Spiaggiatore

spiaggiatore Spiaggiatore Di Vincenzo Calafiore “A volte nemmeno io so se si tratta di un sogno o di un vissuto, non so se è poesia o se è quel mio cercarmi fra le pieghe di un tempo che non ho più. Ma ugualmente faccio finta che sia un racconto, buono per fare bello il giorno, un giorno qualunque, un giorno di vita che ancora vuole crederci.” Dalla finestra della cucina vedo i binari stretti tra i rami degli alberi, che curvando s’infilano nella galleria, nera di fumo. I treni passano sfrecciando sempre negli stessi orari, qualche volta sia di giorno che di sera si fermano in attesa che arrivi un si; dai finestrini vedo viaggiatori stanchi e bambini con i visi appiccicati ai vetri per guardare fuori. La linea ferroviaria si snoda per la maggior parte sul mare. Ogni volta che lo vedo passare, pensavo e penso sempre la stessa cosa: un giorno anch’io prenderò quel treno! Sono passati non so quanti anni, ed io sono ancora qui, con la mia sacca sulla spalla a rifare lo stesso percorso sulla spiaggia a raccogliere ciò che il mare di notte, rumoreggiando butta sulla spiaggia. Il più delle volte sono bottiglie di vetro colorato, pezzi di reti, legni lisciati e storti, pesci piaggiati. Allora in quel silenzio sia d’estate che d’inverno raccogliendo quello che più mi piace penso a quel treno che tutte le mattine e le sere passa davanti alla finestra della cucina che tanto rassomiglia al mio passato, al mio – …. Da dove vengo? – che puntualmente si ripresentano nella mia testa che nulla fa per scacciarli via. Io vengo da un bivio, davanti al quale finita la guerra mi sono trovato davanti. Tornavo con quel poco addosso che ricordava un’uniforme, stanco e malconcio; di strada a piedi ne avevo fatta tanta, sempre su strade lontane da città e paesi distrutti, sempre con la paura di essere inquadrato da un mirino. Ho dormito sotto i ponti, o in tane nascosto come una bestia nutrita di ciò che riuscivo a trovare. Salivo in cima alle colline in cerca del mare, perché la mia strada, la strada che mi avrebbe condotto a casa era il mio mare; avevo paura delle bande armate, paura di incontrare qualcuno ancora con la voglia di uccidere. Io ero stanco, di morte, di distruzioni, di discorsi patriottici, stanco di bandiere e di inni; avevo solo desiderio di tornare a casa e di riprendere la mia vita, se mai ci fossi riuscito. La mia vita era quel treno, che passò sfrecciando via lasciandomi solo davanti a quel bivio. Ancora era dolente la ferita in testa. Non trovai più la mia casa, e dei miei amici pochissimi fecero ritorno; uno di loro mi disse quando c’incontrammo dopo tanti anni: << …. Ma noi che non volevamo avere niente a che fare con il resto dell’Italia, noi che volevamo essere lasciati in pace a pescare e a riparare barche e reti per quale cosa, per fare cosa ci hanno fatto mettere addosso una divisa e mandati via in un altro paese di gente come noi, gente di mare che non voleva saperne come noi di guerre e di distruzioni? E in quanti dei nostri amici abili pescatori non sono più tornati? Ecco sono queste le cose che non capisco … >> Ancora adesso come allora, non so leggere e scrivere, a cosa mi potrebbero servire se non ho più nessuno? La casa in cui abito non è mia, me la sono presa quando tornai indietro, i suoi proprietari erano morti sotto i bombardamenti, per la gente del paese ora mi appartiene; in una stanza vuota non avendo più una foto dei miei genitori morti anche loro sotto le macerie di casa nostra, cominciai a incollare alle pareti, fotografie che trovavo per strada e tra le macerie; ma anche di soldati e marinai che trovavo sulla spiaggia. Non sono volti anonimi sono la mia famiglia con cui la sera seduto al centro della stanza parliamo con il linguaggio del silenzio. Ancora adesso, qualche volta trovo qualche fotografia che aggiungo alla famiglia. Sono uno spiaggiatore, vivo di niente e sono capace di dipingere con parole che a volte ricordo certe albe e certi tramonti; non so scrivere ma scrivo tante poesie, non ho una buona vista, ma so guardare il mare. Quel mare che mi ha riportato a casa, quel mare che barbuglia gli occhi e mi commuove, mi fa piangere ogni volta che calmo e sereno mi accoglie fra le sue braccia e nuoto, in quel buio pesto, sicuro e senza paura, nuoto tra spada e aguglie, alici e sardine, e torno sempre, a riva del mio mare, a casa mia. Mentre non sono più tornato da quel viaggio che mi hanno costretto a fare, non sono tornato da quella vita che come quel treno tutte le sere passa sfrecciando, facendo tremare ogni cosa, perfino l’anima.