Varese, uccise Lidia Macchi con 29 coltellate arrestato Stefano Binda

I fatti risalgono al lontano 5 gennaio 1987. Lidia Macchi, studentessa di Varese, è stata trovata uccisa con 29 coltellate in un bosco alla periferia di Cittiglio. Dopo tre decenni la svolta. Arrestato Stefano Binda, ex compagno di liceo della ragazza.

La ragazza era studentessa di giurisprudenza alla Statale di Milano. L’arrestato sarebbe autore della lettera anonima giunta a casa della famiglia Macchi il 9 gennaio dell’87, giorno in cui si celebrarono i funerali di Lidia. Nella missiva, intitolata “In morte di un’amica”, c’erano descrizioni della scena del crimine note solo agli inquirenti.

“Siamo stupiti, speriamo che questo serva per fare emergere finalmente la verità”. Ad affermarlo l’avvocato Daniele Pizzi, legale dei familiari di Lidia Macchi. L’arrestato, Stefano Binda, conosceva la ragazza e qualche volta aveva anche frequentato la sua casa, anche se non era un amico stretto. Frequentava anche, come la studentessa, l’ambiente di Comunione e Liberazione. Laureato in filosofia, l’uomo non era mai entrato tra i sospettati nel corso delle indagini. Tra gli elementi decisivi per arrivare all’arresto anche una perizia calligrafica sulla lettera anonima che venne inviata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali. “Perché io, perché tu, perché le stelle sono così belle… In una notte di gelo la morte urla, grida d’orrore e un corpo offeso, velo di tempio strappato, giace… Consummatum est…Non è colpa mia, è la morte che ha voluto la sua vita. Io l’amavo, perdonatemi”. Questo il testo della missiva, come riporta il “Il Giorno”. In fondo alla lettera un disegno simile a un’ostia. Il latino e l’ostia sono stati probabilmente gli elementi che hanno fatto entrare in scena Don Antonio Contestabile che era il responsabile del gruppo scout frequentato da Lidia Macchi e ha dovuto convivere con un alone di sospetto che ha creato un grave danno alla sua immagine. La sua posizione è stata archiviata dalla Procura di Milano dopo che quella di Varese aveva “dimenticato” nei suoi cassetti il caso. Per anni i pm di Varese avevano indagato “informalmente” su di lui senza mai iscriverlo. L’omicidio di Lidia Macchi, che aveva 21 anni, fu il primo caso in Italia in cui si ricorse al test del Dna. Allora l’esame veniva definito test per rilevare l’impronta genetica (“dna finger printing”) e il materiale organico trovato sul corpo della ragazza venne mandato nel laboratorio inglese di Abingdon. Lo stesso laboratorio analizzò anche il sangue delle persone coinvolte nell’indagine. Nel 2014 la svolta nelle indagini la Procura Generale di Milano prima ha tolto l’inchiesta dalle mani dei pm di Varese e poi l’ha chiusa accusando di omicidio volontario aggravato Giuseppe Piccolomo. Piccolomo era stato già condannato all’ergastolo per il cosìddetto delitto “delle mani mozzate”, avvenuto sempre in provincia di Varese. Una perizia sui reperti ritrovati sul corpo e sull’auto di Lidia Macchi, però, ha portato nei mesi scorsi a scagionare Piccolomo.