Teatro Lo Spazio dal 5 al 17 aprile

Dopo la fortunatissima stagione al Teatro Ambra Garbatella e la standing ovation al Gay Village 2015, torna a Roma, al Teatro Lo Spazio, “Siamotuttigay”, la commedia cult scritta e diretta da Lucilla Lupaioli da una originale idea di Marco Marciani: ma se fossimo tutti gay, gli eterosessuali come farebbero? Sarebbero costretti a nascondersi, a fare terapia, a vergognarsi delle proprie fantasie sessuali? Che cosa penserebbero i loro vicini, i loro colleghi, e soprattutto i loro genitori?

Prendete due fratelli adolescenti, carini, spaventati, che devono affrontare due madri piuttosto tradizionaliste, affettuose ma molto rigide, e confessare: “mamma, mamma, noi siamo etero!”. Immaginate che il tutto avvenga in teatro, perché una delle due madri è un’attrice famosissima (Alessandro Di Marco, en travestì) e l’altra madre è il suo ufficio stampa (Michela Fabrizi). E’ il giorno della prima, le tensioni si addensano dietro il palco e dentro ai camerini.

La costumista (Martina Montini) tresca di nascosto con Willy, uno dei due fratelli (Antonio De Stefano), mentre la sorella (Giulia Paoletti) amoreggia da un po’ con il macchinista (Claudio Renzetti). Sono due amori segreti, o meglio proibiti, nati dietro il manto protettivo ed eccitante del teatro, che offre sempre qualche libertà in più rispetto agli ambienti più conservatori. Scene rocambolesche, bugie che si susseguono una dietro l’altra creando una cortina di equivoci, ma nel giorno della prima gli equilibri saltano e i due fratelli decidono di fare il coming out. Scoppia il dramma: ricatti morali, crisi isteriche, scenari apocalittici. Le due madri, sconvolte, devono scegliere fra l’amore e il giudizio, fra la libertà dei figli e il controllo delle loro vite. Ce la faranno a scardinare la loro eterofobia? A superare i propri tabù?

Una rivisitazione di luoghi comuni intelligente e ironica, che mostra il mondo che conosciamo da un altro punto di vista, come una Terra osservata dalla Luna. Il paradosso del mondo al contrario è vincente perché costringe a riflettere senza appesantire o scadere in facile retorica. Risate catartiche.