La classe politica ha immaginato il futuro della Calabria come una bara di cemento armato

Nel  rapporto con i luoghi l’uomo sperimenta la propria identità culturale e spirituale. L’ultimo libro di Francesco Bevilacqua, “Sulle tracce di Norman Douglas”( Rubbettino editore) approfondisce questa esperienza. Captando come un rabdomante il linguaggio segreto delle montagne calabresi, così come evocato nei famigerati versi delle  “corrispondences” da Baudelaire, Bevilacqua è riuscito a identificare il “genius loci”, attraverso la contemplazione della natura e sperimentando l’estetica del sublime.

Il libro è stato presentato nei giorni scorsi al Polo culturale di Santa Chiara. Nell’occasione l’autore ha proiettato un documentario di alcune sue escursioni intitolato “Sentieri meridiani”, richiamando il “Pensiero meridiano” dello storico Franco Cassano (in cui mette a fuoco la categoria storica della lentezza – la mente ritorna al festina lente dei latini – per una nuova o diversa prospettiva con cui osservare la storia per decolonizzare l’immaginario con il quale si guarda il Sud).

A metterne in rilievo il significato storico-letterario ma anche esistenziale del libro il presidente della Delegazione Vibonese di Italia nostra Gaetano Luciano e Guglielmo Galasso (vice presidente regionale WWF). Ad introdurre invece il direttore del Sistema bibliotecario vibonese Gilberto Floriani che si è soffermato sulla personalità di Norman Douglas (lo scrittore inglese di “Old Calabria”,Vecchia Calabria, ha visitato più volte la regione  – dal 1907 fino al ’47 – colpito dal fascino dei luoghi avvolti da un alone mitico), sottolineando l’importanza dei numerosi libri scritti da Bevilacqua che contrassegnano l’itinerario letterario dell’autore e del viaggiatore.

Nel suo intervento Galasso ha citato lo stesso Bevilacqua, “dove c’è un sentiero c’è un pensiero”, per far emergere il particolare concetto di scoperta del viaggio nei luoghi a noi vicini, come ascolto e contemplazione. E in questa scoperta della bellezza, si presenta anche tutto ciò che rappresenta la minaccia, ciò che l’ha deturpata in modo irrimediabile, così come aveva denunciato già nei primi anni del ‘900 lo stesso Douglas, che deve essere ritenuto, ha ossevato Galasso, “un ecologista antilitteram”.

Per il presidente della Delegazione Vibonese di Italia Nostra Bevilacqua “compie una svolta culturale e si afferma come scrittore”. Nello specifico Luciano ha sottolineato il concetto dello spaziamento ereditato dai monaci certosini: “Usa questa condizione per raccontarci la Calabria, i cui luoghi diventano universi spirituali”; sotto questo profilo, ha osservato ancora Luciano, la missione che compie Bevilacqua si sintetizza nell’estetica esistenziale che  “il pensiero libero è il migliore viaggio”.  Nel suo intervento conclusivo, l’autore ha definito la sua esperienza dei luoghi, partendo da un assunto: i luoghi diventano tali quando gli uomini li nominano; in questo caso la memoria è capace di dare identità. L’analisi di Marc Augè (l’antropologo francese teorizzatore dei “non luoghi”, quando non sono storici, relazionali e identitari), è esemplare, ma anche l’antropologia della “restanza” di Vito Teti che permette di viaggiare pur restando nella propria terra (come è testimoniato in “Pietre di pane”). Da questo particolare punto di vista, Bevilacqua, ricordando quanto aveva scritto nei primi anni settanta Giuseppe Berto in alcuni articoli (raccolti ne “Il mare da dove nascono i miti”), ha osservato come i calabresi siano affetti da “amnesia”, richiamando il concetto di “atopia” coniato dal geografo Eugenio Turri. Da ciò scaturisce l’amara considerazione che “in noi calabresi si è reciso il legame con l’identità dei luoghi” e che, in tutti questi anni, la classe politica ha progettato la distruzione dell’identità del paesaggio, immaginando il futuro di questa terra  “come una bara di cemento armato”.