DEMIM in Argentina: intervista al direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires

Intervista a Maria Mazza, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires

Buenos Aires

Buenos Aires

Dottoressa Mazza, prima di parlare di questo evento di presentazione, molto atteso nella comunità italo-argentina, le chiedo della sua importante missione di promotrice della diffusione della cultura italiana a Buenos Aires, una città dal grande respiro internazionale. Come potrebbe definire questa esperienza, e perché? Buenos Aires, come lei giustamente ricorda, è una grande capitale internazionale, con una vita culturale intensissima e a tratti vorticosa. Rappresenta ancora oggi un punto di riferimento nell’America Latina, sebbene anche altre città di questa parte del mondo – penso ad esempio a Città del Messico, San Paolo, Rio, Santiago del Cile, Bogotà – abbiano oggi un’offerta culturale di tutto rispetto e in alcuni settori contendano il primato a Buenos Aires. Ma è chiaro che, soprattutto per noi europei, Buenos Aires ha un fascino unico, che non si ritrova altrove: è quel mix ineguagliabile di raffinatezza europea, vitalità latino americana e snobismo proprio di tutte le grandi capitali, che risulta impossibile comprendere a fondo se non si vive qui. Noi italiani, tuttavia, a volte tendiamo a dimenticare che Buenos Aires è stato il punto di arrivo non solo di centinaia di migliaia di nostro connazionali, che hanno lasciato un’impronta inconfondibile nella cultura e nella stessa edilizia e urbanistica della città, ma anche di moltissimi emigranti provenienti da altri paesi europei, che pure hanno dato il loro apporto alla formazione dello spirito e della cultura locali. Ha fatto caso a come qui le persone fanno ordinatamente la fila alla fermata dell’autobus? Ho l’impressione che non sia un’abitudine che deriva da noi italiani… Il risultato è che oggi ciascun europeo, ciascun latinoamericano e persino ciascun asiatico (la comunità cinese a Buenos Aires è numerosissima) ritrova qui un pezzo della propria cultura e della propria identità, ed è per questo che ciascuno finisce per sentirsi rapidamente a casa e a identificarsi nella “sua” Buenos Aires. Ma la capitale argentina è la somma di tutte queste identità culturali, un vero crogiolo di nazioni e culture. E’ per questo che lavorare qui nella promozione culturale è particolarmente entusiasmante, anche se spesso costituisce una sfida continua. I porteños, come si chiamano gli abitanti di Buenos Aires, sono veri e propri “tifosi” della cultura, seguono gli eventi culturali con una partecipazione e un entusiasmo che ho visto in poche altre parti del mondo. Ma come tutti i tifosi sono molto esigenti, guai a deluderli! E poi qui l’offerta culturale è immensa, la competizione tra le istituzioni culturali per assicurarsi il pubblico è spietata e bisogna rimboccarsi le maniche per far arrivare ai giornali o al grande pubblico quello che fai. Ma l’entusiasmo del pubblico poi ti ripaga sempre degli sforzi.
Maria Mazza, direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires

Maria Mazza, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires

Lei ha dato un’impronta particolare alla programmazione delle attività culturali dell’Istituto che dirige da oltre due anni, dando rilievo alle Personalità che illustrano la nostra cultura e il prestigio dell’Italia nel mondo, cercando di rafforzare il legame culturale della comunità italiana in Argentina con la Madrepatria. Ce ne vuole parlare? Ho sempre ritenuto molto importante stabilire un proficuo dialogo con la comunità italiana, anche quando lavoravo in paesi in cui essa era decisamente meno numerosa. E’ chiaro che gli Istituti Italiani di Cultura si rivolgono a tutti, non solo al pubblico dei connazionali; ma c’è stato un tempo, per fortuna ormai tramontato, in cui i connazionali si sono sentiti tenuti un po’ al margine dell’attività degli istituti. Oggi è completamente diverso. La collaborazione tra l’Istituto e le associazioni dei connazionali funziona benissimo, per noi rappresentano tra l’altro un’efficace cassa di risonanza dei nostri eventi. Tenga presente che questo è un paese in cui chi può esibisce la propria ascendenza italiana (la “nona” italiana, come dicono qui) come un blasone nobiliare. E’ una cosa che ogni volta mi commuove e che, da italiana, mi riempie d’orgoglio. Piuttosto la vera sfida è ora coinvolgere i giovani: gli italiani d’Argentina sono per lo più di terza o quarta generazione, quelli nati in Italia sono venuti qui da bambini e si sono ormai totalmente integrati; in proporzione sono pochi invece gli italiani giunti a Buenos Aires da adulti negli ultimi decenni. Questo ci obbliga a tener presente i diversi interessi e le diverse sensibilità dei vari italo-argentini. Però una cosa li accomuna tutti: il grande orgoglio di sentirsi italiani quando proponiamo loro eventi culturali di qualità, e il calore con cui ci ringraziano. E’ una cosa impagabile.   Fare sistema. Secondo lei, la Cultura può essere una grande risorsa per l’Italia, forse la più grande, anche fuori dai confini nazionali? Certamente! Ma non sono io a dirlo, ci sono studi autorevoli che sostengono che la cultura è il nostro “petrolio”. Sicuramente gli anni di crisi economica che abbiamo attraversato e che stiamo attraversando hanno aggravato la situazione relativa alla cura del nostro patrimonio culturale e alla sua presentazione all’estero, anche per quanto riguarda direttamente gli Istituti italiani di cultura. Forse anche in questo qualcosa possiamo imparare dagli amici argentini: non ho dati precisi e non so dunque se è una leggenda metropolitana, ma pare che dopo il crack del 2001 a Buenos Aires non abbia chiuso nessun teatro, e che anzi se ne siano aperti di nuovi. Non so se è vero, ma mi piace crederlo. Quanto al fare sistema, ormai si opera molto in questa direzione: sostenendosi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune; posso dire con soddisfazione che qui a Buenos Aires rappresentiamo un esempio virtuoso: l’intesa tra l’Istituto, l’Ambasciata, il Consolato, l’ICE, l’ENIT e il Teatro Coliseo è ottima e continuamente mettiamo insieme risorse economiche e umane per realizzare progetti culturali. Un esempio lampante è a giugno il “Verano italiano”, giunto già alla terza edizione: un mese di cultura italiana, che porta nell’inverno porteño il calore e la vivacità dell’estate italiana.
