilità e le vanità dell’essere umano, che ama compiacere o compiacersi, senza intuirne gli effetti. Come le acque impetuose erodono la fertilità del pensiero, per sfuggire a questa micidiale “rete”, è necessario fermarsi e lasciar depositare la turbolenza della acque e dell’aria, far decantare le nostre parole e camminare con lentezza, guardarsi intorno, osservare, come hanno fatto i tantissimi giovani nel lungo corteo che si è dispiegato per le vie di Vibo e delle altre città sparse per il Paese. È importante“riconoscere” i volti, osservare le espressioni, avere cura dei solchi affinché i semi delle parole possano germinare, per diventare buona messe che nutre la sanità del corpo e dello spirito.

Il 21 marzo prefigura il risveglio delle coscienze, per riscrivere nuove pagine in un territorio considerato tra i più degradati della Calabria, il Vibonese, in cui bande di criminali, in stretta alleanza con le diverse consorterie nascoste come le talpe dentro e fuori le istituzioni, hanno imposto i loro sporchi affari con il ricatto e con la violenza, e hanno inquinato le acque, la terra e le coscienze. Contro questo potere criminale si è levata la voce “libera”di Maria Joel Conocchiella (giovane militante della segreteria regionale di Libera) durante la sua appassionata presentazione dal palco, che si è tradotta in un accorato appello:

“Facciamoci sentire da chi ci vuole silenti, da chi ci vuole succubi, da chi vuole il silenzio in questa provincia in questa regione. C’è una Calabria bella, una Calabria fatta di dignità, di gente onesta che alza la testa e si ribella. Una Calabria che vuole riscrivere il futuro di questa terra e guardate quanti siamo, quanto è bello. E’ questo che dobbiamo testimoniare. Oggi c’è una primavera, una primavera che parte da Vibo, che parte dai vostri visi, dai vostri volti, dalle vostre emozioni e che si allarga a tutta la Calabria e che si unisce ai quattro mila piazze, quattro mila luoghi che sono in contatto don Luigi e sentiremo tutti che c’è una Calabria, un Italia che balla con una musica che va controcorrente.

Ritorna ancora prepotente il concetto della kalokagathìa di Platone, (il kalòskagathòs), la concezione greca del bene connessa all’azione dell’uomo: ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello. Camminare sulle spalle dei Giganti del passato, affinché si possa proiettare lontano il nostro sguardo, per parafrasare le parole di Bernardo di Chartres (filosofo francese del XII sec.). La memoria, in fondo, non è altro che un ritorno dentro le luminose dimore dei nostri Padri, quando l’oscurità minaccia il cammino dei sentimenti umani. Non c’è altra scelta: dare luce alle parole “belle” e “buone”e identificare gli oscuri labirinti dove si nascondono i poteri occulti. Lo ha anche prefigurato Antonio Nicaso nel suo libro “Mafia” citando Norberto Bobbio: “L’Italia è il Paese dove il potere invisibile è quello più visibile”. Infatti, spiega Nicaso, “La mafia è uno di quei poteri che pochi hanno voluto vedere. Tanti, invece, hanno contribuito a plasmarlo, con i loro silenzi, ma soprattutto con le loro complicità” (pag. 11). Quindi è fondamentale leggere i segni e i disegni, identificarli con l’astuzia di Ulisse per non lasciarsi irretire dalle sirene. Questo lo può fare solo la cultura, non come semplice conoscenza dell’alfabeto, ma come “riconoscenza”, attraverso la mediazione e l’intuizione,che traducono la sacralità dell’uomo e della terra. I semi, per poter germinare, hanno bisogno di essere seminati nei solchi, e ci deve essere un contadino che si prenda cura del campo. Questo ci fa capire che la vera cultura non si produce con un clic, ma ha bisogno di onesto lavoro, di laboriosa pazienza,di elaborata esperienza, di quel sacrificio che diventa sacralità e soprattutto, delle mani callose dei contadini. La Cultura vera si genera in una zolla di terra: se abbiamo cura e amore, se piantiamo l’humus della verità e della giustizia, fiorirà la coscienza della bellezza del suo fiore. La Cultura è il legame che si crea tra la terra e il cielo; ma senza questo legame l’alfabeto smette di illuminare la vita. Tutte le nostre lauree, i nostri libri letti e riletti, con tutte le nostre citazioni e re-citazioni, se non rispettano la zolla e quell’humus che fa fiorire la verità e la giustizia, avranno l’effetto del fumo negli occhi, cioè “vanitas vanitatum et omnia vanitas”; e se non riconosciamo l’altissimo valore della cultura come “georgica dell’anima” (Francesco Bacone), tutta la nostra scienza e conoscenza saranno solo al servizio dell’ingiustizia. Lo aveva profetizzato un “poeta dei nostri tempi” vissuto qualche millennio fa (VIII secolo A.C.), un certo Esiodo nei suoi Erga, “Le opere e i giorni” (un inno al lavoro onesto dei contadini, contro ogni forma di inganno e di ingiustizia), ammonendo il proprio fratello Perse: “O Perse, ascolta la giustizia e non alimentare la Prepotenza: la prepotenza è dannosa all’uomo debole; nemmeno il grande facilmente la può sopportare, anzi egli stesso rimane oppresso e va incontro a sventure. Migliore è l’altra strada, verso la giustizia: la giustizia al termine del suo corso vince la prepotenza, e solo soffrendo lo stolto impara. Immediatamente insieme con le tortuose sentenze corre Orcus e si leva l’alta protesta della giustizia, trascinata dove uomini divoratori di doni la conducono e giudicano le cause con ambigue sentenze. Essa li segue piangendo per le città e per le dimore dei popoli, vestita di brume e portando male agli uomini che la scacciano e male la esercitano” (vv. 213-224).