A Pizzo si torna a sentire la musa del teatro

È stata inaugurata dall’attore Enzo D’Arco, a cui il pubblico ha tributato tantissimi applausi, la rassegna teatrale “Le Follie 2.0” che da febbraio a maggio richiamerà a Pizzo sul palcoscenico del nuovo auditorium comunale in località Sant’Antonio, diverse compagnie provenienti da varie parti d’Italia. Nella ricorrenza dei 40 anni dalla sua prima rappresentazione, la Compagnia Teatrale Pizzitana, insieme alla Uilt Calabria (Unione Italiana Libero Teatro,) ha organizzato un’importante cartellone, con nove spettacoli. Sarà proprio la compagnia napitina a chiudere la rassegna con una commedia inedita.

Pizzo Chiarelli e Capolupo

“La magia che sa dare solo il teatro è il silenzio condiviso tra attore e pubblico”. Ed è stata una vera magia il monologo“’Na storia antica”scritto e interpretato dall’attore e regista Enzo D’Arco della compagnia “La Cantina Delle Arti”di Sala Consilina. L’attore ha inaugurato sabato 3 febbraio, la rassegna teatrale “Le Follie 2.0” nella sala del nuovo auditoriumin località Sant’Antonio, messo a disposizione dall’Amministrazione comunale dove ha sede la Compagnia Teatrale Pizzitana e il Gruppo Strumentale Orchestra di Fiati. La rassegna segna e disegna la rinascita del teatro a Pizzo; e non solo: perché si tratta di storie di uomini che non si vogliono “rassegnare” al declino della cultura con l’imperare di strumenti mediatici che allontanano gli occhi, la mente e il corpo dalla vita reale e dal contatto vivo con le parole e con chi le pronuncia. Il teatro invece è il luogo dove si incontrano le sembianze fisiche ed emotive dei visi e dei volti per vivere realmente e non virtualmente, un’esperienza comunicativa collettiva.

Pizzo Enzo D'Arco

Non è la prima volta che la Compagnia teatrale Pizzitana organizza una rassegna, ma questa ha un valore speciale. Sia perché è stata organizzata in collaborazione con la “UILT Calabria”, ma soprattutto perché la Compagnia Teatrale Pizzitana festeggia 40 anni di vita sui tanti palcoscenici girando l’Italia in lungo e in largo. Un traguardo che assume un particolare valore per Franco Chiarelli, che oltre ad essere presidente è anche memoria storica della compagnia, e per Silvano Murmura, attore e regista che dopo la prematura scomparsa dell’indimenticabile Pino Schiavone, si è assunto anche il ruolo di capocomico. Era il febbraio del 1978, quando per la prima volta esordivano sul palcoscenico del cineteatro Mele con la commedia “Mastr’Antonino”. Sono passati quattro decenni da quell’uscita, ma la compagnia teatrale è rimasta sempre giovane nella passione, nell’entusiasmo e nel guardare al futuro, come ha sottolineato la giovane attrice Maura Chiarelli nel presentare la rassegna e nello spiegare le ragioni del titolo della rassegna, in quel 2.0, con l’intento di volgere  “lo sguardo verso il futuro, sperando che la nostra attività sia sempre prodiga di cultura e che possa attrarre grandi e piccoli”.

Pizzo D'Arco

Sul palcoscenico dell’auditorium si esibiranno compagnie che provengono da diverse regioni, come ha ribadito il presidente della UILT Calabria (Unione Italiana Libero Teatro, associazione di teatro amatoriale alla quale la Compagnia pizzitana è affiliata), Gino Capolupo sottolineando, nel suo intervento illustrando la rassegna, che bisogna rinnovare l’amore per il teatro, e la Uilt sta operando in questa sfida, per far sì che l’esperienza dei teatri a Pizzo, come anche in altre località della Calabria, “non appartenga solo al passato”.

Diverse le compagnie che come ha ribadito il presidente della UILT Calabria (Unione Italiana Libero Teatro, associazione di teatro amatoriale alla quale la Compagnia pizzitana è affiliata), Gino Capolupo nel suo intervento: “Un’esperienza, quella dei teatri a Pizzo, come anche in altre località della Calabria, che appartiene però al passato”. Capolupo ha inoltre messo in luce l’impegno della Uilt per far aprire dei teatri in Calabria, e  illustrando la rassegna, ha messo in luce la qualità degli spettacoli caratterizzati, non solo da compagnie amatoriali, ma anche da attori professionisti.

