Intervista a Laura Pacelli

pacelliph Tra i vini piu’ esileranti che la Calabria produce sono da segnalare le Tenute Pacelli, chi le rappresenta oggi? Carla e Laura. Estroverse, entusiaste, con lo sguardo e la mente sempre sempre rivolti all’evoluzione. I loro prodotti sono interessanti, intensi, mescolano tradizione ed internazionalita’…. Dotati di personalita’ ben definita…. Proprio come chi li crea….      Chi e’ Laura Pacelli? Laura Pacelli nasce come fotografa per “colpa” del padre che, sin da piccola, la ritrae costantemente con la sua macchina analogica per poi ereditarla e finalmente passare dall’altra parte dell’obiettivo. Dopo gli studi universitari, diventa giornalista professionista e, attualmente, lavora a tempo pieno per un periodico a diffusione nazionale occupandosi di “stili di vita” al maschile. In cui rientra anche il piacere del bere. Con il passare degli anni (non troppi), aggiunge un’altra passione che eredita sempre dal padre: la viticultura. Proprietaria assieme alla sorella Carla delle tenute di famiglia, si dedica alla cura dell’immagine dell’azienda, per quel che riesce ma provandoci quotidianamente. Etichette, brochure, sito web, profili social, contatti. Ah, non ha ancora 40 anni (ma non manca molto).         Possedere vigneti in Calabria e produrne dei buoni vini e’ un punto di forza o una debolezza? Uno degli antichi nomi della Calabria è “Enotria Tellus”, ossia terra del vino. Fin dall’antichità la storia dell’agricoltura calabrese s’intreccia con quella del vino, grazie anche a una grande varietà di paesaggi, suoli, e territori. Nonostante ciò, nell’immaginario comune, raramente la Calabria è associata al vino. Ciò è dovuto, a mio parere, principalmente a due motivi: la resistenza dei calabresi a fare gruppo e la cecità di una certa stampa, soprattutto specializzata, a non fare ricerca e ad accontentarsi delle fonti cosiddette secondarie (in pratica, quelle da ufficio stampa). In questo modo i “piaceri” diventano reciproci, a scapito di una corretta e diversificata informazione che procurerebbe maggiore appeal mediatico, oltre che diventare un polo positivo atto a calamitare investimenti, anche politici, in quelle realtà che agenzie di comunicazione (pubblicitarie?) non ne hanno o possono avere. Come azienda dalle medio-piccole proporzioni, la nostra non può pero che trarre vantaggio nel possedere vigneti in Calabria. Certo, bisogna lavorarci sodo e con più fatica rispetto all’Eldorado toscano, piemontese o Veneto. Ma l’obiettivo da raggiungere non sembra poi così remoto: fare squadra si può, a patto che ci sia un sano e onesto consociativismo. Attualmente si procede a piccoli passi ma meglio così, piuttosto che avanzare con un esercito disarmato di fronte a una concorrenza corazzata.      Tradizione ed innovazione nei vini Pacelli?      La tradizione e l’innovazione dei nostri vini si sviluppano su un duplice binario: il primo intellettuale e culturale, il secondo tecnico e sperimentale. Nostro padre Francesco è un uomo di legge. Avvocato per tanti anni, ha riversato la sua irreprensibile formazione giuridica in un’attività fatta sì di passione ma anche di disciplinari di produzione e normative europee. Applicazione consapevole delle regole dunque, ma anche salvaguardia dell’identità del territorio e rispetto del DNA aziendale. E questo è possibile con la conoscenza e la cultura, non esclusivamente vitivinicola. L’apporto mio e di mia sorella, oltre che di nostra madre Clara senza la quale i conti non tornerebbero mai, è quello di alimentare un discorso di marketing intelligente, forse poco aggressivo, ma sicuramente sincero e rappresentativo della realtà familiare. Tutto questo è reso possibile anche grazie alla formazione umanistica di entrambe ed alla conoscenza sempre maggiore delle realtà vitivinicole italiane e straniere, non da imitare ma da cui prendere spunto. Il secondo binario riguarda principalmente la volontà di assecondare il territorio particolarissimo dell’azienda. Dopo sperimentazioni e duro lavoro in cantina, assieme all’enologo Fabrizio Zardini e dopo l’analisi del terreno delle vigne e lo studio delle particolarità climatiche del luogo, ci siamo resi conto della possibilità di creare vini unici e inusuali per la regione della Calabria. Nostro padre, ha così deciso, qualche anno fa, di impiantare viti di Riesling, poco usate nella viticoltura del territorio. Le stesse hanno dato risultati così sorprendenti che, non solo, il nostro bianco 100% Riesling è il top di gamma di Tenute Pacelli, ma abbiamo deciso inoltre di utilizzare le stesse uve per la spumantizzazione metodo classico. L’innovazione, però va sempre di pari passo con la preservazione di un terroir fecondo e dalla spiccata personalità. Questo è stato possibile solo grazie a un tipo di filosofia che crede nel rispetto della terra e dei suoi frutti. Minimi infatti gli interventi in vigna, concime naturale, raccolta a mano delle uve, utilizzo di pannelli solari e richiesta della certificazione biologica che speriamo di ottenere il prossimo anno.            Crede che i governi che si sono susseguitiabbiano aiutato la’aspetto agroalimentare del paese?      Nonostante alcune recenti iniziative (tra le più recenti, la task force del Governo Berlusconi per evitare il dumping sul mercato cinese e, più recentemente l’obiettivo lanciato dal premier Renzi in vista dell’Expo 2015 di aumentare del 50% l’export enologico fino al 2020 annunciando un piano di semplificazione in agricoltura e il sostegno alle imprese agricole e ai giovani) troppi sono stati i vincoli che negli ultimi 10 anni hanno rallentato la crescita di aziende vinicole, come i vari adempimenti burocratici da rispettare per la produzione di vini Doc e Docg, per esempio. Il disciplinare europeo sembra non aggiungere altri ostacoli. La verità è che la politica agricola si fa con le politiche agricole territoriali, ossia tra regione e regione. In Italia spesso non ci si presenta compatti all’estero come fanno spagnoli e francesi, manca la massa critica. Bisognerebbe muoversi con unità, come Paese. Occorrerebbe trascendere l’individualismo per superare i limiti individuali.             Esiste meritocrazia nel vino?      Non sono mai stata diplomatica, nonostante il mio lavoro me lo imponga. Sarà per questo che il concetto di “meritocrazia” è un distinguo che applico in ogni momento della giornata, nei rapporti personali (mi merita questo o quest’altro, mi merito io quello o quell’altro ancora?) così come in quelli lavorativi (obiettivo tutt’altro che facile). Intendo dire che bisogna sempre mettersi in discussione e se uno lo fa con se stesso perché non può farlo con gli altri? Come viticultrice apprezzerei che il mondo del vino e dei buyer, soprattutto italiani, si svincolasse dalla convinzione che un buon vino si fa solo lì e non (anche) da un’altra parte. Come dire, aprite gli occhi, il vino è territorio ma anche passione, expertise, know how, onestà, impegno e gusto. Buon gusto.       La citazione che piu’ La rappresenta?  “Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente” (Eschilo). E con la faccia di bronzo che mi ritrovo, non avrei potuto che occuparmi di vino. Per sopravvivenza. E per non evitare eccessi di sopravvalutazione. La meritocrazia, già.