Messaggio Morosini, è necessario che il Buon Pastore porti addosso l’odore delle sue pecore per accompagnarle al pascolo

Giuseppe Bombino

Giuseppe Bombino

Il messaggio che Giuseppe Fiorini Morosini consegna alla città, ci pare di capire, è tutto chiuso nella forza idiomatica d’una frase che lo stesso pronunzia ripetutamente durante la processione mariana di sabato scorso: “Reggio …, ti rristau sulu a Maronna …”. Il messaggio sembra proporci uno spostamento del piano della comunicazione al più alto e diretto livello con la Divinità, l’unica in grado di riempiere quel vuoto che si avverte oggi in città, in cui le categorie e le convenzionali infrastrutture sociali non riescono ad esprimere l’essenza e l’identità di un popolo e non sono in grado di coglierne il disagio.

Bisogna accostare i pensieri nell’atmosfera delle cosmogonie orfiche per comprendere perché, dalle nostre parti, le Divinità divengono spesso destinatarie di un rapporto esclusivo, diretto e senza intermediari, e assai di più se la Divinità è la Madre, colei che protegge. E’ come se si volesse ricondurre in un orizzonte comunicativo potente e al tempo vero, una istanza di salvezza per Reggio, quale tentativo di legare il transitorio all’assoluto, poiché il rapporto tra l’umano e il divino, celebra il più sacro dei vincoli. Sono tracce di poesia e di sangue tutto calabrese.

Non certo ci interessa l’attribuzione in sede scientifica e antropologica dell’invocazione del Vescovo; semmai è la contestualizzazione storico-culturale e il quadro di riferimento simbolico che esprime intensità ed essenza unificanti. Allora, ecco la voce della speranza che diviene preghiera: l’unica formula per affidare altrove e a una responsabilità più alta il futuro della città che in questa temperie è attraversata dalla Madre dell’Assoluto che vede oltre le cose degli uomini.

Ma il genere mitopoietico a cui fa ricorso il nostro Vescovo è, inoltre, in piena aderenza con le scritture vetero e neo-testamentarie che rimandano alla parabola del Buon Pastore e del suo amore agapico e oblativo. Il Buon Pastore, infatti, vive e condivide la sofferenza del suo popolo e quando la miseria materiale genera anche miseria morale e disfattismo, egli non si limita ad elaborare facili indignazioni, ma produce, come ministro di misericordia, trasposizioni e percorsi immanenti che conducano il gregge al superamento di una condizione contingente attraverso cui avviene la trasformazione del male in bene.

La straordinarietà, la portata e l’intensità dei significati contenuti nei discorsi che il nostro Vescovo ha pronunziato già dall’atto del suo insediamento in città consiglierebbero, dunque, una più attenta e profonda lettura, e, probabilmente, uno sforzo di “tensione” verso l’alto a cui si accede solo se abbiamo ben chiara l’idea che la giustizia, in sede divina,  si riferisce al ruolo del Pastore come Salvatore.

Che ognuno faccia il proprio mestiere, quindi: il Pastore accompagni il suo gregge sugli alti pascoli, anche se il suo odore attirerà i lupi.

E’ quanto scrive in una nota Giuseppe Bombino, Presidente dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte.