Ora è come uscire da città vinte e altari profanati

farfallaCi hanno insegnato e fatte scrivere più volte parole da ricordare e verbi da coniugare nella perfetta simbiosi di un pensiero nato e da sviluppare; si trattava di quei fondamentali sui quali poi la nostra vita sarebbe scivolata per affrontare successivamente il mare grande. Era una forma ben precisa, una strada nota anche se nascosta nella sabbia e ombreggiata dai rovi, così è iniziata così è ancora; adesso continua il viaggio tenendosi sempre distante dai tanti pezzi di vetro che luccicando hanno indotto con l’inganno a seguire i loro riluccicare. Molti hanno abbandonato quella via celata per seguirlo e non hanno fatto più ritorno. A distanza di tempo per la verità non quantificabile mi sono trovato assieme a una moltitudine eterogenea in mezzo a spazi di tanti orizzonti di cieli puliti e di un azzurro intenso, abbiamo incontrato e sostato in diverse oasi ove con altra gente abbiamo diviso il pane e bevuto la stessa acqua, danzato con la stessa musica. In un deserto appena iniziato nudi e senza vergogna ci siamo immersi nell’acqua d’una fonte fra le rocce e guardandoci negli occhi scoprimmo la nostra stanca età con la sua poesia nelle in mezze strofe. Rimase il silenzio privo di significato in bocche afone. La nostra nudità d’anima peggiore è un’alba! , conosciuta e fotografata più volte, uguale anche nelle diverse sue manifestazioni. Dove sta il senso. Magari più avanti incamminandoci in quella direzione potremmo incontrare fortunatamente un villaggio sperduto ove ancora si parla il linguaggio che la nostra memoria ha volutamente, forse per suo agio, cancellare; sostituendolo con altri più accomodanti, più convenevoli. Dai dorsali della solitudine, imbrigliati da linee bianche e lattiginose, certe volte si può guardare il cielo di una memoria che a fatica riesce a far tornare visi e linguaggi, suoi ormai da tempo. Tornano in rapida frequenza a file serrate, le misere e cenciose velleità di un’età superba, maestosa costellazione di errori e omissioni. Che imbecillità grande è stata. Ora è come uscire da città vinte e altari profanati! Credevamo tutti d’essere delle crisalidi e di poter superare i diversi orizzonti; quando siamo che esseri nati dal caos di una tempesta creatrice come il vento e l’acqua figli della stessa tempesta. L’acqua è madre, la nostra madre e la stiamo avvelenando, fonte di tutte le cose è vita, purificazione. Il vento è la libertà che è andata perduta nei vari passaggi interiori. Siamo nient’altro che paesaggi in evoluzione, paesaggi di mutati orizzonti sempre più lontani, sempre più difficili da raggiungere: non abbiamo mai avuto le ali!