Gemellaggio con la Terrasanta: come aquiloni nel cielo di Jifna

Jifna, Palestina

Jifna, Palestina

Visitare i luoghi del passaggio di Cristo sulla terra è stata per noi un’insperata opportunità. L’obiettivo principale infatti era quello di vivere la realtà della parrocchia assegnata alla diocesi netina in ogni sua espressione, offrendo ove possibile il nostro piccolo supporto. Dal momento che il campo estivo, come da programmazione, si è svolto interamente nel pomeriggio, Padre Firas con grande sensibilità ha messo a nostra disposizione persone fidate che ci hanno guidato in quello che potremmo definire sicuramente un pellegrinaggio. Michele, operatore del patriarcato, Abu Fedi, un parrocchiano, e il seminarista Firas rimarranno per sempre cari amici a cui dobbiamo tanto per le indimenticabili esperienze vissute. I nostri volti si sono rivisti di lacrime la prima volta a Betlemme. Impossibile frenare l’emozione, resa ancora più intensa dalla celebrazione eucaristicanella grotta della natività presieduta in forma semplice dal vescovo di Montreal insieme ai giovani della sua diocesi: diversi tratti somatici, diversi colori di pelle espressione di fusione multiculturale, comunione della famiglia umana.  Dal quel momento abbiamo cominciato a leggere ogni tappa dalla prospettiva del nostro compito di inviati. Nazareth ci ha fatto sentire tutta la responsabilità nel rinnovare il “si” del progetto iniziato.
Padre Firas

Padre Firas, la guida

Lungo le sponde del lago di Tiberiade in particolare a Cafarnao, presso il monte delle Beatitudini e soprattutto a Tabra la chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci,incendiata da poche settimane, abbiamo colto i possibili ostacoli al mandato confortati da una Parola che malgrado tutto nessuno può ignorare o cancellare. La Via dolorosa percorsa in tutte le sue stazioni fino al Calvario e al Santo Sepolcro, in una Gerusalemme quasi spoglia di pellegrini, ha richiamato la solitudine e la morte del cuore che spesso accompagnano i cristiani destinate a sfociare, se sostenute dalla fede, nella gioia della resurrezione. Il Getsemani e, qualche giorno dopo a Gerico, il monte delle tentazioni custodito in un magnifico monastero bizantino raggiunto con la funivia, ha posto dinanzi a noi le prove che si insinuano nel nostro procedere quotidiano: la diminuzione dell’entusiasmo, la ricerca di vie di fuga, i falsi bisogni, la presunzione di poterci sostituire o peggio di fare a meno di Dio.  Le acque del Giordano, sebbene le sponde fossero infuocate dalla calura estiva, hanno portato refrigerio anche ai nostri pensieri: abbiamo letto il battesimo di un gemellaggio con la Terra santa che deve necessariamente conformarsi all’umiltà del figlio di Dio, pronto a cingersi il grembiule nel Cenacolo lasciando un testamento di servizio ad una piccola Chiesa, unita e forte solo perché ha ricevuto il dono dello Spirito consolatore e liberatore. È il lieto annuncio che portiamo con noi dopo aver salutato nuovamente Gerusalemme e Betlemme. Si levano alti ad uno ad uno, spinti dal vento, e dondolano nel cielo pomeridiano, “tamara” li chiamano i palestinesi, aerei di carta, resi ancora più sinuosi da lunghe code di nastri variopinti. Guardano una terra santificata dalla presenza delle tre religioni abramitiche, ma dilaniata dall’incapacità umana di cogliere l’aspetto sostanziale del culto a Dio: ringraziarlo per il dono della vita e custodire il suo progetto di pace e giustizia. La questione arabo-israeliana ancora irrisolta – malgrado le trattative continue e i periodi di tregua – rappresenta uno dei tanti nodi che aggrovigliano negativamente la storia degli uomini. I muri di cemento,simili a sequenze di lapidi senza nome, e le transenne di filo spinato, come spirali di corone, separano popoli della stessa famiglia umana rinnovando la sofferenza di Dio, mai realmente compresa. Ai check-point giovani israeliani dai visi severi; donne e uomini con mimetiche e fucili chiedono nervosamente i documenti, indottrinati ad un contegno che ci pare innaturale per la loro età e non lo pensiamo minimamente esteso ai loro coetanei. Una generazione smarrita nei meandri di una politica intransigente e non sempre flessibile alle aperture.
Nazareth, cappella dell'Annunciazione

Nazareth, cappella dell’Annunciazione

Sulle colline e su alcuni balconi sventolano con fierezza le bandiere palestinesi perché sia ben visibile la loro presenza e non si confondano le identità. Tutto tende alla divisione, segno inconfondibile di un male radicato nelle coscienze. A Jifna, il cui nome significa ‘vigna’, una piccola comunità cristiana convive pacificamente insieme a gruppi di musulmani e ortodossi accettando che gli israeliani controllino l’erogazione dell’acqua e l’accesso ad alcune strade. Gente umile e operosa svolge lavori di vario genere: ci sono modesti imprenditori edili, muratori, falegnami, commercianti di generi alimentari in piccole botteghe, lavagisti, meccanici, autotrasportatori. Le loro attività non sono garantite dalla pensione, l’assistenza sanitaria è privata, copre i servizi di base e non tutti possono permettersela. L’istruzione pubblica non si ritiene adeguata, pertanto strutture e preparazione sono garantite dalla parrocchia a partire dalla scuola dell’infanzia fino alla primaria di primo grado; per frequentare il liceo o l’università’ bisogna andare a Ramallah o a Ber-zeit, i centri più vicini. Ma tutto è a carico delle famiglie e le rette non sono economiche, pertanto si aiutano le più bisognose. Per circa un terzo anche l’iscrizione al ”Summer camp” di 60 shequel, ovvero 12 euro, costituisce una spesa non sostenibile se si pensa che il salario medio e’ corrispondente a 500 euro al mese.
Maria Grazia Modica e Giorgio Abate

Maria Grazia Modica e Giorgio Abate

All’alba e al tramonto dai minareti il canto dei muezzin fa eco nella vallata alternandosi al suono delle campane che annunciano le messe. Sono espressioni di un sentire la relazione con il divino che non divergono ma si intersecano in trame di suoni e di parole che ci raccontano di un Dio che vince l’odio con l’amore. Gli incontri periodici tra cristiani e musulmani costituiscono altre occasioni di dialogo e confronto che attualmente non sono possibili con gli israeliani. Come aquiloni sul cielo di Jifna vorremmo che il vento si profumasse di pace come i gelsomini arabi, che gli unici fuochi fossero quelli di artificio che comunicano, secondo la tradizione, la fine degli esami di stato e la pubblicazione dei risultati. Potremmo cosi’ annunciare il corso di una generazione nuova che cerca l’unione in un bacio di fratellanza tra i popoli, in questi giorni di gemellaggio suggellata anche dall’allineamento dei pianeti nella volta celeste, dono di Dio in queste fresche serate di luglio. Maria Grazia Modica Giorgio Abate