Lea Garofalo, la storia di chi non si arrende

VIBO - Giordana

L’impegno civile e sociale del regista Marco Tullio Giordana come dimostra la sua ultima opera sulla vicenda di Lea Garofalo, “Lea” e le sue risposte e riflessioni, nel dibattito dopo la visione del film. L’iniziativa è stata organizzata dal Sistema Bibliotecario Vibonese in collaborazione dell’Amministrazione comunale e il Coordinamento provinciale di Libera.

Incontro con Giordana

Il cinema può essere un importante strumento di impegno culturale, sociale e civile contro le mafie. Lo ha dimostrato con i suoi film il regista Marco Tullio Giordana, come il suo ultimo lavoro “Lea”, dedicato al coraggio di Lea Garofalo, uccisa in modo orribile dal proprio compagno e padre della figlia. Il film è stato proiettato giovedì pomeriggio nella sala conferenze del Polo culturale di Santa Chiara, e a seguire si è aperto un dibattito alla quale ha partecipato lo stesso regista, insieme all’attore Alessio Praticò, che interpreta il compagno e brutale assassino di Lea, Carlo Cosco. Diversi i temi e le questioni su cui ha risposto e riflettuto Giordana, sollecitato dalle domande del pubblico. In primo piano la storia interiore che muove le coscienze a ribellarsi contro i mali che affliggono la società, come è stato per Lea Garofalo ma anche per i “I cento passi”, sulla tragica fine di Peppino Impastato; del regista milanese inoltre si ricordano “Romanzo di una strage”, sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969, o lo straordinario affresco storico-culturale “La meglio gioventù”, che rievoca la storia italiana dagli anni Sessanta o il film “Pasolini, un delitto italiano”. Significativo lo sguardo “antropologico” con cui Giordana riesce a penetrare i fenomeni, le vicende e i personaggi. In merito al film “Lea” ha elogiato l’interpretazione di Alessio Praticò nel difficile ruolo di compagno ma anche di feroce assassino di Lea Garofalo, e ha rivelato che all’inizio aveva in mente un altro attore, ma per la sua visione estetica voleva evitare la fascinazione del personaggio negativo. Alessio Praticò, ha affermato Giordana, “è stato perfetto, perché non emana nessuna seduzione, ma nello stesso tempo si è calato nel personaggio”. Focalizzando la storia di Lea (interpretata da Vanessa Scalera, mentre nel ruolo della figlia Denise Linda Caridi), Giordana ha affermato che le donne possono scardinare la compattezza monolitica della famiglie di ‘ndrangheta: “Questa mutazione – ha sottolineato – avviene nel momento in cui nasce la figlia Denise: Lea comincia a riflettere sul destino della figlia e non la può immaginare dove lei è cresciuta, in un ambiente in cui domina una mentalità criminale”. Per questo Lea non può essere considerata “una vittima di mafia”, ma una “caduta”, perché si è ribellata, ha lottato contro la sua famiglia di origine. Nel film viene inoltre appare l’associazione Libera, documentato quando Lea si rivolge a don Ciotti, fondatore di Libera, per chiedere aiuto, ma anche quando Libera organizza il funerale a Milano, con immagini di repertorio, dopo che erano stati ritrovati i resti del suo corpo. In merito Giordana ha voluto fa emergere il fondamentale ruolo di Libera nella lotta contro le mafie, ma anche di aiuto di fronte alla disperazione e alla solitudine in cui si trova Lea quando decide di ribellarsi.

Marco Tullio Giordana non si è limitato soltanto a parlare di cinema e del film su Lea Garofalo. Per la sua formazione culturale, per la sua lunga esperienza, ha espresso una serie di opinioni e di riflessioni di carattere sociale, politico e culturale, mettendo in rilievo la decadenza che sta vivendo il nostro Paese, invitando i giovani a studiare, a impegnarsi senza tregua, raccontando un aneddoto di quando frequentava il liceo classico, che dopo aver preso 8, felice lo aveva comunicato alla madre; ma lei gli ha rammentato che aveva fatto soltanto metà del suo dovere. Un monito che non ha mai dimenticato e che lo richiama continuamente alla responsabilità e all’impegno.