L'Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires

L’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires

Di formazione lei è anche musicista e ha studiato canto lirico al Conservatorio. Quanto c’è di questa dimensione – storicamente parte rilevante del patrimonio culturale italiano – nella sua missione? La musica è un settore molto importante nell’attività degli istituti di cultura, ma non è l’unica, perché dobbiamo occuparci di tutti gli aspetti della cultura italiana, letteratura, cinema, arte, ecc. Certamente ogni direttore ha le sue preferenze, però questo non deve distoglierci dal presentare – con le modeste risorse disponibili – un quadro il più possibile variegato della realtà culturale italiana. Piuttosto, parlando di musica, mi piace ricordare che abbiamo acquistato di recente per il nostro Istituto un pianoforte della ditta Fazioli, considerata dagli esperti la migliore fabbrica di pianoforti al mondo, la “Ferrari” dei pianoforti. Per me anche questo è un modo di fare sistema e promuovere l’Italia.   Direttore, secondo i dati recentemente emersi nel quadro della ricerca “L’italiano nel mondo” della Farnesina, ben settantamila persone – e il numero è solo indicativo per difetto – studiano l’italiano in Argentina. Dal suo osservatorio quotidiano, conferma l’interesse che la lingua italiana continua a destare in questo Paese nel quale è particolarmente profondo e permanente il segno della presenza italiana? L’Istituto che dirige quali iniziative porta avanti in ambito linguistico? C’è una collaborazione con il locale Comitato della Dante Alighieri, punto di riferimento per gli italiani, gli italofili, gli argentini e non solo? Conosco bene quei dati e confermo l’enorme interesse che qui c’è per l’Italia e per la lingua italiana, non solo tra gli italo-argentini, ma anche tra coloro che hanno origini spagnole, tedesche, russe, inglesi… Gli alunni dei nostri corsi sono per la metà circa italiani di terza e quarta generazione, che in genere hanno il passaporto italiano e che vogliono recuperare la lingua dei nonni, magari per cercare un lavoro in Italia o semplicemente per poter parlare con i loro lontani parenti italiani. Nei corsi di conversazione predominano invece gli italiani di seconda generazione, che da bambini a casa hanno parlato italiano, magari contaminato dal dialetto, e che ora vogliono tenere viva o perfezionare la conoscenza della lingua. Alcuni anni fa ci fu un alunno illustre dell’Istituto appartenente a questo gruppo di italo-argentini: il cardinale Bergoglio, oggi papa Francesco. Tra i giovani alunni dei corsi invece ci sono moltissimi argentini che non hanno alcun legame familiare con l’Italia. E poi ci sono moltissimi ragazzi colombiani, brasiliani, cileni, peruviani che studiano in Argentina e che imparano l’italiano da noi; tutti sono stati portati ad avvicinarsi all’Italia perché hanno sentito parlare moltissimo del nostro paese a Buenos Aires e hanno deciso di conoscerci più da vicino. Con la Dante Alighieri, così come con le scuole italiane di Buenos Aires, abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione. Inoltre l’Istituto organizza corsi di aggiornamento per docenti di italiano, aperti sia agli insegnanti di italiano delle scuole, sia a coloro che insegnano l’italiano agli adulti.
Tiziana Grassi

