Il saggio di Emanuela Medoro sulla ricerca linguistica del grande drammaturgo italo-americano
Ho accolto volentieri l’invito dell’autrice a scrivere la Prefazione al suo libro. Qui di seguito la riporto, magari può essere minimamente utile a trarre un’idea del buon lavoro di Emanuela Medoro, linguista, ma anche giornalista di talento. “Scrivo volentieri questa breve presentazione al prezioso lavoro di Emanuela Medoro. Un piccolo esempio del fecondo giacimento linguistico raccolto dal drammaturgo Mario Fratti nelle quotidiane letture di giornali – in primis il New York Times – e riviste americane, annotando con cura certosina frasi idiomatiche della lingua inglese, non altrimenti reperibili. In oltre cinquant’anni di vita culturale nella Grande Mela – dove era giunto nel 1963 per una sua opera messa in scena da Lee Strasberg, poi per insegnare alla Columbia University e all’Hunter College, quindi per un’intensa attività drammaturgica – Mario Fratti rivela, con questa curiosità d’indagine sulla qualità della lingua inglese, una passione che va ben oltre l’interesse verso un idioma. Una lingua, l’inglese, che in più occasioni ha dichiarato d’amare, esaltandone l’efficacia e la spigliatezza. D’altronde, la sua stessa capacità d’armeggiarla in maniera brillante nella sua produzione di commedie e drammi teatrali è la rappresentazione icastica che la padronanza di quella lingua è diventata così forte patrimonio, al pari dell’italiano, da avergli conquistato l’ammirazione degli americani per il suo teatro. Asciutto, tagliente, imprevedibile il suo teatro, dove la costruzione letteraria e drammaturgica è talmente aderente al costume e alle abitudini di quel popolo da avergli procurato apprezzamenti e successi talvolta ben più significativi di quelli che gli americani hanno riservato a giganti della loro drammaturgia, quali Tennessee Williams, Arthur Miller, Thornton Wilder, Edward Albee, Eugene O’ Neil. E la cifra del successo di Fratti sta proprio nella sua capacità di scrivere teatro con un fraseggio dialogico che non ricorre a fronzoli, a giri di parole, ma è diretto, penetrante, fulminante, quando con finali del tutto inattesi e sconcertanti riesce sempre a stupire. Eppure, alla straordinaria fecondità della produzione teatrale, il drammaturgo aquilano, ormai trapiantato a New York, ha coltivato un insospettato interesse filologico, un’attenzione alle qualità e alle raffinatezze della lingua inglese, da portarlo ad annotare con regolarità e passione frasi e locuzioni singolari, con il relativo significato in italiano, che hanno riempito una mole impressionante di pagine di quaderni. In questo pelago di ricchezze idiomatiche si è avventurata Emanuela Medoro. Non senza qualche incertezza e dubbio, all’inizio, se non altro per la difficoltà d’operare una selezione tra tanta disponibilità. Se posso fare un’annotazione personale, io l’ho certamente incoraggiata in questa iniziativa. Per almeno tre ragioni. Non posso osare nel riconoscerne un valore filologico, non avendo la necessaria conoscenza dell’inglese per dare questo giudizio. Eppure questa potrebbe essere una prima ragione. La seconda è quella di mostrare, di Mario Fratti, un interesse spinto fino alla scoperta d’ogni dettaglio della caratura idiomatica d’una lingua, che peraltro passa per l’essere semplice e stringata. La terza ragione credo di significarla nel rilevante valore di quest’accurata documentazione linguistica di Mario Fratti, che immagino non abbia precedenti. Mi spingo a ritenere che tale mole di patrimonio idiomatico sia anche il modo di certificare, attraverso la singolare e duttile modularità del fraseggio, l’anima profonda d’un popolo, e l’indole, che traspare dalla fioritura della sua parola. Fratti l’ha rinvenuta ed archiviata meticolosamente nei suoi quaderni, l’anima del popolo americano, dentro la ricchezza linguistica magari difficile da trovare in letteratura e che invece è rinvenibile nella lingua quotidiana, che sia di strada o delle élite culturali, riportata nelle pagine dei giornali. Qui sta anche la preziosità di questa piccola opera d’arte di Emanuela Medoro. Non era e non è intenzione dell’autrice dare senso esaustivo a questa iniziativa di documentazione sull’opera del nostro insigne concittadino. Al più, vuole tentare di dare solo saggio del rilevante cespite linguistico accumulato da Mario Fratti, sottoponendo ai lettori desiderosi di scoprire la lingua degli americani un esempio della ricchezza espressiva, che è anche sintomo della cultura d’un popolo. Una piccola ma significativa selezione espunta da una dotazione rilevante di locuzioni, che ad altri – linguisti, filologi ed accademici – potrebbe interessare compiutamente per studio e trattazione. Resta sicuramente illuminante la doviziosa curiosità che alimenta l’intensa vita culturale del nostro concittadino Mario Fratti. Che ci fosse noto come uno degli autori di teatro più grandi e famosi nel mondo, è del tutto acclarato. Mentre è per noi sicuramente una sorpresa scoprirlo nell’inconsueto sconfinamento: un Fratti così particolare ed imprevedibile anche nel campo della ricerca filologica, come solo il suo teatro poteva averci abituato.”