Andare controcorrente per salvare Scuola

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Domenico Contartese, insegnante e autore del libro dedicato alla sua esperienza scolastica Un mestiere difficile,edito nel 2005.

Per capire le profonde trasformazioni avvenute negli ultimi venti anni, all’interno della Scuola italiana, occorre osservare da vicino il comportamento attuale degli   studenti, “utilizzatori finali”, secondo un’espressione infelice della politica. Gli educatori studiano la metamorfosi avvenuta nelle nuove generazioni, sfruttando il campo privilegiato di cui godono: il contatto diretto con la materia prima (i giovani), veicolo primario di tutte le forme di cambiamento: economico, sociale, psicologico e culturale. Utilizzando la statistica comparata è stato possibile  dedurre le caratteristiche di quantità e  qualità  degli allievi negli anni.

Ho avuto l’opportunità, grazie ai miei 35 anni di insegnamento, di conoscere due generazioni di allievi: genitori e loro figli. Posso affermare che gli allievi genitori (anni ’80) manifestavano interesse per lo studio nell’ordine del 50%. Quell’interesse era finalizzato al miglioramento della condizione economica familiare, alla prospettiva del lavoro, alla crescita culturale. Lo studio era ancora visto come mezzo per raggiungere alcuni scopi della vita.

Negli anni ’90  la percentuale scende al 30% e nei tempi attuali crolla al 10-20%. In termini numerici significa che su una classe di 25 alunni solo  tre-quattro (nel migliore dei casi) manifestano concretamente  una discreta passione per lo studio, un desiderio di conoscenza. Il rimanente 80-90% esprime apatia, disinteresse, costrizione di stare in classe. Non portano libri, né quaderni e spesso neanche la penna.

Ma  non dimenticano mai il cellulare, inseparabile compagno, la prima se non l’unica attrazione, che smanettano dall’inizio alla fine delle lezioni.

L’ingresso nell’aula  dell’educatore non desta alcuna curiosità:  la maggioranza  degli allievi continua imperterrita ad utilizzare  l’ultimo modello di Iphone. Parlano rigorosamente in dialetto, ogni tre parole due sono bestemmie, fumano, non svolgono i compiti per casa, non studiano neanche di fronte ai momenti di verifica.

Al terzo anno (secondaria di 2° grado) non sanno calcolare l’area del cerchio, risolvere un’equazione di primo grado,  si disorientano di fronte a semplici operazioni di aritmetica e si perdono di fronte a concetti elementari di geometria.

Questa è la fotografia di molte scuole italiane e da questi dati possono partire tutte le analisi.

La funzione preminente del docente è quella di guardiano della classe, guardiano per far rispettare le regole all’interno della comunità, per far spegnere il cellulare, per evitare le risse, la distruzione degli arredi scolastici. Segue la funzione di assistente psicologico/sociale per colmare il deficit delle famiglie in termini educativi e comportamentali: non salutano quando entrano in classe,  non riescono a stare seduti più di dieci minuti, mangiano il panino durante la lezione, lanciano oggetti da un banco all’altro, urlano all’improvviso. Infine, per i minuti che restano  dell’ora di lezione, il docente tenta di svolgere l’ attività didattica.     

Le riforme degli ultimi  decenni hanno seguito un percorso  di adeguamento alla realtà esterna, di livellamento culturale verso il basso: i ragazzi studiano  di meno?  Rendiamo più facile la scuola.

Una scuola che ha abbandonato il criterio del merito, che riceve solo tagli, che si finanzia solo con progetti,  che stanno  proliferando in modo esagerato, danneggiando la formazione di base, ha  contribuito a classificare gli studenti del nostro Paese agli ultimi posti della graduatoria europea.

I docenti, con tutta la  buona volontà,   si trovano con le armi spuntate, come quel vigile del fuoco a cui viene dato un secchiello per spegnere un grande incendio.   Nonostante gli aggiornamenti a spese proprie e gli stipendi più bassi d’Europa, nonostante l’utilizzo di nuove tecnologie elettroniche e informatiche  nei diversi settori disciplinari, si trovano di fronte un problema più grande di loro, indecifrabile.   

Manca la motivazione allo studio, manca lo scopo, come direbbe il filosofo Umberto Galimberti.  Ha fatto la sua comparsa l’Ospite Inquietante: il Nichilismo.

Lo studente attuale sa che diventerà, con molta probabilità,  un disoccupato, vede il futuro  incerto e  minaccioso.  Viene a scuola senza desiderio,  forse perché i desideri sono già stati esauditi prima che nascessero, dai loro genitori. Genitori, colpiti dalla crisi economica, che non hanno  il tempo per l’educazione dei figli, ma regalano  il cellulare a tre anni e la moto a sedici, indipendentemente dai risultati.

La tecnica ha potenziato talmente i suoi strumenti, ha aumentato talmente la sua velocità,  da lasciare indietro gli esseri umani con le loro abitudini di vita. Non ha concesso il tempo necessario per metabolizzare  i cambiamenti e le trasformazioni sopraggiunte. “Tanto più alta è la velocità del progresso tanto più rapidamente cala la nostra chiarezza e tanto più diventiamo ciechi” (Gunther Anders, Noi figli di Heichmann)

Il cellulare racchiude in sé tanta tecnologia, tanta elettronica, tanta informatica da superare qualsiasi competenza individuale non solo degli allievi ma anche dei docenti. Quello strumento diventa un mostro da venerare,  un’immensa  potenza, da tenere sempre a portata di mano. Non c’è punizione che tenga: una, dieci , cento note sul registro, resistono solo per dieci secondi. Non si contesta l’utilità del preziosissimo strumento ma l’uso errato che ne viene fatto e nelle circostanze sbagliate. Ho scoperto che utilizzano il cellulare  per  giocare al tiro al bersaglio o spedire sms.

E’ come se all’uomo Sapiens di 30 mila anni fa  fosse improvvisamente consegnato un Kalashnikov al posto  della sua lancia di legno.  

Ma la ministra Carrozza  ha trovato una brillante soluzione: se gli alunni saranno un po’ asini,  i docenti verranno sottoposto ad aggiornamento forzato (art. 16, legge 128/2013).  Trovati i colpevoli.

Nell’era della tecnica, dove tutto sembra consegnato a domicilio, dove il mercato stabilisce i bisogni delle persone, dove un po’ tutti ci sentiamo piccoli ruotismi  di un immenso, gigantesco ingranaggio, penso che il segreto stia nell’andare controcorrente: studiare, studiare, studiare, perché c’è bisogno di tutta la vostra intelligenza, come diceva A. Gramsci. L’alternativa sarebbe un disastroso analfabetismo di ritorno, peraltro già avviato e documentato dal Censis: ”il 33% degli Italiani fatica anche a leggere frasi semplici e non riesce a decifrare un documento scritto su fatti collettivi”. Riflettere sui cambiamenti,  pensare al futuro,  confrontarsi comunicando, interrogandosi sulla trasformazione che ci pervade. E tutti quegli educatori che sapranno porre le giuste domande, suscitare  curiosità ed interesse, aiuteranno le nuove generazioni a prendere coscienza, a cercare un percorso, ad uscire dalla prigione.

Chi mi ha dato la forza di continuare? Quel 20% di ragazzi, compresi gli extracomunitari non ancora integrati,  che mi hanno sempre guardato negli occhi, stimolandomi ad iniziare ogni mattina con  nuovo impegno, a migliorarmi professionalmente e culturalmente, a comunicare  le esperienze maturate, cercando ancora di affascinare qualcuno.