Tiziana Grassi

A proposito di lingua italiana, il 29 aprile scorso è stato presentato presso la sede centrale della Dante Alighieri, a Roma, il “Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo” ([email protected]), alla presenza del Segretario Generale dr. Alessandro Masi e di Tiziana Grassi, che ha ideato e diretto il progetto. Lei lo presenterà presso il suo Istituto il prossimo 19 maggio. Un Dizionario, sottolineo, che dedica molti lemmi all’emigrazione italiana in Argentina, al cocoliche, alle tradizioni etnologiche ed etnomusicali, ai principali insediamenti di italiani nel Paese, ai numerosi gemellaggi con città italiane, ai cognomi, alla devozione – come quella a Nostra Signora di Lujan a Buenos Aires -, ai nomi delle strade, alle associazioni, ai Monumenti all’Emigrante, a Manuel Belgrano, oriundo di Imperia che si batté per l’indipendenza dell’Argentina, creatore nel 1812 della bandiera nazionale, oltre agli studi onomastici su Papa Francesco, straordinario oriundo italiano d’Argentina. Tanto premesso, come pensa di strutturare l’evento del 19 maggio prossimo, quali saranno i Relatori e soprattutto quanto ritiene possa essere importante, per la comunità italo-argentina, un’occasione culturale su un’opera che parla di loro, della loro storia, una storia italiana che ha fortemente segnato lo sviluppo dell’Argentina? L’importanza e il valore culturale di una pubblicazione come il DEMIM per un paese come l’Argentina è evidente. Come ho già accennato in precedenza, qui il senso di appartenenza all’Italia, anche nel caso di coloro che sono argentini da più generazioni, è fortissimo. Il punto è semmai che molto spesso gli italo-argentini conoscono poco il nostro paese, molte volte solo attraverso i ricordi familiari, intrisi di nostalgia ma anche di amarezza nei confronti di una patria che non ha saputo garantire loro un futuro e li ha costretti ad emigrare. Molti italiani, inoltre, rompevano del tutto i contatti con la terra d’origine una volta arrivati nella nuova patria. Era una maniera per guardare in avanti e soffocare la nostalgia. Qui a Buenos Aires ho sentito dire più volte che la città, che solo in pochi tratti ha un lungo fiume sul Rio della Plata, dà volutamente le spalle all’acqua, come per lasciarsi dietro simbolicamente il passato di stenti e sofferenze che spinsero la maggior parte degli emigranti, italiani e non, a lasciare i loro luoghi di origine. Tutto ciò, unito al processo spesso forzoso di assimilazione imposto dalle nuova realtà, ha creato una sorta di cesura nella memoria storica degli italo-argentini. Provi a far vedere a un italo-argentino una cartina dell’Italia e vedrà che immediatamente si metterà a cercare il paese dei nonni; e se non lo trova, cosa assai frequente, perché spesso gli emigranti riportavano ai familiari i nomi di piccoli borghi o frazioni che non esistono nella toponomastica ufficiale, allora inizierà a fare delle domande per sapere se almeno noi, italiani di nascita, sappiamo qualcosa di quella remota parte d’Italia. E’ come un “Chi l’ha visto?” della geografia e della memoria, veramente toccante, che rivela il desiderio di riannodare dei fili di memoria e di affetti recisi dall’emigrazione. Pertanto uno studio come quello del DEMIM, dotato di rigore scientifico e che fornisce dati concreti sull’emigrazione italiana, è fondamentale per colmare la lacuna di informazioni che ancora esiste circa l’emigrazione italiana in Argentina. Va detto tuttavia che negli ultimi anni, soprattutto qui in Argentina, sono stati pubblicati autorevoli studi sul fenomeno, analizzato in chiave socio-economica, culturale e linguistica. Per la presentazione del DEMIM in Istituto il 19 maggio avremo un panel di relatori straordinario: ci sarà in primo luogo Tiziana Grassi, come lei ha appena ricordato; avremo poi Francesca Ambrogetti, giornalista dell’ANSA e coautrice di una biografia di papa Francesco, che parlerà dell’emigrazione italiana vista dalla prospettiva delle donne; Carlos Alberto Mahiques, giudice di Cassazione, parlerà del diritto penale italiano e della sua influenza su quello argentino; infine avremo con noi Flavio Lauria, sacerdote scalabriniano e Segretario Generale della Commissione episcopale argentina dell’emigrazione e del turismo.   L’italianità, l’appartenenza, l’identità, le radici, le ricerche genealogiche, la Madre-Terra, le seconde generazioni, i discendenti, sono tra i temi trattati nel Dizionario Enciclopedico che sta per presentare a Buenos Aires: nelle complesse dinamiche transgenerazionali dei processi migratori, come vivono gli italo-argentini questi sentimenti di legame identitario con il Paese di origine? In generale devo dire che qui in Argentina, terra di immigrazione tutto sommato recente, la ricerca delle radici e della propria identità culturale è fortissima, direi quasi un tratto distintivo della mentalità argentina. Per quanto ci riguarda, come ho detto poco fa, il legame identitario con l’Italia è fortissimo tra gli italo-argentini, direi quasi viscerale, che va al di là persino del legame di sangue. Intendo dire che tutti gli argentini, italiani e non, sentono di essere in qualche misura “italiani” quando mangiano, si vestono, scrivono, pensano, fanno politica o vanno allo stadio. E’ una nazione plasmata di italianità, che prova un istintivo senso di simpatia e affetto per noi italiani e a volte persino di complicità, soprattutto quando si tratta di giustificare le proprie magagne. Credo che la nostra missione, come Istituto di Cultura e in generale come Sistema Italia, sia quella di far perno su questo sentimento di affinità spirituale, presentando l’immagine di un paese che non è più quello che lasciarono gli emigranti cento anni fa, bensì un paese moderno, dinamico, che offre opportunità di crescita personale ed economica.   Per concludere, direttore Mazza, qual è il suo augurio per la comunità italiana d’Argentina? Che possa conoscere sempre meglio il nostro Paese, che possano imparare ad amarlo per quello che è stato nella sua storia millenaria ma anche e soprattutto per quello che è oggi. E’ questo il mio augurio e la mia speranza. Ma molto dipenderà anche da noi “italiani d’Italia”, che a volte siamo i primi a denigrarci e a non vedere il lato positivo di un paese che nonostante i suoi vecchi e nuovi problemi, resta magnifico e seducente. Goffredo Palmerini