Deriva

images.jpeg6 Deriva Di Vincenzo Calafiore 5 novembre 2015-Udine In questa notte friulana, sfilacciata e rammendata da poche stelle e poche ore prima delle invasioni barbariche del giorno che si appresta. E’ stata interminabile nel mio sonno agitato dalle trame di coscienza, intrecciate con delicate mani di antica sapienza. E’ un gioco d’azzardo, è un navigare in un mare di catrame dagli orizzonti lattiginosi che a fatica cercano di rimanere a filo per una rotta da fissare o già fissata su carte nautiche che i miei occhi a fatica cercano di seguire. E’ una lunga notte araba che finisce e già sembra di tornare a casa. Navigo nella foschia di un’aurora color anice, il mare si riempie di nuovo, la processione interrotta ricomincia, centinai di pensieri arrivano dai miei deserti afgani per un’alleanza che come vele sgonfie di vento trapuntano gli orizzonti degli occhi. I legni scricchiolano ad ogni onda, è una paura che serpeggia a bordo, mentre scivolo silenzioso con gli ultimi ricordi davanti alle barbarie, alle rapine alla mia anima, simile a un portolano. E mi ritrovo simile alle rovine appartate di Butrinto, la nuova Troia, il posto che Eleno figlio di Priamo ribattezzò con gli stessi nomi della patria perduta. Violato e tradito ormai negli ultimi metri di un’età evanescente, dalla bonaccia, un gran silenzio è calato sul mare; di tutte le sofferte vele che han cercato un respiro, un alito, ma c’è assenza di vento. Io lo so che con la tempesta combatto e con la bonaccia mi arrendo, ma vale la pena di restare fermo a vele flosce in attesa, e immaginare intanto di morire in un mare di bonaccia o di restare prigioniero di una superficie piatta e arrogante. Durante fumare un sigaro per ingannare il tempo, mentre il mare respira, la vecchia anima tace, in un’acqua senza patria, sul filo tra anima e cuore. Non nuoto nell’amore nei tempi della solitudine. All’alba, tutto diventa accomodante, il cuore indossa nuovi vestiti scenici sui massacri notturni e mi ricordo all’improvviso il mio essere vecchio naufraga in una bonaccia minacciosa; ciascuno prende il suo tempo in quel vecchio e trasudato “ niente “. Si schiudono stanze piene di ricordi, di manoscritti ove mercanti d’anime trovano certezza, scopro così che l’anima non è a volte approdo, ma è inferno: “ ….. siamo stati accarezzati et abbracciati dalli carissimi amori che pro tempora son venuti dal mar et sempre li abbiamo scolpiti nel cuore” . Questa è la rovina.