Nove gli spettacoli in cartellone da febbraio a maggio con diverse compagnie protagoniste anche in altri teatri calabresi. I prossimi appuntamenti saranno: “Uomo e galantuomo”(di Eduardo De Filippo), sarà il 17 febbraio con il Teatro dei Dioscuri di Campagna (Sa) e regia di Antonio Caponigro; il 24 febbraio, “Ppe’ curpaducapotrenu”, testo e regia di Gino Capolupo con la Compagnia i Commedianti di Vibo Valentia; il 17 marzo “Tangoblio”, Compagnia di Teatro e Danza il Gelsomino di Roccella Jonica (con Francesco Bonomo e Natalia Rocco e la messa in scena di Sofia Lavinia Amisich); il 24 marzo “La villa degli olmi”, regia di Angela Bentivoglio, Compagnia Nati per caso di Vibo Valentia; il 7 aprile “Madame Catrin”, Compagnia Ettore Petrolini di Barcellona Pozzo di Gotto, testo e regia di Francesco Chianese; 14 aprile “A gentile richiesta” con Pierluigi Tortora ed Emilio Di Donato, Bottega del Teatro di Caserta; il 24 aprile “Un’improbabile storia d’amore”, con Dandy Danno e DivaG ,Theatre De Cart di Vicenza. La rassegna verrà chiusa in bellezza il 5 maggio dalla Compagnia Teatrale Pizzitana, con l’inedito testo “Il Clarinetto … a pedale”, testo e regia di Silvano Murmura.

Non poteva avere esordio migliore questa “nuova follia” che nasce a Pizzo. “‘Na storia antica” è un’allegoria del potere che illumina il presente. L’attore ha fatto vedere come, la sua maestria mimico-espressiva, man mano si è trasformata in messaggio culturale e politico: all’arte recitativa anche la coscienza critica sulla realtà attraverso lo sguardo profondo del passato, come quello di Giambattista Basile (1566 – 1632), scrittore partenopeo del ‘600, autore de “Lo cunto de li cunti” con la fiaba “Lo polece” (La pulce) che ha ispirato Enzo D’Arco nella scrittura del testo di “’Na storia antica”.

Il pubblico ha contrassegnato con tanti applausi la “nuova favola” raccontata e interpretata da Enzo D’Arco. Le sue riflessioni finali sul rapporto tra recitazione e silenzio, come speciale esperienza che sa offrire solo il teatro, hanno innescato una sorta di cortocircuito con le parole iniziali pronunciate da Franco Chiarelli. Infatti, nel presentare lo spettacolo insieme alla figlia Maura Chiarelli ha voluto esprimere la sua esperienza di attore dilettante e il valore “catartico” della recitazione per la sua crescita umana e culturale: “Per chi, come me, ha recitato, la recita è la sensazione più bella che si possa provare; impossibile da spiegarsi a parole, sempre presente, in ogni momento della vita. Per recitare devi poter riuscire ad esprimere ciò che senti tu stesso quando reciti. Nei momenti peggiori, bastava riunirsi e, dopo un paio d’ore di prove, ogni cosa appariva risolvibile, affrontabile. La recita – ha sottolineato Chiarelli – è come una medicina adatta a guarire quei mali che principalmente intaccano i sentimenti più intimi. Ed ecco che, attraverso la recita, quella profonda sensazione che ogni attore prova può essere trasmessa. Ogni stato d’animo ha le sue espressioni: l’innamorato si esprime in modo dolce e romantico; l’arrabbiato con cattiveria; il deluso in maniera mortificata; il deriso con scherno; il suonatore con la musica; il cantante con la canzone; l’attore con la recita”.

Maura Chiarelli, nell’introdurre lo spettacolo, si è soffermata sul titolo della rassegna “Le follie 2.0!”: “Abbiamo voluto omaggiare il teatro delle Follie, che aveva come primo nome “Teatro S. Carlino”, ma successivamente i pizzitani lo hanno rinominato come “Teatro delle Follie”. Maura ha ricordato che di quel teatro non rimane che un’unica stampa, e l’immagine è stata utilizzata come sfondo in tutti i manifesti e le locandine della rassegna, ringraziando per le informazioni storiche Orlando Accetta e Vincenzo Tunno, memorie storiche del paese”. Il teatro “Le follie”era una struttura in legno costruito verso la fine del 1800 in uno spiazzo di terreno appartenente al Comune. Nel 1905, a seguito del terremoto fu adibito a dormitorio per gli sfollati. Per il freddo alcuni di loro hanno acceso il fuoco che si propagò all’intera struttura, mandando in fumo il teatro. E così la città di Pizzo rimase senza teatro per lungo tempo, anche se, come ha ribadito in diverse occasione Franco Chiarelli, “Pizzo era un teatro vivente”,“una piccola Napoli”. Dopo l’incendio del teatro delle follie, negli anni ‘30 sorse il Cinema Moderno che accolse diverse compagnie teatrali famose a livello nazionale ed internazionale. In seguito, nell’estate del 1953, fu inaugurato il “Cinema Arena Mar Diana”, che nel 1960 fu trasformato in Cinema Teatro Mele, dotato di palcoscenico e di circa 500 posti a sedere suddivisi tra platea e galleria, che operò fino agli anni ’80. La Chiarelli inoltre ha auspicato che il titolo della rassegna “sia anche di buon auspicio per il nuovo luogo dove fare teatro.”

