Francesca Prestia protagonista come ospite d’eccezione alla serata finale di Sferistereo

Prestia e VecchioniÈ senza precedenti l’evento. La serata di domenica scorsa (21 giugno) può essere considerata storica nella esperienza artistica della cantastorie Francesca Prestia, grazie alla lingua calabrogreca, vera protagonista nella serata finale di “Musicultura” nella cornice dello Sferistereo di Macerata,con il cantautore (vincitore del festival di San Remo nel 2011), Roberto Vecchione. Insieme hanno cantato I Agàpi, pirìa tu Thiù! (L’amore, vampa di Dio, brano composto e musicato dalla stessa Prestia, tratto dalla traduzione in lingua calabrogreca del Cantico dei cantici del poeta Salvino Nucera). Oltre a questo canto, la cantastorie calabrese (accompagnata da Federica Santoro, lira calabrese e tamburello, da Lucio Fabbri al  mandolino  e violino, e da Massimo Germini alla chitarra) ha eseguito anche Fujia, tarantella ispirata al racconto di Corrado Alvaro, la cui protagonista è una sensuale pigiatrice d’uva che  prefigura un femminicidio.

 Musica, storia, memoria e letteratura si sono intrecciate e fuse. La scoperta della lingua calabrogreca ha letteralmente affascinato Vecchioni che, oltre ad essere uno dei cantautori più importanti italiani, come molti sapranno è stato anche insegnante di Greco e Latino. “E’ una cosa meravigliosa” ha esordito Vecchioni sul palcoscenico dello Sferistereo di Musicultura, prima di cantare il brano. In un intervista dopo lo spettacolo, ha elogiato la Prestia per la sua importante attività di ricerca sulla musica popolare, in particolare su questo antico idioma in cui “vive una grandezza antica”con “situazioni di lingua di una bellezza straordinaria iniziale e armonia di un modo di dire capace di suscitare emozioni profondissime”. A sua volta la cantastorie, ha riconosciuto in Vecchione oltre che un grande cantante e uno straordinario poeta, un’anima che le ha fatto vivere una esperienza in cui il dialogo “si è trasfigurato in una dimensione spirituale”.

Vecchioni, come ha raccontato, per caso viene a sapere della ricerca storica, linguistica e antropologica che Francesca Prestia da anni sta portando avanti grazie al lavoro filologico e poetico compiuto dal poeta Salvino Nucera, in questa antica lingua sopravvissuta per millenni, rimasta ancora intatta nella sua bellezza e potenza espressiva e parlata nella cosiddetta area grecanica o ellenofona (che comprende diverse località sul versante Jonico meridionale dell’Aspromonte come Bova, Roghudi e Condofuri). Grazie all’incontro con Nucera (nato a Chorio di Roghudi) la cantastorie, che nel suo dna ha fuso la varietà idiomatica e antropologica dell’identità calabrese, ha potuto lavorare sulla lingua e sul canto, con risultati di straordinario valore musicale, tali da suscitare la passione di Vecchioni.   (Chi fosse interessato a cogliere  l’atmosfera e l’emozione sia dell’esecuzione del brano al Musicultura che l’intervista a Vecchione e Prestia, ci si può collegare sul link https://youtu.be/pDgBEryV938)

La cantastorie Francesca Prestia, è importante ricordarlo, si è imposta a livello nazionale per aver posto al centro della sua esperienza musicale e la sua ricerca letteraria e antropologica, il ruolo delle donne per il riscatto della Calabria, ma anche facendo conoscere alcune figure che hanno un legame profondo con la Calabria, come Umberto Zanotti Bianco componendo le musiche del docufilm Bellezza e rovine, l’Italia di Umberto Zanotti Bianco di Giovanni Scarfò) e la ballata Leonzio Pilato (ispirata all’omonimo romanzo di Santo Gioffrè). Una risonanza nazionale ha avuto con la “Ballata di Lea”, dedicata alla tragica vicenda di Lea Garofalo, ma diversi sono stati i testi ispirati a donne calabresi che si sono battute contro l’oppressione mafiosa, rievocando donne protagoniste nei racconti dei più importanti scrittori calabresi, come Alvaro. Una ricerca che poi si è evoluta esteticamente e artisticamente attraverso le radici culturali più profonde della Calabria, approdando alla lingua grecanica e realizzando uno spettacolo (“Voci di Muse. Viaggio nella Magna Grecia”) che ha portato in diverse località della Calabria e d’Italia, coniugando la poesia e il canto ispirate alle donne della nostra classicità, come Saffo e la locrese Nosside, fino alla poesia di Salvino Nucera e al Cantico dei cantici, con la stupenda versione I Agàpi, pirìa tu Thiù. Questo canto nuziale affonda le radici in alcuni poemi della Mesopotamia ed è entrato nel canone biblico. La sua composizione viene attribuita al re Salomone. È senz’altro uno dei testi poetici d’amore più alti e più intensi che siano mai stati composti. Il sentimento erotico viene cantato e trasfigurato attraverso un dialogo che tocca vette di altissima poeticità. Inserito nei libri sapienziali dell’Antico testamento, per la prima volta nella storia della letteratura mondiale, questo canto d’amore è stato tradotto in lingua calabro-greca da Salvino Nucera nel 2013, dal titolo “Tragùdi ton tragudìo”.