Rombiolo, il patriota e la maestra
Una nuova luce sulla storia del Risorgimento e degli esiti dell’unificazione è stata fatta. È possibile adesso rileggere il nostro recente passato attraverso questo importante libro scritto da Vito Teti “Il patriota e la maestra” (edito da Quodlibet e selezionato per il premio letterario che si svolgerà a Tropea nell’ultima decade di settembre). Una rilettura che permette di affrontare la storia risorgimentale e dell’Unità d’Italia con un altro sguardo. In primo luogo per il ruolo di un patriota calabrese, nato a San Nicola da Crissa, Antonio Garcea. Con questa ricerca Vito Teti rende giustizia al valore di quest’uomo, che era quasi sconosciuto alla storia. La ricostruzione è stata possibile grazie ad un manoscritto delle sue memorie opera della maestra, Giovanna Bertòla, piemontese di Mondovì, sposa del Garcea, che è stata custode delle sue gesta e del suo eroismo vissuto insieme ad altri patrioti famosi, come Carlo Poerio e Luigi Settembrini, con il quale ha condiviso le immani sofferenze nelle prigioni borboniche e poi l’epopea garibaldina dell’Unificazione. Ma anche alla disponibilità dei discendenti che hanno messo a disposizioni tutta la documentazione che avevano custodito con amore e che sono serviti a ricostruire anche una sorta di saga familiare sparsa in tutto il mondo.
Prima di questo lavoro Garcea era relegato ai margini della storia e dimenticato. L’operazione compiuta da Teti è stata quella di ridare dignità alla memoria dell’uomo, ma anche alla stessa verità storica. Si tratta di un testo che ha diverse chiavi di lettura, in cui la macro storia si fonde con la microstoria e dove vi scorrono i sentimenti umani e le vicissitudini dei protagonisti che rappresentano idealmente la reale unificazione dell’Italia, sia attraverso il loro incontro il loro culminato nel matrimonio che con l’attività di entrambi nelle diverse regioni, da Sud a Nord. Così come nelle precedenti opere che hanno contrassegnato la sua ricerca e il suo linguaggio, in particolare da “Il senso dei luoghi”, a “Pietre di pane” e infine a “Il patriota e la maestra”. Un itinerario che non è solo di carattere prettamente storico-antropologico, ma anche estetico, come ad esempio la “l’antropologia o la filosofia della restanza” descritta e vissuta in “Pietre di Pane”.
Teti compie un ulteriore passo e conferma questa sua vena non solo di antropologo e storico, ma anche di scrittore, di narratore che trasferisce alla ricerca fatta sui documenti storici ma anche utilizzando fonti orali, la forza rievocativa e simbolica tipica della scrittura letteraria. Il linguaggio quindi si carica di elementi che attraversano la storia e vanno a far emergere strutture profonde che possono essere indagati con altre categorie e strumenti che normalmente vengono utilizzati per l’analisi storica. Il testo infatti si dipana e contestualizza i diversi ambienti e le diverse situazione e personaggi, ricreando un’altra identità umana e antropologica, approfondendo lo sguardo e consentendo al lettore di leggere in modo nuovo i fatti e gli accadimenti, sia sotto il profilo spaziale che temporale. Ma questo lavoro assume una rilevanza particolare per la costruzione con cui vengono presentate le vicende, che vanno poi a strutturarsi sotto il profilo testuale, come accade negli episodi che aprono e chiudono il libro. La storia infatti si apre con un elemento che ha un carattere fortemente simbolico, una reliquia di Carlo Poerio, figura centrale del Risorgimento e compagno di Garcea, che viene portata a San Nicola da Crissa. Si tratta del’aorta che Garcea custodisce dopo la morte di Poerio a Napoli, che si carica di elementi sacri, religiosi, in cui si innesta la venerazione delle reliquie come avviene nel cristianesimo, tipica dei martiri.
