Il paradigma evolutivo rovesciato nell’era dell’Homo- smartphone e il post di Einstein nell’età della post verità

Se dovesse ritornare in vita Charles Darwin rimarrebbe quantomeno disorientato.  Guardandosi intorno si accorgerebbe che l’homo del terzo millennio ha iniziato un percorso nuovo rispetto a quello tracciato nell’Origine della specie, dove aveva teorizzato l’evoluzione umana. Da fine osservatore si sarebbe accorto che il paradigma evolutivo, come un veliero, sta virando su se stesso, cambiando rotta. La nuova antropologia  dell’homo artifex è artefice di una mutazione genetica ed estetica: basti solamente guardare i comportamenti delle nuove e vecchie generazioni alle prese con gli smartphone. Quella linea evolutiva che dall’homo habilis è passata all’erectus fino al sapiens sapiens, contrassegnata da una progressiva liberazione attraverso la sua posizione eretta sia delle mani che dello sguardo, è come se avesse raggiunto un limite estremo e il progresso della tecnologia costringa l’uomo a tornare all’era dell’homo habilis, sia nella sua postura che nella sua visione.

Sono passati 10 anni da quando Steve Jobs ha lanciato il primo iPhone. Giornali e media ne hanno cantato “le magnifiche sorti e progressive” (questo verso quanto mai vivo e profetico, è un invito a rileggere con altri occhi “La ginestra”, il testamento spirituale di Leopardi). Ma questa “ottava meraviglia”, protagonista dell’ultimo  decennio, ha mutato il corso dei precedenti millenni, da quando il primo seme della tecnica ha iniziato a sbocciare nei nostri remoti antenati ominidi.

Il percorso evolutivo è avvenuto nel momento in cui l’homo erectus comincia a liberare le mani, ad alzare gli occhi e guardare verso l’orizzonte. Così comincia il suo viaggio. E man mano che scorgeva orizzonti sempre più vasti e più lontani, oltre il perimetro che gli occhi riuscivano a cogliere, faceva esperienza; parimenti si evolveva sia fisicamente che nella sua intelligenza. Ma non solo. Lo sguardo proiettato in avanti consentiva di guardarsi intorno, di leggere il mondo e di difendersi da possibili pericoli, e quindi di prevenire e di prevedere. La previsione scaturisce inevitabilmente da una visione. La visione è la condizione fondamentale per far crescere il sentimento estetico e una sensibilità verso il bene e il bello, per poi disegnare la parabola della cultura, immaginando simboli, inventando e tracciando segni e linguaggi.

Nell’era del nuovo genere di “homo-smartphone”, va rinnovata l’analisi sui media di M. McLuhan ne “Gli strumenti del comunicare” in cui ha affermato che “il medium è il messaggio” (ogni nuovo medium diventando una estensione del corpo e della mente rappresenta una metafora: mentre trasporta, traduce e trasforma il mittente, il ricevente e il messaggio e quindi la stessa esperienza). In primo luogo questo piccolo labirinto (lo smartphone) è diventato una parte del corpo dell’uomo e delle nostre cellule cerebrali, non più una estensione come aveva messo in luce McLuhan, con degli effetti incalcolabili sotto il profilo psicologico e antropologico-sociale. La realtà fisica del mondo circostante, comprese le persone a noi vicine, viene esclusa da una realtà riprodotta virtualmente. Il corpo è piegato su se stesso e l’attività del pensiero non si dispiega, si piega e si ripiega, ma non si impiega a scrutare la profondità. In questo modello comunicativo, di produzione e riproduzione mediatica delle informazioni e delle conoscenze costruito sui social media con l’uso dello smartphone, porta il nuovo genere di homo a navigare in superficie, perché fa molta fatica a indagare cosa si nasconda dietro e dentro quegli oscuri processi e ad interrogare la profondità sia immergendosi che immedesimandosi ed elevandosi verso le altezze del cielo. Lo sguardo rimane paralizzato e anestetizzato e l’homo-smatphone  non riesce a ricreare e rigenerare relazioni, a mettere insieme il passato con il presente, ma tutto si trasmette su una linea tecnica che non  lascia spazio e tempo alla riflessione e alla rielaborazione delle informazioni. Accade un completo svuotamento dell’esperienza sensoriale ed emotiva, e la memoria (la sola che ci permette di viaggiare tra il passato e il presente creando vere connessioni tra le idee, il mediato e l’immediato) si ritrova senza linfa vitale. Lo sguardo non è più rivolto verso l’orizzonte che si distende per incontrare geografie e paesaggi visibili e invisibili, ma è catturato dal piccolo monitor, che diviene la prigione dello sguardo. Così la liberazione e la libertà, fondamentali per il cammino evolutivo dell’umanità, corrono il rischio di essere anestetizzate e paralizzate.

In questa luce rileggere il “Paradigma perduto” di Edgar Morin, dove emergono i concetti del rapporto tra natura e cultura e quelli bio-antropologia e della bio-politica, sarebbe quantomeno salutare perché restituirebbe all’homo smartphone la posizione eretta.  Basti pensare alla categoria antietica e antiestetica della post verità. I due fenomeni hanno la stessa matrice, sono figli della nuova tecnologia che sta producendo il capovolgimento del paradigma evolutivo, e i suoi effetti sono inimmaginabili. Mentre nei precedenti stadi evolutivi l’uomo aveva il pieno controllo, conosceva i meccanismi del congegno che aveva sotto gli occhi, e riusciva a prevedere gli effetti del suo uso, adesso è la stessa tecnologia che ha spodestato l’homo faber e impone un nuovo dominio, una nuova bio-antroppologia. Abbiamo oltrepassato le Colonne d’Ercole una seconda volta dopo il folle volo di Ulisse descritto da Dante nel XXVI canto dell’Inferno. L’umanità ritorna nell’intrico del labirinto ma senza più il filo di Arianna: il Minotauro si aggira indisturbato tra i corridoi del dedalo in attesa di divorarci. (E’ il caso di ricordare l’orrore accaduto in Provincia di Ferrara ieri 11 gennaio, compiuto da due adolescenti, Riccardo e Mauel,con un matricidio e un parricidio, in provincia di Ferrara, dove emerge in modo inquietante la mostruosità e l’incapacità emotiva da parte dei ragazzi di immaginare le conseguenze, gli effetti dei propri atti).

Il delirio di onnipotenza, l’illusione che si è creata dalle potenzialità di questo oggetto-cult nelle mani nude e fragili di un uomo ancora bambino, saranno la nuova la nuova manna che proviene dagli occhi del cielo (i satelliti) per i nuovi poteri assetati (sia quelli politico-istituzionali, che quelli occulti e criminali), i quali sono felicissimi di diffondere il nuovo canto delle sirene. Lo aveva già previsto Gunther Anders nel 1964 quando nel suo profetico “Noi figli di Eichmann” aveva codificato la “legge di discrepanza” per gli effetti incontrollabili che avrebbe avuto la tecnica: “Quanto più si complica l’apparato in cui siamo incorporati, quanto più si ingrossano i suoi effetti, tanto meno vediamo, tanto piccola si fa la nostra chance di comprendere i procedimenti di cui noi siamo parti o condizioni. Nonostante il nostro mondo sia fatto dall’uomo e sia mantenuto in movimento da noi tutti, a causa del fatto che esso si sottrae alla nostra immaginazione e alla nostra percezione diviene di giorno in giorno più oscuro. Tanto oscuro che non riusciamo a vedere il suo oscuramento. L’ingenua speranza ottimistica del XIX secolo, quella secondo cui la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la chiarezza dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in tale speranza, non solo è un semplice relitto dell’altroieri, ma è anche una vittima degli attuali gruppi di potere; cioè vittima di quegli oscuri uomini dell’era della tecnica che hanno tutto l’interesse a mantenerci all’oscuro sulla realtà dell’oscuramento del nostro mondo, producendo ininterrottamente quest’oscurità…”

La tecnologia fa crescere il dominio oscuro perché indebolisce il sentimento umano della condivisione e della solidarietà, annientando la pietas. Tutto questo effetto era già stato prefigurato anche da Italo Svevo, descritto in modo lucido nella pagina finale de “La coscienza di Zeno”: “Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.” (il corsivo è nostro).

E se andiamo più indietro nel tempo, tornano alla mente i versi del IX canto dell’Orlando furioso, quelli in cui di fronte alla nuova arma, l’archibugio, Orlando rimane inorridito, perché avverte come ogni valore guerriero sarebbe stato annullato: “O maladetto, o abominoso ordigno,/che fabricato nel tartareo fondo/ fosti per man di Belzebù maligno/che ruinar per te disegnò il mondo,/all’inferno, onde uscisti, ti rasigno.”  Ma anche Platone nel Fedro aveva espresso il suo sospetto addirittura sulla nuova tecnologia della scrittura, rispetto alla trasmissione orale della conoscenza, perché avvertiva il rischio che nel nuovo medium il testo originale poteva essere “corrotto” senza il controllo diretto dell’autore. Solo che ora gli effetti della tecnologia sono diventati incalcolabili e devastanti, hanno superato ogni limite possibile e immaginabile e possiamo rileggere il mito di Prometeo (il progenitore che aveva rubato il fuoco a Zeus per donarlo all’umanità) sotto un’altra luce: quel fuoco che simboleggia il progresso, adesso rischia di incendiare la natura umana e di bruciarla. La Nemesi degli Dei verso chi ha profanato la loro sacralità, si compie con lo scatenarsi della hubrys nell’uomo, la prepotenza, la tracotanza, la violenza, che determina la distruzione della vera conoscenza, la sapienza, in cui è presente sia l’intelligenza che la coscienza, come frutto di un percorso evolutivo spirituale. . Ritorna alla memoria la risposta che T. H. Huxley ha dato al vescovo Samuel Wilberforce, che gli aveva ironicamente chiesto: “È da parte di suo nonno o di sua nonna, Sir, che lei è imparentato con le scimmie?  – Se dovessi scegliere per mio antenato fra una scimmia e un uomo che, per quanto istruito, usi la sua ragione per ingannare un pubblico incolto, […] non esiterei un istante a preferire una scimmia”. In questa visione del percorso evolutivo dell’umanità, da considerare anche la riflessione dell’economista Francis Fukuyana, codificata nel concetto-chiave di “fine della storia”, per cui il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, e da questo momento si starebbe aprendo una fase finale di conclusione della storia e l’entrata in scena della coscienza della crisi: il progresso tecnologico e industriale ha determinato la disgregazione dell’ordine sociale, determinando uno squilibrio più netto tra ricchezza e povertà e una trasformazione dalla precedente vita aggregata ad una “società” di estranei, con la spersonalizzazione e il distanziamento dei rapporti umani.

L’homo sapiens sapiens è stato spodestato dall’homo artifex.  Ed è  proprio vero che  homo faber fortunae suae,  “l’uomo è l’artefice della propria sorte”. Qualsiasi tecnologia, lo si legge anche nel passo riportato de La coscienza di Zeno e dell’Orlando furioso, invece di dar vita alla vera  “civiltà”, favorisce la “viltà” nell’uomo. La viltà agisce sempre nell’oscurità, si nasconde dietro le spalle e ti colpisce in modo vile, come l’archibugio distrutto da Orlando. Siamo appunto nell’età del metallo più vile, la quinta, come aveva raccontato Esiodo ne Le opere e i giorni e da Ovidio nelle Metamorfosi. La civiltà fa partorire la luce, crea luminosità, , valori umani e principi spirituali attraverso l’arte, la cultura, la scienza (non asservita agli oscuri e folli progetti della hubrys) e fa uscire l’uomo dalla condizione della barbarie a quella della cultura. Gli uomini corrotti e criminali si muovono in mondo oscuro, fomentano il negativo e il male, inquinano tutto ciò che toccano e prediligono sempre le vie più sotterranee e tenebrose per compiere i loro orribili delitti, costruendo labirinti abitati da mostri. La tecnologia è un alleato delle modalità con il quale il crimine e la viltà si nascondono e si manifestano: l’effetto di un clic che compie dei massacri da parte di un soggetto che se ne sta tranquillo chiuso in un bunker o dentro i dorati palazzi in qualsiasi punto del mondo, senza farsi vedere e senza vedere e toccare il dolore, la sofferenza, lo strazio della gente che uccide. I lager nazisti ancora non hanno insegnato abbastanza: sono stati una applicazione (un’app oggi si direbbe) del modello industriale e razionale di una tecnica di sterminio: la soluzione finale della questione ebraica con il loro genocidio. O gli speculatori finanziari, con un altro clic decidono sul destino di milioni di esseri umani; senza dimenticare i nuovi ordigni telecomandati che compiono dei massacri. Il padre della relatività Albert Einstein ha affermato che “soltanto due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana”, in un tempo in cui  mentre mai “nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi” mentre “l’uomo ha inventato la bomba atomica”. Questi nuovi ritrovati tecnologici consegnano nella mani della stupidità umana un’enorme potere. Il terrorismo, le guerre, le armi atomiche; ma anche le micro stragi sono la conseguenza che gli eredi prediletti delle “magnifiche sorti progressive”, il popolo della grande mela (simbolo dell’iPhone), usano le armi come se fossero dei giocattoli e se ne vanno nelle scuole e negli uffici a sterminare esseri innocenti (anche i figli degli stessi costruttori di armi) per un folle gioco. Le armi sono diventati il culto e il “mito” prodotto dalla mentalità che gravita negli Stati Uniti (potenza che i media hanno reso potente con la più grande menzogna, continuando a definirla come “la più grande democrazia mondiale”, forse perché hanno la libertà di andare in giro con arsenali bellici). Dopo aver sterminato i popoli indigeni, che ci hanno consegnato il Discorso di Capo Seattle, l’arco e la freccia, simboli potenti sotto il profilo antropologico, umano e spirituale, gli eredi dei “conquistadores” adesso come Prometeo, ci hanno donato il fuoco dello smartphone.

Quanta verità nel tuo post, caro Einstein! in questa post-modernità e nell’era della post-verità: “La verità è ciò che resiste alla prova dell’esperienza” (Pensieri degli anni difficili, 1950).