Durante il dibattito, il regista milanese ha fatto emergere una raffinata ironia e umiltà di fronte alle mitologie che circolano nel mondo dello spettacolo, come il suo imbarazzo nell’essere appellato come maestro; e ha richiamato la lezione di don Ciotti, che lo ha invitato a evitare il don, in quanto legato all’etimologia latina di “dominus”. Sul fenomeno della criminalità in Calabria, Giordana ha rilevato che va inquadrata in un discorso di generale corruzione e criminalizzazione dell’intero contesto nazionale, osservando che in generale è necessario recuperare la capacità di sognare, di avere una visione utopica, altrimenti non si può pensare di costruire un mondo migliore. L’arte – secondo Giordana – ha una grande funzione e capacità di generare evocazioni ed emozioni: “i veri artisti avvertono i disastri e i pericoli, come gli animali che captano i fenomeni naturali” ha sottolineato.

Nel corso del dibattito è intervenuto anche mons. Giuseppe Fiorillo, Referente di Libera Vibo Valentia. Egli ha messo in rilievo la funzione estetica della tragedia greca in corrispondenza con il film “Lea”; ha spiegato che nel processo di identificazione che lo spettatore aveva con l’eroe tragico, agiva la purificazione e la liberazione dal male, attraverso la catarsi, non come avviene attualmente in molte fiction, di identificazione con coloro che compiono orrendi crimini, come nella serie televisiva “Il capo dei capi”. Mons. Fiorillo ha fatto messo sotto accusa il linguaggio che viene utilizzato nella comunicazione della stampa che esalta il potere dei clan, con alcuni aggettivi come “potente”, “forte”, o nomi come “capo”, “boss” ecc., che alimentano un alone sottile di seduzione, di fascino e di potere; invece dovrebbe avvenire il contrario, far suscitare nell’opinione pubblica un sentimento di indignazione, di disprezzo, di condanna e non, come accade, di consenso e di ammirazione. Un monito da parte di mons. Fiorillo, rivolto in particolare agli operatori dell’informazione ma anche al mondo dell’arte e della cultura, come aveva messo in luce Giordana: quando si raccontavano storie di criminalità, è necessario tener conto della funzione etica che deve avere l’arte cinematografica e qualsiasi altra espressione artistica; bisogna avere attenzione a non insinuare, nelle personalità più fragili sia culturalmente che socialmente, dei miti negativi, con il fascino che può suscitare l’attore nell’interpretare il personaggio mafioso o ‘ndranghetista.

L’incontro è stato organizzato dal Sistema Bibliotecario Vibonese in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Vibo e del Coordinamento provinciale di Libera. L’iniziativa rientra nell’ambito del cineforum “Storie e film contro le mafie”, che vede protagonisti i giovani di Libera, con altri due appuntamenti (il prossimo sabato 20 febbraio) con la proiezione di “Anime nere” ed è prevista l’autore dell’omonimo romanzo Gioacchino Criaco. Ad introdurre l’incontro Gilberto Floriani, direttore del Sistema bibliotecario, il quale ha sottolineato la grande occasione di avere ospite una importante figura di regista e intellettuale come Marco Tullio Giordana, e ha spiegato che si tratta di un tour in diverse località della Calabria che ha come tema “il coraggio oltre la narrazione – la storia di Lea, le storie di chi non si arrende”. Si tratta di tre giorni con il regista e l’attore Alessio Praticò in Calabria, con cinque eventi pubblici per declinare, oltre il film, oltre la storia di Lea, il coraggio, la necessità di non arrendersi. A coordinare gli interventi e il dibattito la scrittrice e giornalista Paola Bottero.