L’episodio con cui si chiude il libro, richiama ancora la figura di Poerio, che riappare in modo soprannaturale ad una nipote di Givanna Bertòla, Bice, la medium, che Teti intitola emblematicamente “Il ritorno di Poerio”, un significato che affonda nel mito, come accade ad esempio nell’Odissea, in cui Ulisse ritorna nella sua patria, Itaca; così Poerio da patriota ritorna a parlare sotto forma medianica, del destino della propria patria, degli esiti dell’Unità d’Italia alla luce degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia italiana come l’uccisione di Re Umberto I e il tradimento degli ideali risorgimentali. Infatti l’episodio viene collocato cronologicamente nel 1904, mentre la sua morte avviene a Firenze nel 1867. Ma dentro questo intreccio, ritornano anche alcune questioni ancora lungi dall’essere risolte, come il fenomeno migratorio e la questione meridionale con le relative interpretazioni, analisi e discussioni spesso condizionate da posizioni ideologiche e propagandistiche che poco hanno a che fare con la ricerca storica e antropologica. In tutto questo quadro raccontato e rappresentato si innesta ancora la particolare personalità e figura della moglie del Garcea, Giovanna Bertòla, protagonista nel periodo post-unitario attraverso la sua attività di educatrice e di giornalista, con un programma di avanguardia e rivoluzionario in cui si rivendicava la pari dignità della donna, come il voto, e osteggiata non solo dalle autorità della Chiesa, ma anche dalle elite intellettuali dell’epoca, che esprimevano delle posizioni retrograde e tendenti alla conservazione. Le sue battaglie per l’emancipazione femminile, sono state condotte, insieme ad altre donne e con l’appoggio forte del Garcea e attraverso il primo giornale redatto da donne, “La voce delle donne”, ma anche con l’impegno pedagogico della stessa Bertòla fondando scuole e dirigendo istituzioni scolastiche, in cui ha impresso la sua personalità e la sua visione.
Il libro è stato presentato martedì sera a Rombiolo, nella sala consiliare. Ad organizzare l’incontro l’amministrazione comunale. Sono intervenuti il sindaco Giuseppe Navarra, l’assessore alla Cultura Alfonso Ferraro, don Francesco Pontoriero (parroco di San Nicola-Calimera), Pasquale D’Agostino (storico del Risorgimento), e Nicola Rombolà (presidente associazione Alma Tellus). Il dibattito è stato moderato dal giornalista Vincenzo Varone. Il sindaco Navarra, che ha aperto gli interventi, si è soffermato sul ruolo e sul valore della cultura, su sollecitazione anche di Varone che ha elogiato la sua amministrazione nei diversi campi, ma soprattutto per l’attenzione agli eventi culturali. Navarra ha spiegato l’importanza della cultura per la crescita di una comunità, e ha sottolineato come i temi che sono trattati nel libro siano attuali, a partire dal fenomeno migratorio e dalla questione meridionale. Anche l’assessore alla Cultura Ferraro ha ringraziato il prof. Teti per l’impegno e l’attività per restituire dignità alla Calabria come dimostra quest’ultimo lavoro. Ad entrare nella storia narrata contestualizzata attraverso la ricerca storica e antropologica, don Francesco Pontoriero. Due gli episodi su cui ha analizzato il contenuto, e che sono strettamente legati. Il primo apre la narrazione e il secondo la chiude. Protagonista è Carlo Poerio, figura centrale del Risorgimento e amico di Garcea. Nell’episodio narrato emerge il tema del culto delle reliquie, che nella storia contemporanea assume peculiari caratteristiche e forme, in quanto vi è un sincretismo, come ha spiegato don Francesco, citando alcuni autori che hanno affrontato l’argomento, tra paganesimo greco, venerazione cristiana e religiosità laica legata ai nuovi eroi, che si caricano di elementi sacri. L’episodio è connesso alla parte conclusiva del libro, in cui Carlo Poerio nel 1904, diversi anni dopo la sua morte (1867), in modo soprannaturale e intitolato “Il ritorno di Poerio” per ammonire il tradimento degli ideali risorgimentali e prefigurare la fine ingloriosa dei Savoia.
Per Pasquale D’Agostino Teti rappresenta “l’intellettuale più organico della Calabria: uno dei più convinti e conseguenti della cultura marxista e gramsciana”, e lo considera un artista che “attraverso la scienza antropologica interpreta il mondo in cui vive”, come in questo ultimo lavoro, “opera di grande storia”.
Nell’intervento conclusivo, l’autore del libro, ha esordito definendo Rombiolo “paese della democrazia e delle lotte per la terra”; ma constata come i nostri paesi hanno perso l’anima e le responsabilità devono essere ripartite a più livelli. Tra le diverse riflessioni che ha fatto sia su come è nato il libro, sia sul metodo utilizzato nella ricerca delle fonti che sul messaggio storico-politico rispetto alla condizione storica e sociale della Calabria, in relazione al fenomeno migratorio, Teti ha spiegato che la Calabria “è uscita fuori di se stessa: ed è una terra metafora di diaspora che però ha saputo comunque scegliere e compiere una rinascita, dopo essersi sradicata attraverso fatiche inenarrabili”. Ma per uscire dalla profonda crisi in cui si trova l’attuale modello sociale e culturale, ha auspicato un “nuovo Risorgimento”. Per tale ragione, ha infine concluso, “il Risorgimento è ancora attuale così come la Questione meridionale; ed è necessario affrontare i problemi e il futuro senza le conflittualità che hanno dilaniato questa terra, e riscoprire una identità “per” e non “contro”.
L’evento è stato caratterizzato dagli intermezzi musicale alla chitarra del maestro Giuliano Macrì.