Il teatro della sete

filo spinato Il teatro della Sete Di Vincenzo Calafiore Certo, è cosa accertata che oggi si “ sopravvive “ e non si vive, di questo verbo ormai non ne ricordiamo neppure la coniugazione, i suoi tempi; viviamo per somma, per abitudine tanto siamo ormai assuefatti a una maniera che nulla ha a che fare con il verbo “vivere”. Le immagini con le loro storie nascoste ci giungono nell’immediatezza e con la stessa le dimentichiamo oscurandole in parti di memoria che alla fine le cancellerà; ma ci sono immagini che restano e mordono la coscienza ogni momento della giornata, di chi ancora l’ha. Da troppo tempo ormai assistiamo a queste immagini raccontate dai mass-media che non lasciano la parola ad esse affinché si raccontino e ci facciano conoscere la vera storia, la sacrosanta verità che viene rapidamente rilasciata da volti anonimi di gente che scappa dal proprio paese scacciati dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame, e vengono spinte da quel grande desiderio di “ casa- famiglia, pace e serenità” a cui noi dell’altra sponda ormai siamo abituati e non ci facciamo neppure caso. L’assurdo è proprio questo da una parte c’è un mare di gente che mira a queste cose, e dall’altra parte c’è gente comodamente adagiata ed ebra di tutto. Arrivano a noi con qualsiasi cosa che riesca a galleggiare sul mare, dopo aver svenduto tutto perfino la loro vita, per trovare il più delle volte una morte certa e quando riescono a toccare terra si trovano davanti l’ignobile ottusità, il rifiuto dell’ospitalità e dell’accoglienza in nome di una certa sovranità territoriale. Non abbiamo ancora capito che ormai non esisterà più la sovranità territoriale, non esisteranno più italiani o inglesi, francesi o tedeschi, poiché questo flusso migratorio non si fermerà e alla fine come giusto sia le razze si mischieranno per farne una sola razza, mista, senza alcuna distinzione di colore della pelle. E’ questo il futuro che ci attende, sarà questo il futuro dell’umanità, e accadrà nonostante i muri e i fili spinati alle odierne frontiere. Se vogliamo continuare a vivere dovremo imparare a dividere, ad accogliere, e cercare con queste famiglie e con queste speranze, ideare e costruire un mondo nuovo completamente diverso da questo finora conosciuto, permeato di false illusioni, di vaghe speranze, di egoismo sfrenato, del tutto ad ogni costo, della mancanza di fede e di fratellanza, di poca umanità. Che farsene di un mondo simile in cui il “ vivere” è un dover vivere? Poi non si sa! Bisognerà guardare a questa invasione con occhi diversi e non come se questa gente di etnia diversa venga nella nostra bella casa ad imbrattare o a levarci il mangiare di bocca, guardarla con gli occhi della speranza, anche se, e non bisogna negarlo, fra questi ci sono dei violenti che stuprano e rubano, uccidono chi li ha accolti. Bisogna che la politica non ne faccia un cavallo di battaglia per una maggiore acquisizione di voti e di consenso, ma che questa promulga delle leggi atte a evitare che quegli atti di violenza non accadano. Fare in modo di uscire sia dalla crisi economica cercando di levare non solo al popolo, ma anche a loro stessi, affinché ci sia una giusta ed equa retribuzione economica e ridistribuzione dei beni primari. Solo così forse potremo vivere in pace con la nostra “ coscienza “, senza dimenticare quell’immane apocalittico cimitero che va dalla Libia alle coste italiane e greche, e l’immagine di quel corpicino che il mare nella sua pietà ha voluto restituire per dargli una degna sepoltura. Vorrei che tutto questo “ peso “ ricadesse su quelle organizzazioni come l’ONU e di quei capi di stato che fino a ieri hanno preferito girarsi dall’altra parte come se il problema fosse esclusivamente a carico di nazioni come l’Italia e la Grecia, peraltro non tenute in considerazione e multate pure! Che schifo.