Totò Riina. Un nuovo mito è stato creato nel pantheon dell’Olimpo

Un nuovo mito è stato creato dalla perduta gente italica. Così si profila una incredibile teogonica lotta per il supremo potere dei cieli e della terra: la “riinomachia”. Il capo di tutti gli Dei, Zeus Olimpio, è trepidante da quando ha appreso che i tentacoli della piovra, mossi dall’onnipotente capo dei capi, carpiranno anche il suo divino scettro.

Zeus Olimpio trepida e trema. Immagina che il capo dei capi sia in attesa di attentare al primo, secondo, terzo, quarto potere e quinto potere con i suoi mostruosi tentacoli, così come ha tentato di fare il mostruoso Tifone. Il figlio di Cronori pensa alla terrificante lotta di cui è stato protagonista per assicurare il suo potere assoluto in cielo e in terra; in particolare con Tifeo, il figlio di Gea e Tartaro, che dopo aver terrorizzato l’Olimpo, alla fine è stato confinato nel ventre dell’Etna. Ma quelli erano altri tempi. Solerte, il radunatore di nembi e di tuoni, ha messo in allerta tutta la sua cupola celeste, mentre i mortali con cori e peana glorificavano il nuovo titano. Nessun umano sulla terra è all’oscuro delle prodigiose imprese deltitano-gigante Riina, il capo dei capi. Anche chi, in qualche luogo sperduto, se lo deve ficcare nelle sue sorde e sordide orecchie: Riina è il capo dei capi e resterà capo dei capi. Tutti devono sapere chi è il capo dei capi e se c’è qualcuno che non lo capisce che il capo de capi è Riina, la litania sarà ripetuta fino allo sfinimento. Il coro si libra in ogni sua fibra e fa vibrare il vibrante stornello: “Capo dei capi tu sei l’onnipotente a cui prostriamo i capelli e i cappelli di tutti i fratelli e facciamo cantare anche i grilli, gli augelli sparsi per l’etere e per i castelli come certi somarelli”.

Il signore degli dei immagina ancora che il titanico gigante starà escogitando di salire le scale con il suo onagro alato,alla conquista del trono supremo, dopo aver pietrificato, come Medusa, gli occhi magnetizzati dei terrestri! “Il capo dei capi, con i suoi super poteri, impartiva ordini anche dal 41 bis. Egli sì che ha compiuto ogni beneficio per l’umana progenie! E così i mortali lo hanno idolatrato”. E Zeus Olimpio, con l’alato Pegaso,  vola sul Parnaso, per indire il sacro concilio delle Muse. E le figlie di Mnemosine chiedono udienza al padre Apollo, e questi convoca Hermes, il messaggero degli dei, per avviare una trattativa segreta, ed evitare che anche i siti del Parnaso possano essere ridotti in macerie, così come è successo tra le stirpi della città eterna e di quella del sacro giglio. Il padre Dante lo aveva già prefigurato il tempo infausto, e ha composto per questo sventurato figlio le parole di colore oscuro scolpite sula porta infernale: “Per me si va ne la città dolente,/ per me si va ne l’etterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente./ Giustizia mosse il mio alto fattore:/ fecemi la divina podestate,/ la somma sapienza e ’l primo amore./ Dinanzi a me non fuor cose create/ se non etterne, e io etterno duro./ Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.

Trema il trono ove è assiso il Supremo Zeus Xenios. Trema la sua sella, trema l’Olimpo e ogni stella. Zeus egioco si adira. Dopo aver dominato su tutta la Trinacria con la sua piovra, aver reso impotenti tribunali e ari, prostrati e prostituiti di fronte ai potenti tentacoli, il capo dei capi adesso fa tremare anche la volta celeste del figlio di Crono. E l’Olimpio, per affrontare questa tremenda “riinomachia”, brandisce la folgore. La minaccia è ancora più potente, perché l’attacco parte da un gigante reso immortale attraverso il sangue demoniaco che si è insinuato nel ventre della Res Pubblica stuprata. In questo mistico travaglio, il capo dei capi, avendo appreso che l’eroe Teseo ha concupito Arianna dando alla luce tanti picciotti minotauri, e che anche loro hanno proliferato nelle stanze oscure del labirinto le virtù metamorfiche del gran maestro Lucio Apuleio, ispiratosi all’asino d’oro, ha vissuto la favolosa istoria di Amore e Psiche. Ma il fuoco è sfuggito dalle mani del preveggente Prometeo, per questo conficcato alla rupe dal claudicante fabbro Efesto, che abita la fucina etnea per forgiare le armi degli dei e le catene per i ribelli.

Ma mai e poi mai il dio egioco avrebbe potuto immaginare che i mortali arrivassero ad una tale delirante idiozia in quella deliziosa terra dove in tempi non lontani aveva profetato il suo astuto verbo Odisseo alla ricerca di virtute e canoscenza con il suo folle volo, mentre il ramingo Enea aveva dato origine alla gens Giulia. “Che disastro ha combinato – pensò Zeus Soter – questa perduta gente! Un nuovo mito sono riusciti a forgiare con il fuoco dell’incauto Prometeo! A tal punto di deficienza può giungere la stirpe umana che abita quei ameni paesaggi baciati da Elios e accarezzati da Demetra, disseminati di ulivi che la casta Partenope aveva donato agli umani con inesauribile amore. Un criminale reso immortale! Ma come è possibile. Tutto questo onore nessun mortale lo ha mai ricevuto. Sarà veramente onnipotente allora. Cose dell’altro mondo!”.

Così rifletteva l’Olimpio, e guardava la sua folgore. Desiderava scagliarla in quella terra abitata da una simile genia degenerata, corrotta e irrimediabilmente affetta da una inguaribile idiozia. Non poteva credere ai suoi occhi. “Un diluvio, un diluvio per ripulire tutta questa immonda immondizia!”. Intanto trepidava ed inveiva con la sua indignata collera. E chiamava in adunata gli dei. “Arriva Riina, il capo dei capi, sta entrando nella nostra stirpe. Si son rotte per Chaos le leggi eterne? ”Poi ordinò il Sommo: “A te Dike, a te Temi, affido questa missione: andate sulla terra italica dove giustizia, verità e senno sono ormai estinti,e plasmate un nuovo codice prima che sull’Olimpo arrivi il capo dei capi a imporre il suo corpus iuris mafiosus.  E aggiunse: “Sia la luce!”. E la luce fu. E vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina.

Appena desto, esclamò: “Che incubo ho vissuto stanotte. Ho sognato che il capo dei capi aveva costruito una cupola anche sull’Olimpo e copulava con Hera, con Athena, con Demetra, con Artemide, con Mnemosyne e le immacolate Muse. Allora comprese che era soltanto un brutto sogno. Il capo dei capi non era mai esistito, apparteneva soltanto al mondo delle favole, senza alcuna coda né mortale né immortale. Tirò un sospiro di sollievo. Poi si affacciò tra le dimore dei mortali e vide sugli schermi, sui giornali, sui social e negli specchi delle loro pupille, che si monstrava un tipo che aveva le sembianze mostruose simili a quella piovra che aveva sognato. Comprese che si trattava di una fiction, di un nuovo mithos. Chiamò Hermes: “Ma è la nuova serie di Casa nostra?” “Cosa nostra! ”corresse il messaggero alato. “Casa nostra, vuoi dire?”. “No! oh mio supremo: è stata cosa loro e adesso sarà anche nostra!” Rimase perplesso il dio del Cielo e della folgore, potente capo di tutti gli dei; poi chiese se avesse portato a compimento la sua missione e che tipo di accordi avesse preso con i veri maestri nell’arte della telestiké del tempio dedicato al suo fratello gemello Ermete Trismegisto. Hermes lo rassicurò: “La trattativa è a buon punto, ha fatto passi da gigante, malo stato è segreto”.

A quel punto vide che era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina. Poi lentamente rasserenandosi disse: “Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno ai mortali di essere come io li ho voluti. La loro felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto. Utta a fa juornu c’a notti è fatta. Una notte contiene già l’albore del giorno.

Pergamon Museum Berlin