Con questa rassegna Pizzo torna a sentire il teatro d’autore. Il monologo recitato da Enzo D’Arco diventa uno sguardo per riflettere sulla nostra realtà. Con il peculiare linguaggio teatrale l’attore capta, come un rabdomante, i segni nascosti che scorrono negli strati profondi della vita sociale ed esistenziale degli individui. Attraverso l’antico genere della favola, ha gettato una luce sull’intreccio tra potere e comunicazione. Sono cambiate solo le forme: rispetto al passato i nuovi poteri si sono camuffati, sono diventati invisibili, ma la sostanza è rimasta identica, perché succhia il sangue come l’apologo “Lo polece” di Gianbattista Basile. Una fiaba-favola scritta per i più piccoli – (overo lo trattenemiento de peccerille) come recita il sottotitolo ne Lo cunto de li cunti (La fiaba delle fiabe, o l’intrattenimento per i più piccoli) – ma carica di allegoria che racconta la realtà che stiamo vivendo, sulle nuove forme di potere diventato pervasivo e che ora si nasconde nelle tante maschere della rete dei politici e dei social media. D’Arco ha fuso i diversi generi: la letteratura e la recitazione che si rivolge a grandi e piccoli. È questa la sua “ri-creazione” attraverso un linguaggio favolistico, ma recuperando la tradizione della “commedia dell’arte” che ha caratterizzato in particolare il teatro partenopeo, alla cui fonte hanno attinto registi e attori come Totò, Eduardo e Peppino De Filippo.

Nella sua acuta riflessione finale, l’attore, come in una sorta di coda morale – che dovrebbe connotare ogni rappresentazione, per annodare più in profondità il legame pubblico/attore –D’Arco si è intrattenuto sul valore del teatro e sul rapporto tra arte, cultura, comunità e potere, in sintonia con il “tessuto” del suo monologo. L’attore ha rimesso al centro di ogni esperienza umana e artistica, la capacità che ha il linguaggio teatrale di creare una risonanza profonda con il linguaggio emotivo degli spettatori che guardano e che ascoltano, richiamando l’origine stessa del teatro, che pone l’accento sullo sguardo, non sul semplice vedere, attivando le corde dei sentimenti, delle esperienze, e quindi, sulla possibilità di riflettere su se stessi e sul mondo, di sapersi guardare allo specchio, con una serie di riflessi e di riflessioni. Quando è vero teatro, questa speciale magia e potenza fin dall’antichità (dai tempi di Pericle ad Atene, quando nasce il grande teatro tragico e comico, che aveva una funzione non solo culturale, ma anche religiosa e sociale), come ha affermato in una illuminante intuizione D’Arco, si fa “recitare” il silenzio.

La sua importanza assume particolare valore in un contesto storico, come quello attuale, dove imperano i rumori assordanti dei “non luoghi”teorizzati dall’antropologo Marc Augè, come i social media che anestetizzano qualsiasi emozione e sentimento. Questa vocazione del teatro – luogo della recitazione e della con-divisione anche del silenzio – si oppone ai “non luoghi” della di-visione e della confusione e ci riporta alla nascita del linguaggio primitivo, che si perde nelle origini del nostro antenato Homo nei suoi diversi stadi evolutivi, quandolo scoccare della scintilla primordiale ha generato dal silenzio la parola, il logos, il verbo o il grido. Ce lo rammenta per analogia, in una sua suggestiva ricostruzione, il filosofo Emanuele Severino ne“Il parricidio mancato”: “Il grido. Sta all’inizio della vita dell’uomo sulla terra. Il grido di caccia, d’amore, di guerra, di terrore, di gioia, di dolore, di morte. Ma anche gli animali gridano, e per l’uomo primitivo grida anche il vento e la terra, la nube e il mare, l’albero, la pietra, il fiume. Ma solo l’uomo si raccoglie attorno al proprio grido, in assenza degli eventi che l’hanno provocato. Al grido sono legati gli aspetti decisivi dell’esistenza e nella rievocazione del grido le più antiche comunità umane non solo scorgono le trame che le formano, ma annodano stabilmente i fili della trama, cioè stabiliscono e confermano nel loro essere comunità umane. L’intera vita dei popoli più antichi si raccoglie attorno alla rievocazione del grido, cioè attorno al canto. E il canto avvolge i viventi ben più strettamente del calore dei fuochi attorno a cui essi stanno.” Questo primitivo grido può essere tradotto con il primitivo “silenzio” concepito nella “re-citazione” di ‘Na storia antica che Enzo D’Arco ha partorito trasformando il gesto, l’espressione mimica, in parola, in allegoria, in apologo, lasciando infine, come magica dimensione, il silenzio.

Pizzo Catellone rassegna