Tropea, la Platea della Diocesi
Non finisce di sbalordire il prof. Pietro De Leo con i suoi studi monografici di grande caratura storica, come quelli apparsi nel Codice Diplomatico della Calabria e non solo, fonti documentarie di riferimento per altri approfondimenti qualificati. Dopo il recente volume Il Sinodo di Tropea del 1594, con cui l’editore Meligrana inaugura la collana “Tropiensia”, ecco quest’altro lavoro sulla Platea Ecclesie Tropiensis, redatta nel 1494 dal notaio Calvano de Yosep de Luciis di Amantea su commissione del vescovo di Tropea Giuliano Mirto Frangipane (1480-1498/99).
Una Platea dei beni della diocesi era quanto mai urgente e necessaria a Tropea, come altrove, visto come erano finiti, o stavano per finire i beni della Chiesa.
La politica fiscale poco accorta di Roberto d’Angiò, re di Napoli (1309-43), già dal sec. XIV aveva provocato incertezze, confitti sociali, lassismo amministrativo ed un clima pauroso di abusi e di usurpazioni dei patrimoni terrieri soprattutto di proprietà monastica ed ecclesiastica in generale. L’evidente gravità della situazione fa scrivere al nostro autore nell’Introduzione che «la Calabria era allora una regione arida, pressoché inselvatichita e pesantemente rattrappita sotto le angherie di una feudalità anarchica e prepotente e sotto le vessazioni dell’erario».
Il libertinaggio amministrativo sui benefici ecclesiastici venne facilitato anche dalla prolungata mancata residenza dei vescovi, che, o preferivano dimorare a Napoli alla corte del Re, o ricevevano altri incarichi di Curia che li tenevano permanentemente lontani dalle sedi. In questo periodo, per esempio, Paolo Grifi (o de Griffis), vescovo di Tropea (1390-1409), era contemporaneamente Nunzio Apostolico in Germania e Boemia. Così il suo successore, il card. Ragusino nel 1410 ottiene Tropea solo come Commenda senza residenza.
Lo stesso mons. Frangipane, quando nel 1480 venne trasferito da Caiazzo alla sede di Tropea, in realtà risiedeva ed ha continuato a risiedere a Napoli alla corte di re Ferdinando, governando la diocesi tramite il Vicario ed amministratori di fiducia. Questi spesso si rendevano odiosi alle popolazioni per i loro soprusi e metodi fiscali contrari ad ogni senso di diritto e di giustizia. Da qui le contese, le sommosse popolari, i tumulti di piazza e le vendette private sempre più ripetute. Certamente si trattava di situazioni insostenibili, ataviche e consuetudinarie, ormai di non facile soluzione.
Contro gli usurpatori incalliti non valsero a nulla le censure e le scomuniche comminate in forza della Bolla pontificia “In Coena Domini”, attribuita ad Onorio III o Gregorio IX e poi ampliata da Pio V.
Del resto la situazione caotica era anche favorita dalla mancanza di Platee e dei Registri di contabilità, ormai desueti. A Tropea, per esempio, a parte il Diploma con l’elenco dei beni e privilegi concessi nel 1066 da Roberto il Guiscardo al vescovo Calochirio e poi la conferma di tutti i privilegi, diritti e donazioni fatta nel 1179 al vescovo Corridone, successivamente non risultano altri provvedimenti analoghi.
La Platea del 1494 voluta dal vescovo Frangipane, pertanto, costituisce una vera pietra miliare per fare il punto sulla situazione patrimoniale. La sua preziosità, quindi, è veramente rilevante, tenuto conto del fatto inoltre che la diocesi di Tropea, già fin dal 1094, comprendeva anche l’antica diocesi bizantina di Amantea ed arrivava fino a Fiumefreddo, Longobardi, Aiello, Belmonte e tutto il territorio circostante: un comprensorio abbastanza vasto per avere un’idea significativa dell’importanza dell’operazione di riordino.
L’intervento apparve ancora più opportuno anche per le vicende politiche e militari che sul finire del sec. XV interessarono tutto il Regno di Napoli, attaccato da Carlo VIII di Francia, che ne pretendeva la titolarità contro gli Aragonesi, ritenuti usurpatori. Il vescovo Frangipane pensò bene, proprio nell’ottobre 1494, di rientrare in sede per intraprendere energiche iniziative di resistenza contro l’invasore francese, avvalendosi dell’appoggio del governatore don Pedro Romero e dei Sindaci rimasti fedeli alla corona Aragonese.
Con la sua presenza effettiva a Tropea, anche la Platea ebbe una sua forza morale che servì a rimettere ordine su tutto.
È merito del prof. De Leo aver messo a disposizione degli studiosi uno strumento di alta valenza documentaria e scientifica, atto a far luce non solo sull’asse patrimoniale ecclesiastico di tutta intera la diocesi, ma di poter raccogliere un insieme di informazioni parallele che introducono in un vissuto secolare fatto di storia, di tradizioni, di usi civici e di usanze varie in grado di farci amare uno spaccato calabrese rimandando oltre i semplici dati numerici ed oltre le stesse 316 fredde carte “curiali” e “notarili”, di cui la Platea si compone.
Non sono certamente da sottovalutare l’importanza e la molteplicità di informazioni che affiorano tra una nota e l’altra. Assai documentata, per esempio, è la presenza a Tropea di famiglie di ebrei, a cui il re Alfonso il Magnanimo aveva accordato la parità tributaria rispetto ai cristiani.
Tra le curiosità segnalate molta simpatia suscita uno degli obblighi a cui erano tenuti i sacerdoti e i cappellani dei Casali di Tropea: il giorno di Natale e di Pasqua ognuna delle chiese doveva offrire al vescovo due galline, sei pani, sei candele di cera del peso di 6 once, oltre a quello che era tenuto a dare ogni singolo canonico. In occasione del battesimo la famiglia doveva dare al parroco una gallina, mentre per la celebrazione del matrimonio gli sposi versavano 15 grana.
Interessanti risultano altresì le informazioni sui toponimi, chiese anche dirute, piazze, porte, vie pubbliche, torrenti, il Sedile di Tropea, le torri costiere, i mulini, le tonnare, le grotte, le attività commerciali. Nulla resta di non visitato. Da qui si coglie la rilevanza storico-antropologico-religiosa di una Platea, che se a primo acchito può sembrare un qualcosa di freddo, in realtà mano mano che si va avanti nella lettura fa crescere la passione e l’interesse.
Cos’altro dire al prof. De Leo se non esprimergli la nostra gratitudine per questa sua nuova fatica, che va ad aggiungersi alla numerosissima e qualificata pubblicistica storica, che in questi anni ha caratterizzato il suo impegno e la sua professionalità di studioso e di già docente presso l’Università della Calabria.
L’opera costituisce, pertanto, un ulteriore tassello per comprendere ed apprezzare l’universo cosmo della nostra Calabria, che, con l’apporto ed il sacrificio di ricercatori come il prof. De Leo, ricupera sempre più e sempre meglio la sua immagine di regione ricca di storia, di umanità e di civiltà.
+ Luigi Renzo Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea