Vicenza, Celebrazioni del 25 aprile in piazza dei Signori

Il saluto del vicesindaco e assessore alla crescita Jacopo Bulgarini d’Elci.

“Saluto le autorità, civili militari e religiose, le istituzioni locali e nazionali, le associazioni combattentistiche e d’arma, i sindacati e le forze politiche, e i cittadini che non hanno voluto far mancare la propria presenza pur in un giorno così particolare per la nostra città.

Saluto anche a nome del Sindaco, assente per la prima volta a questa celebrazione che gli è cara, che mi chiede di portarvi il suo abbraccio, impegnato come sapete nella gestione del Bomba day. Un grande impegno, una grande e operosa fatica che è anche una fatica di democrazia: non solo mettere in sicurezza ma anche convincere, informare capillarmente, prendersi cura di ogni cittadino, a partire da quelli che vivono una condizione di fragilità. Il sindaco non è qui con noi, ma credo che tutti noi oggi siamo – col pensiero e con il cuore – con chi si sta occupando in prima persona delle operazioni di disinnesco. A partire dai due specialisti artificieri che, proprio in questi stessi minuti, a pochi chilometri da qui, da questa bella piazza dove ricordiamo e celebriamo, sono impegnati a rendere inoffensiva la gigantesca e ancora, a distanza di tanti anni, pericolosissima bomba, rischiando ogni secondo la loro vita. Voglio ricordare i loro nomi: 1° maresciallo Massimo Careddu, sergente Francesco Loiodice.

E questa coincidenza di date fa riaffiorare immagini lontane. Penso alle bombe che caddero anche qui, proprio dove siamo, riducendo in fiamme la nostra amata Basilica.

Penso a una figura un po’ dimenticata della Resistenza vicentina, e recentemente oggetto di un giusto ritorno di attenzione grazie al lavoro dell’Istituto Storico della resistenza il cui presidente, Giuseppe Pupillo,  a cui siamo tutti grati per il suo costante impegno civile, terrà fra poco l’orazione ufficiale. La figura è quella di Guido Revoloni, che in una domenica di fine maggio del ’45, a Dueville, perse la vita. La guerra era finita, ma le ferite della guerra rimanevano: ferite fatte di bombe inesplose, mine, ordigni che infestavano i campi. Gli addetti alla bonifica erano oberati di lavoro, Guido si rese disponibile per raccogliere e far brillare gli ordigni, consentendo ai contadini di tornare a lavorare la terra. Morì così, quasi 70 anni fa.

Quasi 70anni fa.

Io sono nato nel 1978. I miei genitori nel 1950. Né io né i miei genitori abbiamo conosciuto la guerra, vissuto la Resistenza, partecipato di quella pagina aspra e gloriosa.

E allora, qual è il senso per me? Per chi come me è tra i 30 e i 40 anni? Per chi è ancora più giovane?

Ci ho pensato e credo che sia in alcuni concetti. Concetti pesanti, non certo facili o leziosi. Che hanno a che fare con l’idea di scelta, ma una scelta forte e precisa, carica di concretezza. Concetti come la disponibilità a sporcarsi le mani con la terra e il sangue. La responsabilità che da questo deriva. Il senso di una chiamata. L’imperativo di agire. Il prendere le armi e le implicazioni che questo ha. Il mettere a rischio la propria vita. La partecipazione a qualcosa che è più grande del singolo individuo. Il sacrificio. La scelta di campo, radicale e senza compromessi. L’essere – per scelta e per senso del dovere – partigiani.

E mi chiedo: cosa è successo al nostro spirito perché la parola “partigiano” assumesse, anno dopo anno di più, un significato negativo? Come sinonimo non più di combattente per la libertà contro l’oppressore ma di persona faziosa, scorretta? Come opposto a un ideale – che viene dato come positivo – di equidistanza che poi si confonde con il qualunquismo e l’indifferenza? Come abbiamo potuto permettere che questa parola nobile e bella, partigiano, diventasse un’etichetta di cui vergognarsi anziché da rivendicare con orgoglio? “Sei troppo partigiano”, lo si sente spesso. E io dico: è giusto scegliere, essere partigiani.

