Pisa nella grande guerra, 100 anni dopo

Dal 28 marzo a Palazzo Blu la mostra che illustra come Pisa, lontana dal fronte, visse il 15-18. “Chi tornava dal fronte portava memorie di morti” nello scritto di Renzo Castelli che parla di “quei treni coi feriti fino alla clinica chirurgica”. Il contributo di sangue degli studenti universitari. A Palazzo Blu allestimento con documenti, lettere, fotografie, cimeli e ricordi.

Di Renzo Castelli Benché il fronte fosse lontano centinaia di chilometri, anche Pisa ebbe la sua Grande Guerra: per la partecipazione diretta di tanti cittadini – dalle campagne come dall’università – e per un importante apporto logistico a quegli eventi. Pisa, così lontana dal fronte, fu dunque partecipe, allestendo perfino una linea ferroviaria sussidiaria che dalla stazione di San Rossore, attraverso via Andrea Pisano, portò i treni dei feriti fino alla clinica chirurgica superando le mura nella quale era stato creato un arco. Quell’apertura sopravvive oggi sebbene molti contemporanei non se ne spieghino il significato.

Grandi personaggi avevano sostenuto l’intervento italiano, pur osteggiato dal parlamento: da Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa, a David Supino, rettore dell’ateneo. Dalla aule universitarie partirono 1484 studenti dei 1501 iscritti; alla fine, 126 di loro non torneranno più alle loro famiglie. Con l’organizzazione di questa mostra sulla Grande Guerra, che verrà inaugurata il 27 marzo, la Fondazione Palazzo Blu ha voluto dare voce a quel momento di grande emotività cittadina che è giusto ricordare – meglio ancora, non dimenticare – nei suoi aspetti positivi (il coraggio e l’abnegazione di molti) ma anche negativi (i troppi lutti e lo strascico tragico che quella guerra si portò dietro). Come scrisse  Vittorio Foa: “La guerra, con le centinaia di migliaia di morti, di mutilati, di feriti, era stata una grande scuola di violenza della quale l’intera società italiana era rimasta imbevuta”. Il ‘biennio rosso’ che ne seguì, e poi il ventennio nero, furono figli di quella guerra. E lo scrittore Augusto Gotti Lega scriverà, parlando di un contadino, reduce delle trincee: “Dalla guerra il Baldi aveva portato a casa soltanto memorie di morti, di tutti i morti che aveva visto fuori dalle trincee col viso all’aria, l’elmetto rovesciato a qualche passo o ancora in testa, a sghimbescio, o rannicchiati, come se dormissero, o a braccia aperte guardando il cielo. Vittorio Veneto, la presa di Trento e Trieste, la vittoria non gli avevano fatto nessun effetto. Per lui non c’era stata che la morte. Non lo sapeva dire bene, non lo sapeva spiegare, lo faceva capire. Gli era sembrata che fosse stata una grande morte inutile”. Ma pochi lessero queste parole e pochissimi le capirono se ventidue anni dopo fummo punto e da capo