Cosa è successo al nostro spirito, al nostro spirito collettivo e soprattutto allo spirito della nostra società, perché fosse possibile, come è successo pochi giorni fa, che un rappresentante dello Stato arrivasse a vietare in una città non lontana da qui, Pordenone, che il 25 aprile venisse intonata “Bella ciao”? E motivava questa decisione adducendo motivi di ordine pubblico. Poi questa decisione incomprensibile e infausta ha visto un precipitoso dietrofront, sull’onda dello sdegno e delle proteste. Ma resta la domanda: com’è possibile che si arrivi a dire che cantare Bella ciao nel giorno della Festa della Liberazione rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico?

Io dico che è vero esattamente il contrario: che ovunque si canti Bella Ciao, e ovunque si celebri la Liberazione e si ricordi la Resistenza, ovunque sventolino le bandiere tricolori e ovunque si radunino i labari gloriosi di chi ha combattuto per la libertà, lì si costruisce un presidio di democrazia, di fedeltà repubblicana, di lealtà costituzionale, lì si costruisce un presidio di ordine pubblico nel senso più alto, pieno, nobile.

La memoria non è solo nostalgia. Come la celebrazione della Resistenza non deve essere retorica. Coltivare questa memoria, celebrare questa festa, significa tenerla viva in ciascuno di noi, preservarla come memoria collettiva e condivisa. Ma significa anche farla vivere attraverso gesti e scelte concreti, e non solo parole. Per questo sono orgoglioso di annunciare che presto daremo all’Istituto Storico della Resistenza di Vicenza una nuova e più degna sede, adeguata al suo valore, a santa Corona, nel cuore della nostra città, perché possa con più forza diffondere il proprio lavoro di ricerca e conoscenza. Missioni preziose, indispensabili in tempi in cui l’ignoranza crescente nutre le farneticazioni di chi disprezza la storia, o addirittura la nega.

E oggi, profittate di questa giornata di festa per andare a visitare il Museo della Resistenza, a villa Guiccioli: i bus fino a monte Berico, così come l’ingresso al museo, sono gratuiti. Portateci i figli, i nipoti.

Citavo all’inizio del mio saluto Guido Revoloni, ferito a morte da un ordigno con un nome paradossale, una bomba a farfalla, che delle farfalle non ha la leggerezza né la grazia. Un giovane uomo che disinnescava mine senza strumenti né protezioni, armato solo della forza dei propri ideali di cittadino e, sì, diciamolo con orgoglio, di partigiano, di partigiano a guerra finita, di partigiano armato solo del proprio coraggio, armato solo della propria generosità.

E allora cos’è la Resistenza, per chi ne è anagraficamente lontano? È la pagina più gloriosa e bella della nostra storia come nazione e come popolo, perché è la storia che definisce la nostra stessa identità di nazione e di popolo. È la storia esemplare di persone normali, che non erano eroi ma che hanno scelto di comportarsi come eroi. Di persone come noi che di fronte alla chiamata della storia e all’appello della propria coscienza non si sono voltate dall’altra parte ma hanno scelto di rispondere a quella chiamata e di ascoltare quell’appello. Che hanno rinunciato alla tranquillità accomodante del quieto vivere, dell’indifferenza, del conformismo per abbracciare una scelta che sentivano, semplicemente e intimamente, come necessaria.

E la Resistenza vive qui: non solo nelle bandiere, nelle piazze che in tutta Italia ricordano, nel nostro radunarci ogni anno e nel radunarsi di tanti come noi, nelle canzoni come Bella Ciao che alla fine di questa cerimonia una volta di più canteremo tutti assieme, e canteremo forte abbastanza perché la sentano anche a Pordenone, forte abbastanza perché la sentano in ognuno dei luoghi in cui si prova, anno dopo anno, a negare e cancellare e umiliare la nostra storia, la nostra memoria, la nostra identità di nazione e di popolo, ma vive anche e soprattutto in ciascuno di noi, nelle scelte che facciamo ogni giorno, nella nostra fedeltà a un’idea di democrazia, di giustizia, di libertà, nella nostra inesausta volontà di pensare, sognare, edificare un mondo migliore e nella nostra disponibilità a impegnarci per questo, vive nel nostro cuore e nella nostra memoria individuale e collettiva, vive là dove ancora respirano e camminano quegli eroi che per questo si sono sacrificati, vive laddove nessun divieto potrà mai arrivare.

Viva la libertà, viva la resistenza, e viva Vicenza!”.